Il pizzo di stato
Mercoledì, 15 giugno 2011
La polemica sull’uscita dalla RAI di Michele Santoro non si è ancora spenta e già si delinea all’orizzonte l’ennesima querelle sulle nuove nomine nell’ente televisivo di stato e, come se non bastasse, la nuova puntata del dibattito sul canone.
Avevamo scritto alcuni giorni or sono che l’uscita di Santoro e la cancellazione dal palinsesto RAI di Anno Zero per volere di Silvio Berlusconi avrebbero prodotto un vistoso buco nei già malsani conti dell’emittente pubblica, con la conseguenza che la Lei, nell’informare il ministro Romani del colpaccio messo a segno con il definitivo allontanamento dello scomodo conduttore, aveva già chiesto che il governo programmasse un adeguato incremento delle entrate dell’ente, per evitare un ampliamento della voragine dei conti.
Prontamente Romani aveva garantito che la questione sarebbe stata esaminata a tempo debito dal governo, magari con l’approvazione delle norma incostituzionale che farebbe caricare il canone sulla bolletta elettrica, in modo da garantire un azzeramento dell’evasione, in barba ad ogni principio di certezza di un’imposizione connessa con l’effettivo possesso di un apparecchio radiotelevisivo. Poco importa a Romani ed al governo al quale appartiene muoversi con maggiore impegno per scovare l’evasione e, dunque, ricorrere ai mezzi legali per introitare le tasse. E’ più facile percorrere le scorciatoie, ancorché illegali, colpendo alla cieca ed imponendo un pizzo indiscriminato anche ai cittadini che una tv non possiedono o che, se ce l’hanno, non è detto che debbano necessariamente collegarsi agli squalificatissimi programmi della RAI. Sicché una nuova vertenzialità diffusa si disegna all’orizzonte, qualora il canone fosso imposto a chiunque sia titolare di un contratto di fornitura d’energia elettrica.
Ma la questione, a ben guardare, non è limitabile alla censura di questi atti di spocchiosa quanto miserabile arroganza di un governo che non sa far di meglio che abusare del potere che il ruolo gli attribuisce. La questione del canone va considerata sotto l’aspetto della interferenza pesantissima della politica nella vita della RAI, interferenza con la quale si pretende di ammannire al cittadina, senza alcuna possibilità di dissenso, ciò che il potere dominante ritiene più funzionale ai propri biechi interessi di parte.
Questo metodo di condizionamento dell’informazione e della cultura in generale è intollerabile e degno delle più squallide e esecrande dittature oscurantiste, che usano mezzi di persuasione di massa a supporto delle azione del regime. E che poi il cittadino debba pagare persino per il proprio indottrinamento pare francamente cosa che supera ogni limite di accettazione.
Se la RAI deve risanare il proprio bilancio lo faccia attraverso la rimozione degli assurdi paletti che impongono un tetto alla raccolta pubblicitaria, oppure, visto che gli strumenti tecnologici non mancano, trasmetta con segnale criptato fruibile esclusivamente da coloro che pagano un canone d’abbonamento ai suoi programmi, come d’altronde fanno innumerevoli emittenti come Sky. Ma la condizione essenziale è che la politica, quest’infezione maledetta che ammorba l’ente pubblico, esca definitivamente da viale Mazzini e governi il proprio gradimento con l’ausilio degli organi di partito, anche quelli d’altra parte pagati con i contributi forzosi dei cittadini.
La verità è che uno stato come il nostro rappresenta una vera anomalia nel consesso non solo dei paesi sviluppati ma persino di quelli civili, poiché i meccanismi di condizionamento dell’informazione, che non si fermano ai soli mezzi radiotelevisivi ma invadono prepotentemente anche la carta stampata, sono l’evidenza di una malattia gravissima che menoma la stessa democrazia. Il potere politico italiano si comporta come un vero e proprio politburo che intende sovrintendere e controllare nel tentativo di addomesticarne le ricadute l’informazione e la modalità con la quale viene erogata ai cittadini. Il potere dominante esige che si faccia omaggio a ciò che gli fa comodo ed impone la manipolazione o la censura delle notizie che considera scomode per la sua immagine e per il suo accreditamento; e per perpetrare questo liberticidio continuato impone nelle posizioni chiave amministratori, direttori e persino giornalisti, un esercito di pasdaran che infestano l’informazione come le pulci un randagio.
Bisogna comunque riconoscere che quest’invasione dell’emittente pubblica da parte della politica non è solo vezzo dei nostri tempi. Il governo in carica si muove sulla scia di una tradizione più che consolidata, che costituisce l’approccio storico con il quale maggioranze ed opposizioni hanno guardato il servizio pubblico, ritenuto luogo di scorribande lottizzatorie, terreno di conquista dal quale lanciare proclami automagnificanti o screditare gli avversari, - il tutto a spese dei cittadini finanche perseguitati da un campione d’impagabile protervia come l’URAR di Torino, estorsore ufficiale addetto all’incasso dei canoni d’abbonamento o alla sollecitazione dei recalcitranti (veri o presunti).
E allora è ormai tempo di dire basta a questo sistema, dove ogni servizio, anche quello che apparirebbe follia far pagare è utilizzato da una politica senza scrupoli per proprio tornaconto vessando il cittadino. E se qualcuno di coloro che siedono in parlamento ha effettivamente a cuore la libera informazione e la salvaguardia dei redditi dei cittadini, - anche il canone ha un suo valore, - allora che venga allo scoperto e si faccia promotore di un referendum di civiltà come quello della privatizzazione della RAI, che cancellerebbe l’odioso balzello del canone e, soprattutto, tolglierebbe definitivamente dalle mani della politica l’uso mostruoso della tv come strumento di manipolazione di massa.
Avevamo scritto alcuni giorni or sono che l’uscita di Santoro e la cancellazione dal palinsesto RAI di Anno Zero per volere di Silvio Berlusconi avrebbero prodotto un vistoso buco nei già malsani conti dell’emittente pubblica, con la conseguenza che la Lei, nell’informare il ministro Romani del colpaccio messo a segno con il definitivo allontanamento dello scomodo conduttore, aveva già chiesto che il governo programmasse un adeguato incremento delle entrate dell’ente, per evitare un ampliamento della voragine dei conti.
Prontamente Romani aveva garantito che la questione sarebbe stata esaminata a tempo debito dal governo, magari con l’approvazione delle norma incostituzionale che farebbe caricare il canone sulla bolletta elettrica, in modo da garantire un azzeramento dell’evasione, in barba ad ogni principio di certezza di un’imposizione connessa con l’effettivo possesso di un apparecchio radiotelevisivo. Poco importa a Romani ed al governo al quale appartiene muoversi con maggiore impegno per scovare l’evasione e, dunque, ricorrere ai mezzi legali per introitare le tasse. E’ più facile percorrere le scorciatoie, ancorché illegali, colpendo alla cieca ed imponendo un pizzo indiscriminato anche ai cittadini che una tv non possiedono o che, se ce l’hanno, non è detto che debbano necessariamente collegarsi agli squalificatissimi programmi della RAI. Sicché una nuova vertenzialità diffusa si disegna all’orizzonte, qualora il canone fosso imposto a chiunque sia titolare di un contratto di fornitura d’energia elettrica.
Ma la questione, a ben guardare, non è limitabile alla censura di questi atti di spocchiosa quanto miserabile arroganza di un governo che non sa far di meglio che abusare del potere che il ruolo gli attribuisce. La questione del canone va considerata sotto l’aspetto della interferenza pesantissima della politica nella vita della RAI, interferenza con la quale si pretende di ammannire al cittadina, senza alcuna possibilità di dissenso, ciò che il potere dominante ritiene più funzionale ai propri biechi interessi di parte.
Questo metodo di condizionamento dell’informazione e della cultura in generale è intollerabile e degno delle più squallide e esecrande dittature oscurantiste, che usano mezzi di persuasione di massa a supporto delle azione del regime. E che poi il cittadino debba pagare persino per il proprio indottrinamento pare francamente cosa che supera ogni limite di accettazione.
Se la RAI deve risanare il proprio bilancio lo faccia attraverso la rimozione degli assurdi paletti che impongono un tetto alla raccolta pubblicitaria, oppure, visto che gli strumenti tecnologici non mancano, trasmetta con segnale criptato fruibile esclusivamente da coloro che pagano un canone d’abbonamento ai suoi programmi, come d’altronde fanno innumerevoli emittenti come Sky. Ma la condizione essenziale è che la politica, quest’infezione maledetta che ammorba l’ente pubblico, esca definitivamente da viale Mazzini e governi il proprio gradimento con l’ausilio degli organi di partito, anche quelli d’altra parte pagati con i contributi forzosi dei cittadini.
La verità è che uno stato come il nostro rappresenta una vera anomalia nel consesso non solo dei paesi sviluppati ma persino di quelli civili, poiché i meccanismi di condizionamento dell’informazione, che non si fermano ai soli mezzi radiotelevisivi ma invadono prepotentemente anche la carta stampata, sono l’evidenza di una malattia gravissima che menoma la stessa democrazia. Il potere politico italiano si comporta come un vero e proprio politburo che intende sovrintendere e controllare nel tentativo di addomesticarne le ricadute l’informazione e la modalità con la quale viene erogata ai cittadini. Il potere dominante esige che si faccia omaggio a ciò che gli fa comodo ed impone la manipolazione o la censura delle notizie che considera scomode per la sua immagine e per il suo accreditamento; e per perpetrare questo liberticidio continuato impone nelle posizioni chiave amministratori, direttori e persino giornalisti, un esercito di pasdaran che infestano l’informazione come le pulci un randagio.
Bisogna comunque riconoscere che quest’invasione dell’emittente pubblica da parte della politica non è solo vezzo dei nostri tempi. Il governo in carica si muove sulla scia di una tradizione più che consolidata, che costituisce l’approccio storico con il quale maggioranze ed opposizioni hanno guardato il servizio pubblico, ritenuto luogo di scorribande lottizzatorie, terreno di conquista dal quale lanciare proclami automagnificanti o screditare gli avversari, - il tutto a spese dei cittadini finanche perseguitati da un campione d’impagabile protervia come l’URAR di Torino, estorsore ufficiale addetto all’incasso dei canoni d’abbonamento o alla sollecitazione dei recalcitranti (veri o presunti).
E allora è ormai tempo di dire basta a questo sistema, dove ogni servizio, anche quello che apparirebbe follia far pagare è utilizzato da una politica senza scrupoli per proprio tornaconto vessando il cittadino. E se qualcuno di coloro che siedono in parlamento ha effettivamente a cuore la libera informazione e la salvaguardia dei redditi dei cittadini, - anche il canone ha un suo valore, - allora che venga allo scoperto e si faccia promotore di un referendum di civiltà come quello della privatizzazione della RAI, che cancellerebbe l’odioso balzello del canone e, soprattutto, tolglierebbe definitivamente dalle mani della politica l’uso mostruoso della tv come strumento di manipolazione di massa.
0 Commenti:
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page