Le ragioni della sconfitta
Mercoledì, 18 maggio 2011
Il quadro venuto fuori dalla tornata elettorale appena conclusa dice alcune cose molto precise.
Innanzi tutto, certifica le astiose dichiarazioni preelettorali di Berlusconi come una bufala senza senso: quelli della sinistra non si lavano e dunque puzzano. Salvo che a Napoli l’olezzo di De Magistris non sia stato confuso con quello della spazzatura che ammorba la città, l’allarme del leader del PdL è caduto nel vuoto, anzi ad esser più precisi nel cestino della monnezza.
Sì, è vero. L’odioso linguaggio del premier è infarcito di simbolismi e di retorica, ma per quanto questa volta la canzone stonata sulle virtù della sinistra fosse chiaramente una forzatura costruita ad arte per attirare il voto di conservatori e dei simpatizzanti del Cavaliere, non ci sono stati abboccamenti e quel 43% di voti incassati da De Magistris e da Morcone, rispettivamente IdV e PD, contro il 40% di Lettieri, candidato del centro-destra, dimostrano come la gente sia fortemente disillusa delle chiacchiere ad effetto e delle promesse al vento.
Sul fronte opposto i risultati dicono che il PD da solo non va molto lontano: a Napoli il suo candidato è stato irrimediabilmente trombato a favore di quello dell’IdV; a Milano trionfa Pisapia che non è mai stato nei ranghi del partito di Bersani; a Bologna il candidato del PD si afferma per il rotto della cuffia, ma cede quasi il 10% ai giullari di Beppe Grillo; a Torino piazza Piero Fassino, ancora fresco di naftalina, e porta a casa un successo certamente importante, ma che è lontano dai numeri delle precedenti elezioni.
I dati consiglierebbero a Bersani e alla nomenklatura del PD di smettere il corteggiamento impossibile a Casini e Fini, quell’area di centro autodefinitasi terzo polo, che al voto non solo non ha sfondato, ma ha visto ridurre il proprio peso proprio in quel FLI che avrebbe dovuto erodere consensi al PdL. Sarebbe invece opportuno avvicinarsi a Vendola, la cui stima dell’elettorato sembra esponenzialmente aumentata: i risultati di Cagliari, dove il candidato del SEL, un emerito sconosciuto dal nome Zedda, ha portato a casa un sonoro 45%, che lo manda direttamente al ballottaggio con il centro-destra rappresentato da Fantoni confermano l'esistenza di una nuova strada per interpretare un ruolo progressista.
Ma i segnali più inquietanti sono arrivati per Lega e PdL, o se si preferisce per Bossi e Berlusconi. Il primo ridimensionato di brutto rispetto ai risultati delle regionali (- 3,5/4%), pur se in crescita rispetto alle precedenti comunali (+ 6% circa), il secondo clamorosamente in rotta (- 13/14% sulle precedenti regionali e – 7% circa sulle precedenti comunali), pur se occorre tener presene il peso dello strappo di Fini e dei suoi, che hanno eroso significativi consensi al partito del premier.
Adesso c’è la corsa ai ripari per tamponare le falle evidenziatesi e per sperare di ribaltare una situazione che sembra assai compromessa.
Mentre è abbastanza agevole cogliere le ragioni di una rinascita della coscienza d’opposizione, più frutto degli errori gravissimi compiuti da Lega, PdL e dall’armata sgangherata del Cavaliere che non dall’opera di ricostruzione di una sinistra ancora troppo divisa e a corto di idee, è più difficile elencare i demeriti del centro-destra e impostare con la rapidità richiesta dai ballottaggi previsti a breve le contromosse che possano minimizzare i danni.
La Lega, - al di là dei piagnistei e delle accuse lanciate ai soci del PdL, - perde e persino male in casa propria e deve questa débâcle all’equivoco atteggiamento tenuto in sede governativa, alle copertura sistematiche offerte alle lazzaronate del Cavaliere ed ai tentativi malriusciti di questo di ritagliarsi un abito su misura di impunità per le proprie malefatte. In questo Bossi e compagni hanno dimostrato un pericolosissimo distacco dalla gente, da quella gente che ha da sempre aderito al patto con il Carroccio sulla base della trasparenza e dell’onestà, veri valori di contrapposizione con la politica tradizionale. Gli equilibrismi bossiani improvvisati per portare a casa un federalismo che genererà più oneri che vantaggi, - il classico pugno di mosche, - non sono stati condivisi dal corpo elettorale e se la musica non cambia c’è il rischio che sul viale del tramonto parecchi esponenti dei vertici leghisti accompagneranno Silvio Berlusconi.
Per il PdL , - è inutile cincischiare ed edulcorare la pillola, - l’errore è Berlusconi, il suo modo ostinato di porsi, di perseverare senza risparmiare i toni in attacchi sconsiderati a destra e a manca, Quirinale compreso, le sbornie di consenso provenienti dalle quattro concioni ad una plebe prezzolata all’uscita dal tribunale, all’irrefrenabile pulsione sessuale soddisfatta con disprezzo verso l’off limits, con un linguaggio da scaricatore di porto verso magistratura, istituzioni e avversari. D’altra parte, è stato il suo delirio d’onnipotenza che lo ha portato a trasformare una competizione elettorale locale, pur se importante, in una sorta di referendum sul suo gradimento e che l’elettorato gli abbia solo dimezzato i consensi personali e non lo abbia inseguito, picconi e falci alla mano, è già qualcosa che lui per primo dovrebbe considerare un successo.
Certo, a questa fragorosa rovina del castello di don Silvio hanno dato una mano significativa i Ferrara, i Santanché, i Sallusti, i Belpietro, i Cicchitto, i La Russa e tutta quell’umanità frustrata salita sul suo carro nel momento della vittoria e messasi a scimmiottare i metodi del Capo, convinta che in una nazione piegata dalla crisi economica e ricattata sul lavoro, con un parco di giovani smidollati e sfruttati dalla precarietà incapaci di ribellarsi ad ogni abuso, con l’azzeramento dei diritti per i più e la creazione di prelibate opportunità per la catena degli amici e degli amici degli amici, si potesse consolidare la presenza di una classe dirigente spocchiosa, strafottente, vorace e impunita. E a nulla sono valsi gli allarmi lanciati sui pericoli che si nascondevano dietro un tale modo di governare il Paese.
Ecco, e se tutto questo è vero e riscontrabile con qualsiasi breve excursus si volesse fare nella storia recente dell’Italia, è altrettanto vero che la radicazione di questi metodi di governo è tale da rendere assai poco probabile un’inversione a 180 gradi, che ridia credibilità ad un sistema di potere screditato.
Adesso tregua apparente sino ai ballottaggi per poi assistere alla vera e cruenta resa dei conti.
(nella foto, il candidato sindaco di Cagliari Massimo Zedda, autore al primo turno di una performance sorprendente)
Innanzi tutto, certifica le astiose dichiarazioni preelettorali di Berlusconi come una bufala senza senso: quelli della sinistra non si lavano e dunque puzzano. Salvo che a Napoli l’olezzo di De Magistris non sia stato confuso con quello della spazzatura che ammorba la città, l’allarme del leader del PdL è caduto nel vuoto, anzi ad esser più precisi nel cestino della monnezza.
Sì, è vero. L’odioso linguaggio del premier è infarcito di simbolismi e di retorica, ma per quanto questa volta la canzone stonata sulle virtù della sinistra fosse chiaramente una forzatura costruita ad arte per attirare il voto di conservatori e dei simpatizzanti del Cavaliere, non ci sono stati abboccamenti e quel 43% di voti incassati da De Magistris e da Morcone, rispettivamente IdV e PD, contro il 40% di Lettieri, candidato del centro-destra, dimostrano come la gente sia fortemente disillusa delle chiacchiere ad effetto e delle promesse al vento.
Sul fronte opposto i risultati dicono che il PD da solo non va molto lontano: a Napoli il suo candidato è stato irrimediabilmente trombato a favore di quello dell’IdV; a Milano trionfa Pisapia che non è mai stato nei ranghi del partito di Bersani; a Bologna il candidato del PD si afferma per il rotto della cuffia, ma cede quasi il 10% ai giullari di Beppe Grillo; a Torino piazza Piero Fassino, ancora fresco di naftalina, e porta a casa un successo certamente importante, ma che è lontano dai numeri delle precedenti elezioni.
I dati consiglierebbero a Bersani e alla nomenklatura del PD di smettere il corteggiamento impossibile a Casini e Fini, quell’area di centro autodefinitasi terzo polo, che al voto non solo non ha sfondato, ma ha visto ridurre il proprio peso proprio in quel FLI che avrebbe dovuto erodere consensi al PdL. Sarebbe invece opportuno avvicinarsi a Vendola, la cui stima dell’elettorato sembra esponenzialmente aumentata: i risultati di Cagliari, dove il candidato del SEL, un emerito sconosciuto dal nome Zedda, ha portato a casa un sonoro 45%, che lo manda direttamente al ballottaggio con il centro-destra rappresentato da Fantoni confermano l'esistenza di una nuova strada per interpretare un ruolo progressista.
Ma i segnali più inquietanti sono arrivati per Lega e PdL, o se si preferisce per Bossi e Berlusconi. Il primo ridimensionato di brutto rispetto ai risultati delle regionali (- 3,5/4%), pur se in crescita rispetto alle precedenti comunali (+ 6% circa), il secondo clamorosamente in rotta (- 13/14% sulle precedenti regionali e – 7% circa sulle precedenti comunali), pur se occorre tener presene il peso dello strappo di Fini e dei suoi, che hanno eroso significativi consensi al partito del premier.
Adesso c’è la corsa ai ripari per tamponare le falle evidenziatesi e per sperare di ribaltare una situazione che sembra assai compromessa.
Mentre è abbastanza agevole cogliere le ragioni di una rinascita della coscienza d’opposizione, più frutto degli errori gravissimi compiuti da Lega, PdL e dall’armata sgangherata del Cavaliere che non dall’opera di ricostruzione di una sinistra ancora troppo divisa e a corto di idee, è più difficile elencare i demeriti del centro-destra e impostare con la rapidità richiesta dai ballottaggi previsti a breve le contromosse che possano minimizzare i danni.
La Lega, - al di là dei piagnistei e delle accuse lanciate ai soci del PdL, - perde e persino male in casa propria e deve questa débâcle all’equivoco atteggiamento tenuto in sede governativa, alle copertura sistematiche offerte alle lazzaronate del Cavaliere ed ai tentativi malriusciti di questo di ritagliarsi un abito su misura di impunità per le proprie malefatte. In questo Bossi e compagni hanno dimostrato un pericolosissimo distacco dalla gente, da quella gente che ha da sempre aderito al patto con il Carroccio sulla base della trasparenza e dell’onestà, veri valori di contrapposizione con la politica tradizionale. Gli equilibrismi bossiani improvvisati per portare a casa un federalismo che genererà più oneri che vantaggi, - il classico pugno di mosche, - non sono stati condivisi dal corpo elettorale e se la musica non cambia c’è il rischio che sul viale del tramonto parecchi esponenti dei vertici leghisti accompagneranno Silvio Berlusconi.
Per il PdL , - è inutile cincischiare ed edulcorare la pillola, - l’errore è Berlusconi, il suo modo ostinato di porsi, di perseverare senza risparmiare i toni in attacchi sconsiderati a destra e a manca, Quirinale compreso, le sbornie di consenso provenienti dalle quattro concioni ad una plebe prezzolata all’uscita dal tribunale, all’irrefrenabile pulsione sessuale soddisfatta con disprezzo verso l’off limits, con un linguaggio da scaricatore di porto verso magistratura, istituzioni e avversari. D’altra parte, è stato il suo delirio d’onnipotenza che lo ha portato a trasformare una competizione elettorale locale, pur se importante, in una sorta di referendum sul suo gradimento e che l’elettorato gli abbia solo dimezzato i consensi personali e non lo abbia inseguito, picconi e falci alla mano, è già qualcosa che lui per primo dovrebbe considerare un successo.
Certo, a questa fragorosa rovina del castello di don Silvio hanno dato una mano significativa i Ferrara, i Santanché, i Sallusti, i Belpietro, i Cicchitto, i La Russa e tutta quell’umanità frustrata salita sul suo carro nel momento della vittoria e messasi a scimmiottare i metodi del Capo, convinta che in una nazione piegata dalla crisi economica e ricattata sul lavoro, con un parco di giovani smidollati e sfruttati dalla precarietà incapaci di ribellarsi ad ogni abuso, con l’azzeramento dei diritti per i più e la creazione di prelibate opportunità per la catena degli amici e degli amici degli amici, si potesse consolidare la presenza di una classe dirigente spocchiosa, strafottente, vorace e impunita. E a nulla sono valsi gli allarmi lanciati sui pericoli che si nascondevano dietro un tale modo di governare il Paese.
Ecco, e se tutto questo è vero e riscontrabile con qualsiasi breve excursus si volesse fare nella storia recente dell’Italia, è altrettanto vero che la radicazione di questi metodi di governo è tale da rendere assai poco probabile un’inversione a 180 gradi, che ridia credibilità ad un sistema di potere screditato.
Adesso tregua apparente sino ai ballottaggi per poi assistere alla vera e cruenta resa dei conti.
(nella foto, il candidato sindaco di Cagliari Massimo Zedda, autore al primo turno di una performance sorprendente)
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