Tremonti e le gambe dei cani
Venerdì, 6 maggio 2011
(nella foto, Attilio Befera, direttore dell'Agenzia delle Entrate)
Birichini. Non c’è modo diverso per definire gli ispettori del fisco che con troppa foga fanno le pulci a qualche contribuente in odore d’evasione. Gli stessi ispettori che da domani saranno puniti per il loro zelo e per la pervicacia con la quale insistono nelle loro indagini.
Lo ha detto Tremonti, quel Giulio noto per l’inflessibilità e per il rigore con i quali ha gestito sino ad oggi i conti del governo Berlusconi. Anzi, il novello Quintino Sella dell’economia italiana, ha fatto sapere di aver preso accordi con il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, - che in quanto ad efficacia nel cavare sangue dalle rape ha persino oscurato la CIA di Obama, - che a breve sarà stilato un decalogo cui dovrà ispirarsi il comportamento del personale dell’Ente nell’esecuzione dei controlli e che implicherà sanzioni serie a carico dei dipendenti trasgressori.
Francamente confessiamo di non nutrire alcuna simpatia per l’Agenzia delle Entrate e per i metodi che utilizza da sempre per ingrassare le entrate fiscali. Tuttavia, è vero che spesso certi metodi lasciano percepire una sorta di accanimento terapeutico nei confronti del contribuente, ma da qui a concretizzare un intervento come quello in questione ne corre veramente.
In primo luogo l’iniziativa ci pare trascuri di prendere in considerazione il vero problema alla radice del complicato rapporto tra cittadino e fiscalità, eccessivamente basata sulla presunzione di una capacità contributiva dei singoli non sempre giustificata e supportata da una normativa che, definire demenziale, non rende del tutto giustizia al mostro giuridico tributario. C’è poi da rilevare che il complesso delle norme tributarie è stato costruito con una logica d’inversione della prova, che di per se stessa non può che ritenersi vessatoria e, dunque, costituire un palese abuso d’autorità dello stato sul cittadino.
Sino a quando il cittadino sarà ritenuto titolare di un reddito presunto del quale render conto all’ufficio tributario, dunque obbligato a dimostrare la propria innocenza, e non si passerà ad un sistema in cui competa allo stato dimostrare la fondatezza delle proprie pretese, non si potrà mai parlare di giustizia fiscale e non ci sarà mai alcun regolamento attendibile in grado di disincentivare i comportamenti che Tremonti interpreta come persecutori. Di fronte alla presunzione di colpevolezza ogni comportamento teso a certificarne la sussistenza non può che considerarsi “adeguato” e coerente, al di là di ciò che dichiara il ministro.
Ma ciò che preoccupa in questa ennesima vicenda, che denota semmai la propensione endemica alla comicità del governo incarica, è il significato e la ricaduta che avrà una tale iniziativa nella lotta all’evasione fiscale, che nel nostro Paese ha una consistenza rilevantissima. E’ più che prevedibile che saranno tanti coloro che grideranno all’accanimento inquisitorio, magari avvalendosi anche della protezione e dell’intervento di un qualche potentato, per scrollarsi di dosso fastidiosi quanto pericolosi controlli e verifiche del fisco e continuare così ad evadere allegramente.
Ed in questa più verosimile ipotesi non vorremmo che il ministro Tremonti, nel tentativo elettoralistico di ingraziarsi le imprese, abbia finito solo per fare un regalo alla schiera degli evasori occulti, che, - ripetiamo con forza, - sono tanti e il cui valore d’evasione è stimato aver raggiunto la cifra di 150 miliardi circa.
Ciò non significa non bisognasse intervenire sulla materia, peraltro con colpevole ritardo. Ma sull’argomento non è lecito pensare d’intervenire con la consueta demagogia e con i colpi di teatro ad effetto. A nostro avviso è tutta l’impalcatura fiscale che necessiterebbe d’una profonda riforma, a cominciare dall’obbligo esteso a tutti i comparti di emissione di un documento fiscale per qualunque servizio reso a terzi e con riconosciuto diritto al fruitore di quel servizio di detrarre dal proprio imponibile una quota significativa dell’onere sostenuto. Fino a quando non verrà concepito un sistema fiscale che incentivi la pretesa della fattura, sarà parimenti inefficace l’obbligo di rilascio di tale documento, dato che per il fruitore significherà solo aumentare il suo esborso del 20% senza alcun vantaggio tangibile.
Allo stesso tempo gli uffici tributari sanno assolutamente bene quali siano le categorie a maggior rischio d’evasione e non occorre certo una complicata architettura di controllo per stanare gli evasori incalliti o reprimere gli abusi cui giornalmente qualunque cittadino assiste o soggiace alla luce del sole. Certo, è chiaro che sino a quando per dimostrare la grande efficienza dei sistemi di repressione e controllo si andrà a perseguire con multe milionarie quanto ridicole i bambini che hanno acquistato un gelato o le caramelle senza essersi fatti rilasciare uno scontrino fiscale, allora non si potrà parlare di fisco credile ed equo, ma piuttosto di vero e proprio impianto criminale organizzato per perseguitare il cittadino, di meccanismo messo in piedi con l'obiettivo di offrire una distorta visione della propria efficienza grazie al rigore che impone sui più deboli.
Ma forse reclamare riforme fiscali in questa direzione significa non aver capito in che razza di Paese siamo condannati a vivere, Paese in cui la richiesta di giustizia sembra equivalere all’insensata pretesa di raddrizzare le gambe ai cani.
Lo ha detto Tremonti, quel Giulio noto per l’inflessibilità e per il rigore con i quali ha gestito sino ad oggi i conti del governo Berlusconi. Anzi, il novello Quintino Sella dell’economia italiana, ha fatto sapere di aver preso accordi con il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, - che in quanto ad efficacia nel cavare sangue dalle rape ha persino oscurato la CIA di Obama, - che a breve sarà stilato un decalogo cui dovrà ispirarsi il comportamento del personale dell’Ente nell’esecuzione dei controlli e che implicherà sanzioni serie a carico dei dipendenti trasgressori.
Francamente confessiamo di non nutrire alcuna simpatia per l’Agenzia delle Entrate e per i metodi che utilizza da sempre per ingrassare le entrate fiscali. Tuttavia, è vero che spesso certi metodi lasciano percepire una sorta di accanimento terapeutico nei confronti del contribuente, ma da qui a concretizzare un intervento come quello in questione ne corre veramente.
In primo luogo l’iniziativa ci pare trascuri di prendere in considerazione il vero problema alla radice del complicato rapporto tra cittadino e fiscalità, eccessivamente basata sulla presunzione di una capacità contributiva dei singoli non sempre giustificata e supportata da una normativa che, definire demenziale, non rende del tutto giustizia al mostro giuridico tributario. C’è poi da rilevare che il complesso delle norme tributarie è stato costruito con una logica d’inversione della prova, che di per se stessa non può che ritenersi vessatoria e, dunque, costituire un palese abuso d’autorità dello stato sul cittadino.
Sino a quando il cittadino sarà ritenuto titolare di un reddito presunto del quale render conto all’ufficio tributario, dunque obbligato a dimostrare la propria innocenza, e non si passerà ad un sistema in cui competa allo stato dimostrare la fondatezza delle proprie pretese, non si potrà mai parlare di giustizia fiscale e non ci sarà mai alcun regolamento attendibile in grado di disincentivare i comportamenti che Tremonti interpreta come persecutori. Di fronte alla presunzione di colpevolezza ogni comportamento teso a certificarne la sussistenza non può che considerarsi “adeguato” e coerente, al di là di ciò che dichiara il ministro.
Ma ciò che preoccupa in questa ennesima vicenda, che denota semmai la propensione endemica alla comicità del governo incarica, è il significato e la ricaduta che avrà una tale iniziativa nella lotta all’evasione fiscale, che nel nostro Paese ha una consistenza rilevantissima. E’ più che prevedibile che saranno tanti coloro che grideranno all’accanimento inquisitorio, magari avvalendosi anche della protezione e dell’intervento di un qualche potentato, per scrollarsi di dosso fastidiosi quanto pericolosi controlli e verifiche del fisco e continuare così ad evadere allegramente.
Ed in questa più verosimile ipotesi non vorremmo che il ministro Tremonti, nel tentativo elettoralistico di ingraziarsi le imprese, abbia finito solo per fare un regalo alla schiera degli evasori occulti, che, - ripetiamo con forza, - sono tanti e il cui valore d’evasione è stimato aver raggiunto la cifra di 150 miliardi circa.
Ciò non significa non bisognasse intervenire sulla materia, peraltro con colpevole ritardo. Ma sull’argomento non è lecito pensare d’intervenire con la consueta demagogia e con i colpi di teatro ad effetto. A nostro avviso è tutta l’impalcatura fiscale che necessiterebbe d’una profonda riforma, a cominciare dall’obbligo esteso a tutti i comparti di emissione di un documento fiscale per qualunque servizio reso a terzi e con riconosciuto diritto al fruitore di quel servizio di detrarre dal proprio imponibile una quota significativa dell’onere sostenuto. Fino a quando non verrà concepito un sistema fiscale che incentivi la pretesa della fattura, sarà parimenti inefficace l’obbligo di rilascio di tale documento, dato che per il fruitore significherà solo aumentare il suo esborso del 20% senza alcun vantaggio tangibile.
Allo stesso tempo gli uffici tributari sanno assolutamente bene quali siano le categorie a maggior rischio d’evasione e non occorre certo una complicata architettura di controllo per stanare gli evasori incalliti o reprimere gli abusi cui giornalmente qualunque cittadino assiste o soggiace alla luce del sole. Certo, è chiaro che sino a quando per dimostrare la grande efficienza dei sistemi di repressione e controllo si andrà a perseguire con multe milionarie quanto ridicole i bambini che hanno acquistato un gelato o le caramelle senza essersi fatti rilasciare uno scontrino fiscale, allora non si potrà parlare di fisco credile ed equo, ma piuttosto di vero e proprio impianto criminale organizzato per perseguitare il cittadino, di meccanismo messo in piedi con l'obiettivo di offrire una distorta visione della propria efficienza grazie al rigore che impone sui più deboli.
Ma forse reclamare riforme fiscali in questa direzione significa non aver capito in che razza di Paese siamo condannati a vivere, Paese in cui la richiesta di giustizia sembra equivalere all’insensata pretesa di raddrizzare le gambe ai cani.
(nella foto, Attilio Befera, direttore dell'Agenzia delle Entrate)
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