Santoro lascia, vincono i killer
Martedì, 7 giugno 2011
Ce l’ha fatta. Finalmente la RAI, la sedicente televisione pubblica, quell’ente foraggiato forzosamente con i soldi degli Italiani, il cui compito principale dovrebbe esser quello di erogare informazione culturale, s’è liberata di un collaboratore scomodo. Non un infingardo collaboratore come i tanti che si annidano nei corridoi di Saxa Rubra e che sotto la protezione del politicante di turno porta a casa uno stipendio di tutto rispetto per scaldare la sedia o servire con melense quanto stucchevoli trasmissioni il proprio protettore, ma un collaboratore che in questi anni ha contribuito a migliorare i disastrati dell’azienda pubblica bilanci con la produzione di una trasmissione tra le più seguite e, quindi, gettonate dalla pubblicità.
Michele Santoro lascia la RAI, colpevole di non essersi mai piegato ai voleri di una dirigenza servile e meschina posta ai vertici di quell’ente solo per fare da grancassa al presidente del consiglio in carica, nonché proprietario di un impero mediatico in palese concorrenza e che non ha mai fatto mistero di voler utilizzare quell’impero per sostenersi nelle sue campagne politiche con l’indottrinamento degli ascoltatori.
«Non poteva andare avanti all'infinito. Non si può restare per sempre in un'azienda che non ti vuole. Da anni la tv di Stato ostacola il programma d'informazione più visto della televisione italiana, nonostante gli introiti pubblicitari e il prestigio che i record di ascolti di Anno Zero garantiscono», ha commentato a caldo Marco Travaglio, che di Santoro è stato collaboratore di quella gettonatissima trasmissione. «Sono riusciti» – continua Travaglio- «ad affondare l'ammiraglia della loro flotta. Si sono sparati sui piedi, sport in cui eccellono da 15 anni a questa parte. Sono dei geni a farsi del male. Ogni colpo che danno alla Rai è qualche milionicino che entra nelle casse di Mediaset, è ovvio». E il vignettista Vauro, editorialista fisso di Anno Zero e amico di lunga data di Santoro ha commentato: «Da questa Rai ci si può aspettare qualsiasi cosa».
Le colpe di Santoro e della sua trasmissione? Non essersi piegati ai diktat di una banda affarista che avrebbe voluto al posto di Anno Zero una trasmissione improntata al sostegno incondizionato di Berlusconi e del suo governo, alla magnificazione delle tante assurdità cui si è assistito in politica dall’avvento del Cavaliere, ma che allo stesso tempo, forte di un 21% di share, drenava rilevantissime risorse economiche agli introiti pubblicitari del gruppo Mediaset. Poco rileva che la trasmissione di Santoro ospitasse costantemente sia esponenti dell’opposizione che della maggioranza. Ciò che di fatto ha sempre turbato il sonno di Silvio Berlusconi e i suoi fedeli è che nelle trasmissioni di Santoro si parlasse di argomenti tabù, si toccassero tasti assai delicati dello spericolato ruolo di Berlusconi in tante vicende economiche e finanziarie del Paese, i suoi processi, i suoi rapporti con la mafia, la corruttela perpetrata per inquinare le indagini a suo carico, le sue vicende private con avventuriere del sesso e minorenni. L’attacco subito da Santoro, reo di mettere costantemente a nudo il sovrano, è stato senza precedenti nella storia delle democrazie occidentali: dall’editto Bulgaro di licenziamento, al tempo in cui dalla televisione fu allontanato anche Enzo Biagi, agli scontri senza esclusione di colpi con il manichino Masi, inviato a viale Mazzini con il precipuo compito di farlo fuori.
Ma ciò che stupisce ulteriormente nella vicenda non è tanto la conclusione che vede un Santoro stanco abbandonare l’agone RAI, quanto l’insipienza con la quale gli organi di garanzia di quell’ente hanno permesso che il divorzio si consumasse nella più assoluta indifferenza, confermando che anche quegli organi, in fondo, erano e si qualificano per l’ignavia e l’incapacità di assumere una posizione chiara in difesa della cultura, dei diritti degli utenti, del rispetto per le regole non solo nell’ambito del diritto del lavoro, ma anche della correttezza dei rapporti umani. Paolo Garimberti, presidente dell’emittente pubblica, sotto gli occhi del quale s’è consumata ogni sorta di porcheria della vicenda RAI-Santoro e che oggi se ne esce con un «Ho profondo rispetto per il diritto di ciascuno di essere artefice del proprio destino», ben sapendo che il destino di Santoro era segnato da tempo, e che nei fatti mai ha mosso un dito per far valere quel minimo d’autorità che la carica gli attribuisce per intervenire nell’assurda situazione, avrebbe il dovere di andarsene a casa qualora avesse un minimo di dignità e di rispetto verso se stesso. Non è certamente tollerabile per un capo azienda prendere atto di perdere uno dei pezzi pregiati della sua produzione senza muovere un dito o, al più, sprecare ridicole considerazioni di circostanza sul diritto riservato a ciascuno di noi di scegliersi la strada per il futuro.
In questa prospettiva l’uscita di Michele Santoro dalla RAI, ancorché non preluda al reimpiego delle sue indiscusse capacità professionali presso altra emittente televisiva con ulteriore danno per viale Mazzini, è una sconfitta gravissima per la televisione pubblica, per i cittadini costretti a pagare il canone, per la credibilità e l’onestà intellettuale di quanti dirigono l’ente pubblico, peraltro profumatamente pagati con il danaro dei cittadini-sudditi, costretti a subire l’ennesimo atto di violenza di un regime marcio nell’essenza di chi lo incarna e degli zerbini sui quali si toglie il fango che accumula continuamente sotto le scarpe.
Michele Santoro lascia la RAI, colpevole di non essersi mai piegato ai voleri di una dirigenza servile e meschina posta ai vertici di quell’ente solo per fare da grancassa al presidente del consiglio in carica, nonché proprietario di un impero mediatico in palese concorrenza e che non ha mai fatto mistero di voler utilizzare quell’impero per sostenersi nelle sue campagne politiche con l’indottrinamento degli ascoltatori.
«Non poteva andare avanti all'infinito. Non si può restare per sempre in un'azienda che non ti vuole. Da anni la tv di Stato ostacola il programma d'informazione più visto della televisione italiana, nonostante gli introiti pubblicitari e il prestigio che i record di ascolti di Anno Zero garantiscono», ha commentato a caldo Marco Travaglio, che di Santoro è stato collaboratore di quella gettonatissima trasmissione. «Sono riusciti» – continua Travaglio- «ad affondare l'ammiraglia della loro flotta. Si sono sparati sui piedi, sport in cui eccellono da 15 anni a questa parte. Sono dei geni a farsi del male. Ogni colpo che danno alla Rai è qualche milionicino che entra nelle casse di Mediaset, è ovvio». E il vignettista Vauro, editorialista fisso di Anno Zero e amico di lunga data di Santoro ha commentato: «Da questa Rai ci si può aspettare qualsiasi cosa».
Le colpe di Santoro e della sua trasmissione? Non essersi piegati ai diktat di una banda affarista che avrebbe voluto al posto di Anno Zero una trasmissione improntata al sostegno incondizionato di Berlusconi e del suo governo, alla magnificazione delle tante assurdità cui si è assistito in politica dall’avvento del Cavaliere, ma che allo stesso tempo, forte di un 21% di share, drenava rilevantissime risorse economiche agli introiti pubblicitari del gruppo Mediaset. Poco rileva che la trasmissione di Santoro ospitasse costantemente sia esponenti dell’opposizione che della maggioranza. Ciò che di fatto ha sempre turbato il sonno di Silvio Berlusconi e i suoi fedeli è che nelle trasmissioni di Santoro si parlasse di argomenti tabù, si toccassero tasti assai delicati dello spericolato ruolo di Berlusconi in tante vicende economiche e finanziarie del Paese, i suoi processi, i suoi rapporti con la mafia, la corruttela perpetrata per inquinare le indagini a suo carico, le sue vicende private con avventuriere del sesso e minorenni. L’attacco subito da Santoro, reo di mettere costantemente a nudo il sovrano, è stato senza precedenti nella storia delle democrazie occidentali: dall’editto Bulgaro di licenziamento, al tempo in cui dalla televisione fu allontanato anche Enzo Biagi, agli scontri senza esclusione di colpi con il manichino Masi, inviato a viale Mazzini con il precipuo compito di farlo fuori.
Ma ciò che stupisce ulteriormente nella vicenda non è tanto la conclusione che vede un Santoro stanco abbandonare l’agone RAI, quanto l’insipienza con la quale gli organi di garanzia di quell’ente hanno permesso che il divorzio si consumasse nella più assoluta indifferenza, confermando che anche quegli organi, in fondo, erano e si qualificano per l’ignavia e l’incapacità di assumere una posizione chiara in difesa della cultura, dei diritti degli utenti, del rispetto per le regole non solo nell’ambito del diritto del lavoro, ma anche della correttezza dei rapporti umani. Paolo Garimberti, presidente dell’emittente pubblica, sotto gli occhi del quale s’è consumata ogni sorta di porcheria della vicenda RAI-Santoro e che oggi se ne esce con un «Ho profondo rispetto per il diritto di ciascuno di essere artefice del proprio destino», ben sapendo che il destino di Santoro era segnato da tempo, e che nei fatti mai ha mosso un dito per far valere quel minimo d’autorità che la carica gli attribuisce per intervenire nell’assurda situazione, avrebbe il dovere di andarsene a casa qualora avesse un minimo di dignità e di rispetto verso se stesso. Non è certamente tollerabile per un capo azienda prendere atto di perdere uno dei pezzi pregiati della sua produzione senza muovere un dito o, al più, sprecare ridicole considerazioni di circostanza sul diritto riservato a ciascuno di noi di scegliersi la strada per il futuro.
In questa prospettiva l’uscita di Michele Santoro dalla RAI, ancorché non preluda al reimpiego delle sue indiscusse capacità professionali presso altra emittente televisiva con ulteriore danno per viale Mazzini, è una sconfitta gravissima per la televisione pubblica, per i cittadini costretti a pagare il canone, per la credibilità e l’onestà intellettuale di quanti dirigono l’ente pubblico, peraltro profumatamente pagati con il danaro dei cittadini-sudditi, costretti a subire l’ennesimo atto di violenza di un regime marcio nell’essenza di chi lo incarna e degli zerbini sui quali si toglie il fango che accumula continuamente sotto le scarpe.
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