giovedì, giugno 09, 2011

La disfatta di Capranica

Giovedì, 9 giugno 2011
L’esterno del teatro Capranica è gremito. Una lunga teoria di limousine, cocchi e auto blu, messe a disposizione dai padroni ai convenuti, sfila lenta e ordinata. Da questi mezzi scendono silenziosi uomini e donne, in divisa grigia o blu per gli uomini, in nero con merletto bianco per le donne. Tutti indossano rigorosamente guanti bianchi di lino, simbolo inequivocabile della professione che svolgono per conto dei padroni di quei mezzi. Sono i camerieri, i servi, che si sono dati convegno in questo teatro romano per un disperato appello ai loro padroni, primo fra tutti Silvio Berlusconi, affinché mutino rotta e diano rilancio al ruolo politico che svolgono e così non compromettere il lavoro di tanti servitori, che rischiano, con la caduta dei loro signori, di restare disoccupati.
Spiccano le figure di Giuliano Ferrara, Mario Sechi, Vittorio Feltri, Maurizio Belpietro, Alessandro Sallusti, comitato promotore di questo meeting di servi indomiti e speranzosi, che in una sala gremita lanciano il loro grido di dolore e si augurano vengano ascoltate le loro preghiere, affinché Silvio Berlusconi, presente con una figura di cartone e primus di una nobiltà politica in caduta verticale, ritorni ai fasti del passato con un’azione convincente e incisiva, che ridia all’élite che rappresenta una dignità ed una credibilità persa con la bruciante sconfitta alle amministrative.
Sanno Ferrara, Belpietro, Sallusti e tutti i convenuti che la loro credibilità, la loro capacità di porsi ad esempio di una plebe che guarda loro come alla creme di un servilismo quasi animalesco, come quello di una muta di cani un tempo randagi e adesso fedeli, pronti ad azzannare con scellerata crudeltà chiunque abbia osato attaccare il padrone, è in bilico e i cellulari degli accalappia cani che si nascondono nelle viuzze adiacenti il Capranica lasciano presagire cosa accadrà alla definitiva sconfitta dei loro padroni, gli stessi che esortano là in disperato appello.
E l’appello vuole e deve essere forte. Per renderlo ancora più efficace il capo della servitù, il leader di questa mesta teoria di camerieri, Giuliano Ferrara, coinvolge nel dibattito anche alcuni degli esponenti della “nobiltà” presenti in sala (Daniela Santanché, Alessandra Mussolini e i ministri Giancarlo Galan e Giorgia Meloni), emeriti Signor Nessuno, divenuti membri di un oligarchia di potere grazie alla loro inclinazione naturale ad ubbidire silenti ad ogni ordine del Principe di Arcore, pronti a subire qualunque umiliazione personale pur di restare attaccati al carro del potere guidato dal loro duce. Poi, giusto per conferire una dignità improbabile a questa autoconvocazione, sono stati chiamati al meeting tre "infiltrati" di sinistra: Piero Sansonetti, Ritanna Armeni e Marina Terragni, nella convinzione che la presenza di un potenziale dissenso possa da un lato conferire alla kermesse la facciata di una democraticità da sempre estranea all’ideologia dei partecipanti e, dall’altro, ringalluzzire la coesione qualora qualcuno dei pellegrini dissidenti sciorini una qualche critica o invettiva nei confronti del Duce Massimo.
Ed è ciò che avviene, quando Marina Terragni in un impeto di crudele chiarezza decide di spiegare ai presenti che «Berlusconi è vecchio, è muffa, ai giovani non piace più». Sono bordate di fischi e insulti, sintomo evidente di quanto la verità faccia male e conferma di quanto il meeting, l’appello della giornata, finirà per essere solo un tentativo senza speranza. Eppure forse la stessa cosa la pensa Sallusti che, tra il serio e il faceto, esordisce spiegando che quello messo in scena al Capranica è un vero e proprio «regicidio» e che per tale reato c'è la «pena di morte» e c'è da credergli, lui con quella faccia se ne intende e di morti con la penna qualcuno l'ha già fatto. «Attenzione a buttare una classe dirigente vincente» avverte il direttore de il Giornale, facendo esplicito riferimento al "triumviro" Denis Verdini che ha da poco lasciato la sala. Ma da Ferrara a Sechi, passando per Feltri e Belpietro, il messaggio è chiaro. «Il premier è indebolito» - spiega il direttore de il Foglio - «smetta di vivacchiare; rimedi a questa situazione negativa rimettendosi in gioco e avviando una battaglia per il risveglio della politica». «O Berlusconi cambia» - gli fa eco Sechi, direttore de il Tempo di Roma - «o gli elettori cambiano lui».
Maurizio Belpietro, incapace di abbandonare il ghigno che gli disegna normalmente il volto, non ha dubbi: «Bisogna ascoltare di più l'elettorato. Sarà anche sgradevole sentirselo dire, ma è un fatto che la sconfitta ci sia stata». Ma Feltri è pronto a recuperare, a distribuire la necessaria dose di coramina ad una sala in evidente disagio: «Non facciamo funerali in assenza della salma, perché il campionato è ancora lungo e in testa c'è ancora il Pdl. E poi bisogna arrivare al 2013 in condizioni di vincere le elezioni, perché la sinistra non c'è. Se l'avversario sarà Bersani e la sinistra vince io vengo qui e mi sparo». Feltri qui conclude alla Mastella, nella speranza che almeno lui, uomo di parola, voglia tener fede all’impegno qualora i fatti dovessero confermare la sua ipotesi.
Anche i Signor Nessuno non sfuggono alla logica del processo che sembra aver preso il sopravvento sul tema originario della kermesse. Galan, ad esempio, invita a riflettere sulle «promesse del '94 che non abbiamo mantenuto», quelle del famoso “patto con gli Italiani” siglato da Silvio Berlusconi in una storica sceneggiata nella trasmissione Porta a Porta di Bruno Vespa. Daniela Santanché chiede che Berlusconi sia messo nelle condizioni di comandare di più (sic!), dando la sensazione con la sortita che per tutto il tempo in cui hanno parlato gli altri avesse più la testa ai festini del Billionaire di Briatore che al tema in sala. Alessandra Mussolini ritiene che il Cavaliere sia mal consigliato e cita ad esempio la scelta del candidato alle amministrative di Napoli: «Lettieri sembrava un agente immobiliare», quasi che quella categoria professionale debba ritenersi impresentabile o indegna della politica. Peccato che nessuno dei presenti, - evidentemente psicologicamente addomesticati, - non abbia chiesto alla signora post-fascista perché la faccia non ce labbia messa lei: chissà, magari avrebbe avuto avuto maggior successo elettorale quella di una “vaiassa” come ebbe a definirla Mara Carfagna. Ma la voglia di cambiare passo è nell'aria. Occorre «spalancare le porte alla partecipazione popolare» esorta il ministro Meloni, ammettendo con giovanile candore come, a dispetto del suo nome, il PdL sia un partito nel quale la parola libertà sia ad uso e consumo del suo leader piuttosto che del popolo che dichiara pomposamente di rappresentare.
E sì, da un gruppo di servi ci si può attendere un buon servizio o la preparazione di un buon pranzo, non certo una fucina d’idee. D’altronde lo sosteneva già il grande Machiavelli: tutto con me e niente senza di me. E Capranica chissà che non passi alla storia come la Caporetto del “Berlusca”.

(nella foto, una manifestazione al Teatro Capranica di Roma)

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