martedì, maggio 10, 2011

Il covo BR di Porta Vittoria

Martedì, 10 maggio 2011
Sulla facciata del tribunale di Milano, in corso di Porta Vittoria, questa notte sono comparse tre maxi-foto di Giorgio Ambrosoli, Emilio Alessandrini e Guido Galli. Non si è trattato di un blitz delle Brigate Rosse o di altra sigla terroristica in vena di commemorazione dei propri caduti per la realizzazione dei loro folli ideali, ma di magistrati uccisi dal terrorismo (mafioso e politico).
La scelta di esporre queste immagini, non su un presunto covo brigatista, ma sulla facciata del palazzo nel quale la giustizia viene amministrata, è stata del presidente Livia Pomodoro, in occasione della giornata della memoria per le vittime del terrorismo, che si celebra dal 2008, in risposta indiretta ai manifesti di qualche settimana fa del Pdl milanese, che paragonavano i magistrati della procura meneghina alle BR, dunque ai loro aguzzini.
Ma le maxi-foto non hanno scoraggiato una nuova bordata di attacchi sconsiderati da parte di Silvio Berlusconi, che ieri mattina è stato in aula per il processo Mills dove è accusato di corruzione. I pm «sono un cancro», ha sostenuto Berlusconi a margine dell’udienza, trasformando ancora una volta l’appuntamento con la giustizia in una tribuna dalla quale istigare a delinquere e oltraggiare le istituzioni. A ruota, a dargli manforte, la zombie isterica Daniela Santanché, che riferendosi a Ilda Boccassini, pm nel processo Mills, ha dichiarato: «E’ una metastasi che fa male alle istituzioni».
Non c’è che dire. Un grand’esempio di finezza linguistica e di diplomazia, che fa onore allo sgangherato duetto di arroganti impuniti, convinti che la scelta di non esasperare il clima con una denuncia a loro danno per vilipendio, come si farebbe nei confronti di qualunque cittadino, costituisca oramai un passaporto per potersi abbandonare sconsideratamente a dichiarare qualunque vile idiozia e farla franca
La verità è che giorno dopo giorno si sta superando il limite della sopportazione – quello del buongusto è stato valicato da tempo - e si sta trascinando il Paese verso un baratro nel quale, una volta precipitati, difficilmente si potrà risalire e sempre che le ferite riportate non si siano rivelate mortali.
Dice bene Gianfranco Fini, che Berlusconi non vedrà mai realizzato il sogno di salire il Quirinale e insediarsi nello scranno di Presidente della Repubblica. Una tale ipotesi, tuttavia, difficilmente si realizzerà non per l’impossibilità del Cavaliere di continuare a controllare il parlamento già dalla prossima legislatura, ma per la probabile guerra civile che si originerebbe qualora la disgraziata ipotesi trovasse mai conferma.
Il vero cancro di questa allucinante fase della Repubblica è Silvio Berlusconi e la sua aggregazione di servi striscianti, che hanno gettato l’Italia nella disperazione più assoluta ed hanno distrutto ogni residuo di legalità, dignità, solidarietà e senso del rispetto per la comune convivenza. Da quando Berlusconi ha assunto il potere non assistiamo che a lotte spudorate fatte di dossier, azioni squadristiche di vecchio stampo, offese volgari a destra e a manca, calpestamento di ogni diritto, trionfo dell’arroganza e dell’impunità per i potenti e i suoi scagnozzi. Uno spettacolo di degrado sociale e morale che non offrono più neanche i più scalcinati Paesi terzomondisti, nei quali la democrazia è un termine da dizionario.
Paradossalmente chi ha capito quanto il gioco in atto rischi di trasformarsi in tragedia è la Lega di Bossi, timorosa che il responso delle urne milanesi possa rivelarsi negativo. Non tanto per ragioni politiche legate alla qualità del candidato Moratti, quanto per la pervicace volontà di Silvio Berlusconi di aver voluto trasformare le elezioni amministrative in una sorta di referendum pro o contro la magistratura, una sfida mortale in cui è in gioco ancora una volta il bieco interesse personale dell’inquilino di palazzo Chigi e il fardello delle sue vicende giudiziarie.
In questa vortice la Lega non può certo lasciarsi travolgere dalle eventuali sconfitte di Berlusconi, specialmente adesso che è riuscita a portare a casa una vittoria, - più di facciata che di sostanza, - come il federalismo, venduto come la panacea agli ostacoli al benessere del Nord. Se il popolo leghista ha sino ad oggi digerito la compagnia di Berlusconi nell’avventura di Bossi e Maroni è perché il leader del Carroccio è riuscito a far passare la convinzione, suffragata dai risultati, che la ricattabilità dell’uomo di Arcore era il punto di forza con cui incassare importantissimi crediti: la Lega garantiva il mantenimento di uno stato di impunità al premier in cambio dell’accondiscendenza di costui a far passare i provvedimenti che a quel partito stavano a cuore. Un sinallagma che rischierebbe di venir meno qualora il “terzo incomodo”, il Quirinale, stanco delle scorribande populiste e opportuniste della cricca berlusconiana, si mettesse di traverso e ostacolasse certi iter in atto o, peggio, ricorresse all’atto ultimo di sciogliere il parlamento.
E allora Bossi, in cui la stoffa dell’animale politico è ancora in grado di avere il sopravvento nei momenti topici, prova a smarcarsi, prendendo le distanze dal suo socio Berlusconi nella crociata contro i magistrati sgraditi o facendo addirittura suonare l’Inno di Mameli al suo comizio elettorale di Bologna, con ciò cercando recuperare con la demagogia politica sull’invettiva forsennata dall’esito dubbio.
Sullo sfondo troneggia la figura di Giorgio Napolitano, rimasto oramai l’unico baluardo a tutela di una Repubblica preda di continui attacchi talebani, a cui non resta che affidare la speranza che guidi la nazione fuori dall’incubo interminabile di un berlusconismo senza onore e dignità.

(nella foto, Livia Pomodoro, presidente del tribunale di Milano)

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