martedì, giugno 26, 2012

La logica del muro basso



Martedì, 26 giugno 2012
L'ipotesi sarebbe contenuta nel pacchetto Spending Review su cui sta lavorando alacremente il super-commissario (ex liquidatore Parmalat) Enrico Bondi: ridurre a 5,29 euro l'importo dei buoni pasto per oltre 450 mila dipendenti pubblici di amministrazioni centrali e periferiche (gli statali).
Imporre a tutti questa cifra-tagliola significa risparmiare circa 10 milioni di euro in termini di spesa pubblica e si sa - in tempi di vacche magre - trovare nuove fonti di risparmio per scongiurare l'aumento dell'Iva di due punti previsto già a partire dal prossimo ottobre, provvedimento che costituirebbe un ulteriore colpo di maglio alla già agonizzante situazione dei consumi italiani, non è cosa da poco.
Fin qui la notizia, che fa emergere non tanto e solamente la drammatica carenza di idee dell’esecutivo di Monti, ma anche la tendenza a bastonare in una persecuzione senza fine una categoria di lavoratori che nel tempo una grossa componente del sindacato – quello che strizzava l’occhio a Sacconi e Brunetta – ha completamente consegnato nella mani della demagogia politica, convinta che le vessazioni cieche contro i pubblici dipendenti corrispondano al sentimento popolare di vendetta verso una categoria di lavoratori sostanzialmente parassitaria e che, per questo, va cancellata dalla carta geografica del mercato del lavoro.
Non sono bastati i tagli di stipendio, i blocchi dei rinnovi contrattuali, le assurde e penalizzanti modifiche al sistema pensionistico, i drastici tagli all’organico. Adesso per recuperare denaro alle disperate casse statali ci si inventa anche il taglio dei buoni pasto, sulla scia della famosa favola dell’asino di Buridano, con buona pace dei disastrati conti pubblici. Che la classe parassitaria e ladrona che siede in parlamento continui a godere di privilegi inauditi è irrilevante nell’ottica di una politica di contenimento dei conti pubblici. E’ più semplice attaccare l’apparato di produzione dei servizi alla collettività, piuttosto che ritoccare le assurde e principesche indennità di un pugno di conclamati perdigiorno, mollemente imboscati a palazzo Madama o a Montecitorio, che vivono nel lusso più sfrenato a totale carico dei contribuenti.
Mentre qui non ci si può augurare che gli scalcinati custodi dei musei italiani, piuttosto che i gli applicati di segreteria delle tante scuole della penisola, sappiano reagire con adeguato vigore a questo miserabile tentativo di privarli anche di un panino, ci sarebbe da chiedersi se le indiscutibili inefficienze e gli sprechi del pubblico impiego non dipendano piuttosto dalla profonda incapacità di chi è preposto a farli lavorare più che da una vocazione innata a poltriredi tanti padri di famiglia che occupano uffici e sedie sgangherate negli uffici dello stato. Sono questi provvedimenti il sintomo manifesto della logica del muro basso, secondo la quale quando l’asticella costituita dalla difficoltà dei problemi è molto bassa anche gli sciancati riescono a superarla saltando, illudendo il mondo e se stessi di essere atleti perfettamente in forma e di grande talento.
Le questioni legate alle spesa improduttiva ed agli sprechi non possono risolversi con tagli idioti privi di criterio logico, ma impongono analisi serie e approfondite che consentono d’individuare le aree di criticità, quelle a basso rendimento rispetto agli investimenti assunti, e là s’interviene senza indugio o debolezze clientelari per alienarsi l’appoggio del boss politico di turno, che su quelle sacche di investimento a perdere e di occupazione apparente basa il clientelare rapporto con il suo elettorato.
E dato che gli esempi di questo malaffare politico non mancano, vogliamo portarne uno all’attenzione di Monti e della sua squadra di sedicenti sapientoni.
A Siracusa, come in tante altre provincie italiane, è presente un Archivio di Stato, - un pubblico ufficio che raccoglie documentazione cartacea di storico interesse, al quale possono accedere i cittadini per ragioni di studio e di curiosità. Questo ufficio, dipendenza territoriale del ministero per i Beni Culturali, occupa una quarantina di dipendenti, suddivisi tra Siracusa e una sede distaccata situata nel comune di Noto.
Da una rilevazione statistica sul numero degli studiosi che accedono alla documentazione custodita presso tale ufficio è emerso drammaticamente che i frequentatori di questa benemerita biblioteca delle scartoffie sono mediamente 2 o 3 per settimana (circa una decina al mese), sostanzialmente concentrati nella sede di Siracusa, mentre nella sede di Noto, per il personale addetto alla custodia dei preziosissimi faldoni, la maggior parte delle giornate trascorre tra caccia alle mosche e certosina compilazione di cruciverba, dato che di gente là non ce ne va proprio.
Nonostante questa incredibile situazione, nota a livello ministeriale ed esempio di uno scialacquamento di pubblico denaro a dir poco esemplare, i nullafacenti dipendenti vengono chiamati a turnazioni ininterrotte, per garantire l’apertura dei locali sino alle 18:00 di ogni giorno, sabato compreso, con ciò godendo di miserrime quanto inopportune indennità di turno, riposi compensativi e altri ammennicoli, oltre allo stipendio mensile, per quanto magro.
Non è certo necessario fare cifre di stipendi, affitti, energia elettrica, custodia, polizze assicurative, telefoni e fax, e quant’altro annesso e connesso, per rendersi conto che se l’ufficio fosse definitivamente chiuso o, quanto meno, opportunamente ridimensionato i risparmi che si potrebbero realizzare sarebbero interessanti, anche perché la situazione di Siracusa non è certo l’unica d’Italia e c’è da credere che analoghi interventi di ridimensionamento operati a Catanzaro o a Macerata, così come a Belluno o Imperia, potrebbero fornire come per incanto contributi sostanziosi al pubblico bilancio.
E’ evidente, dunque, che l’azione di risparmio e di riduzione della spesa non passa primariamente per il taglio di un panino al prosciutto, ma per un’azione di contenimento dei costi della struttura inutile di cui è disseminata l’organizzazione della pubblica amministrazione italica. Non va inoltre trascurato che il taglio di queste appendici elefantiache e la riduzione di questa zavorra, consentirebbe anche una fortissima riduzione di poltrone, ben più profumatamente pagate. di apparati parassitari centrali, rappresentati da direttori, uffici di coordinamento, uffici ispettivi, capi settori e chi più ne ha più ne metta, che rappresentano quell’apparato burocratico pernicioso che molto spesso opera solo in funzione della giustificazione della sua presenza e non per la gestione di problematiche sussistenti.
Se tutto ciò è dunque palesemente inoppugnabile, vorremmo sapere dal signor Monti, che alla nomina di Sandro Bondi a capo del gruppo di lavoro per la revisione della spesa pubblica annunciò con tronfia soddisfazione che il quotato manager aveva rifiutato ben 150 mila euro di prebenda a titolo di rimborso spese, in base a quale logica a qualcuno venga riconosciuto un così sostanzioso diritto al pasto, mentre si specula sul panino di un usciere.

martedì, giugno 12, 2012

Chiagne e fotti!



Martedì, 12 giugno 2012
Chi non ricorda una delle sue prime apparizioni in tv al fianco del suo dante causa Mario Monti?
Annunciava i durissimi provvedimenti sulle pensioni e la sua voce si faceva sempre più incerta, sino a venir meno per il pianto a dirotto che finiva per commuovere l’Italia intera, cosciente del travaglio tremendo che aveva dovuto vincere quel donnino minuto nel partorire una riforma che finiva per segnare il distino di milioni di lavoratori. Le rughe profonde che le scolpivano il viso erano quasi il simbolo della sofferenza che aveva dovuto superare a denti stretti per realizzare qualcosa di molto spiacevole per il bene del Paese. Il quadretto non aveva certo reso più digeribile quei provvedimenti, ma la simpatia quella vecchietta così piena d’umanità se l’era conquistata di certo.
Come accade sovente anche nei feuilleton di tutto rispetto, tuttavia, la professoressa Elsa Fornero, ministro del Lavoro e delle Pari Opportunità del governo professorale di Mario Monti, ha gettato la maschera, disvelando come quel pianto era stato ad arte una raffinata sceneggiata degna di Cinecittà, un’esibizione studiata a tavolino che doveva consentire al governo appena insediatosi di portare a casa con reazioni limitate il risultato di un progetto criminale in cui avevano fallito per decenni gli esecutivi precedenti, una riforma del sistema pensionistico scellerata e vessatoria, che di colpo condannava i lavoratori a prolungare la loro permanenza al lavoro di parecchi anni.
Ovviamente, per rendere il provvedimento più credibile, la simpatica vecchietta e il suo bolso capo si inventavano la balla grottesca che tale cambiamento costituiva il prologo logico ad una riforma complessiva del mercato del lavoro, un meccanismo propedeutico alla creazione dei posti di lavoro aggiuntivi in un mercato che dava vistosi segnali d’asfissia.  Chi aveva immediatamente obiettato che il prolungamento della vita lavorativa non faceva che rarefare le già scarse opportunità di ricambio generazionale tra lavoratori anziani e falangi di giovani disoccupati era stato tacitato con sufficienti e altezzose richiami ad attendere le mosse successive in tema di sviluppo, che avrebbero fugato ogni dubbio sulla bontà dell’iniziativa.
E questo è stato il primo atto del chiagne e fotti!
Il secondo atto della sceneggiata, nel corso della quale sono emerse le reali intenzioni del ministro-guitto, s’è consumato con l’apertura del tavolo sulla riforma del mercato del lavoro, che, lungi dal puntare all’azzeramento delle norme criminali che consentono uno sfruttamento schiavistico di milioni di giovani con contratti di precariato, s’è rivelato solo un volgare tentativo di cancellare le norme di civiltà dell’articolo 18 della legge 300, Statuto dei Lavoratori, che vieta il ricorso al licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo oggettivo.
Anche in questo caso il professor Elsa Fornero, - che non è arrivata a giurare sulla testa dei suoi figli com’era uso fare un certo Silvio Berlusconi per dare credibilità alle più turpi affermazioni che faceva, - s’è battuta per imbonire il mondo con la panzana che una maggiore libertà di licenziare a piacimento potesse essere il passaporto per entrare in modo stabile e più facile in un mondo del lavoro che di opportunità occupazionali non ne offre da qualche lustro. Né va trascurato che, mentre si trascinava lo scontro tra il ministro e le parti sociali sul tema in questione, sul fronte delle tanto decantate misure per lo sviluppo di nuove opportunità si assisteva alla caporetto del governo in tema di liberalizzazioni, governo sconfitto su tutti i fronti da un parlamento di torvi affaristi e in più scagnozzo delle lobby professionali e da drappelli di taxisti riottosi intenti a bloccare il servizio in tutt’Italia.
E’ questo il secondo atto del chiagne e fotti!
Il terzo atto si recita con la questione degli esodati dal lavoro, che in virtù dell’idiota riforma del pensionamento non potranno collocarsi in quiescenza in quanto privi dei nuovi requisiti fissati dalla rivista normativa. Costoro, un esercito il cui numero oscilla da 65 mila (Fornero) a 135 mila (Inps)  a oltre 300 mila (sindacati), a secondo della fonte che ne denuncia la consistenza, sono una folla di disgraziati che non hanno un lavoro, non hanno più un reddito, non hanno accesso alla pensione, in quanto nella fase di esodazione, le norme sul pensionamento sono state variate. Per costoro, confinati in un limbo senza via d’uscita, si sollecitano interventi risolutivi in deroga alle norme capestro sui nuovi requisiti di pensionamento, quantunque il dibattito non sia incentrato sulla necessità di una soluzione quanto sull’effettiva consistenza di questa umanità in sofferenza, nonostante il professor Fornero confermi sdegnosamente i numeri da lei forniti.
Dalla pubblicazione di un rapporto riservato della direzione generale dell’Inps si apprende in queste ore che l’umanità interessata ad un provvedimento di salvataggio ammonta a 390.200, che conferma quanto fosse più vicino a verità il dato reclamato dalle organizzazioni sindacali, sebbene approssimato per difetto, che non quello sbandierato dal ministro.
Con una gravità che si commenta da sola, il professor Fornero, preso atto della fuga di notizie finita sui giornali che smentisce il dato farlocco da lei sostenuto sino ad ora, anziché scusarsi con la pubblica opinione e confessare di aver omesso di dichiarare quanto le fosse già noto sulla reale consistenza del problema, ha ritenuto più opportuno convocare d’urgenza i vertici dell’Inps e strigliarli per la fuga di notizie, che non solo la mette in evidente imbarazzo, ma svela definitivamente anche a coloro che avessero conservato qualche dubbio quanto il Paese sia in balia di una banda di suonatori di piffero, ancorché insigni cattedratici, che fanno della reticenza e della bugia un metodo di rigore contabile che si scarica sulle spalle dei cittadini.
Questa vicenda, che completa il curriculum  di Elsa Fornero e la consacra guitto da fiera paesana, dimostra che con questo esecutivo non è possibile andare avanti né coltivare speranza di uscire dal tunnel della crisi con un’equa distribuzione dei sacrifici. Il governo Monti, al di là delle dichiarazioni roboanti, si è dimostrato incapace non solo di gestire la crisi facendo ricorso ai principi universali dell’economia politica, - taglio della spesa corrente e improduttiva e rilancio dei consumi, - ma ha altresì confermato che in fondo si muove su soluzioni di continuità con la sventurata politica dell’esecutivo Berlusconi, pur se con un approccio ed un’eleganza senza paragoni. Pensare tuttavia che quest’approccio sia sterile rispetto alle conseguenze di ribellione sociale già paventate ai tempi dell’Unto dal Signore di Arcore è pura follia, visto che la credibilità, la pace sociale non si guadagna solo evitando scandalosi incontri con minorenni e tenendosi lontani da festini orgiastici, ma con un sano e doverose rigore scevro da camarille e, soprattutto, da miserabili sceneggiate strappalacrime e false comunicazioni opportunistiche.    

giovedì, giugno 07, 2012

Politburo in salsa di pomodoro


Giovedì, 7 giugno 2012
Si dice fossero 120. Qualcuno dice 90. Al di là dei numeri, una sola certezza: i curricula dei candidati alle nomine delle Authority nazionali, l’AGCOM e la Privacy, non sono stati neanche presi in considerazione, avendo avuto il sopravvento ancora una volta una logica spartitoria tra partiti, che la dice lunga sulla volontà di invertire la rotta e rimettersi in carreggiata della politica nostrana.
Non che i nominati siano tutti i soliti pellegrini raccattati negli sgabuzzini delle segreterie di partito e messi lì a ostentare la potenza condizionante di questa o quella fazione politica. Maurizio Decina è un ingegnere in elettronica specializzato in telecomunicazioni, insigne cattedratico alla facoltà di Ingegneria, Dipartimento di Elettronica, del Politecnico di Milano, con un lunghissimo curriculum in aziende di telecomunicazione e pubblicazioni e riconoscimenti internazionali in materia. Augusta Iannini, oltre che coniuge del noto giornalista Bruno Vespa, è un magistrato di lunga e comprovata esperienza, che dal 2001 ha assunto incarichi di direzione generale presso il ministero della Giustizia.
Non altrettanto è possibile dire di Antonio Martusciello, già imposto dal governo Berlusconi in AGCOM, per la probabile ragione di aver militato tra le forze d’assalto alle vendite di pubblicità in Publitalia ’80, dunque con un evidentissimo ruolo di garanzia e di tutela per la costellazione Fininvest. Similmente si può dire di Giovanna Bianchi Clerici, giornalista professionista già consigliere RAI in quota alla Lega di Bossi, che, guarda caso, dopo il tanto tuonare, proprio in coincidenza con la nomina ha votato ieri per il salvataggio della poltrona di Formigoni alla Regione Lombardia. Non sono poi chiare le motivazioni della nomina di Antonello Soro, laureato in medicina e chirurgia e primario ospedaliero in dermatologia, di Antonio Posteraro, l'attuale vicesegretario della Camera, di Antonio Preto, capo di gabinetto di Antonio Tajani nella Commissione europea e di Licia Califano, docente di Diritto costituzionale a Urbino, ai quali certamente non mancano i titoli accademici, ma non sembra possano vantare particolari esperienze nell’ambito dei ruoli loro assegnati.
Ciò che emerge indiscutibile dalle modalità di nomina, alle quali non hanno partecipato IdV, SEL e Radicali, che hanno contestato duramente il metodo, è l’ennesimo colpo di mano delle maggioranza ombra PdL-PD-UDC, che non demorde dalla logica lottizzatoria della spartizione del potere.
ABC, al secolo Alfano-Bersani-Casini, perseverano nella convinzione che i 50 milioni di elettori di questo disgraziato Paese sono idioti irrecuperabili, a cui è possibile imporre qualunque scelta perché incapaci di ribellarsi e rispedirli a casa con tanto di salutare calcione là dove non batte il sole. Questi personaggi, completamente avulsi dalla realtà, sono dell’idea che lo stato sia cosa privata e la volontà dei cittadini sia irrilevante rispetto alle scelte che impongono e, pertanto, continuano nell’opera devastante di sputtanamento istituzionale e di squalificazione della politica, che tanto spazio incompreso ha lasciato al fiorire delle liste civiche e tanto ne lascerà alla prossima tornata elettorale. Questo trittico malefico si comporta come la peggiore nomenklatura degli anni bui del Politburo, convinta che il saldo del conto non sarà loro mai richiesto e che l’occupazione del potere sia l’unica via possibile per garantirsi la perpetuazione della poltrona.
Che il clima sia questo è avvalorato anche da un altro misfatto consumatosi ieri, quel rifiuto di concedere gli arresti all’ondivago senatore prima FI poi IdV e ora PdL Sergio De Gregorio, coinvolto nelle vicende del noto saltimbanco Lavitola, che la dice lunga sul clima di autoreferenzialità consolidatosi nei santuari della politica nostrana.
Tornando alla farsa delle nomine, è opportuno precisare che i nominati di cui si parla hanno sbaragliato personaggi come  Gustavo Zagrebelsky, Valerio Onida e Stefano Rodotà, sulle cui competenze nulla c’è da eccepire.  E, ovviamente, si sono scatenate le polemiche. Antonio Di Pietro parla di «pagina buia per la democrazia» e attacca il Pd per il «metodo pilatesco» e la «lottizzazione» dei posti». Arturo Parisi è furioso, ritiene «irresponsabile» aver scelto i membri delle Autorità di garanzia «secondo il principio della spartizione» e denuncia un «attacco alle istituzioni che parte dal cuore delle istituzioni». Nel Pd la ferita brucia. I deputati parlano apertamente di «bluff», «sceneggiata», «truffa», «scandalo». Ma Franceschini difende il metodo e spiega che non c'era altro modo di votare in Parlamento e si sfoga: «Quale spartizione, quale manuale Cencelli! Abbiamo eletto otto persone i cui curriculum facevano parte dei 90 arrivati...». È vero. Peccato che il nome dell'onorevole dermatologo Soro circolasse da settimane come uno dei candidati blindati.
«È stata una delle peggiori pagine della vita del gruppo PD», è il giudizio della prodiana Sandra Zampa. E il senatore Ignazio Marino, deluso perché gli aspiranti non sono stati ascoltati nelle commissioni competenti, rivela l'«assenza totale» di trasparenza: «Per questo non ho votato. Da un partito che si dice democratico ci si aspetta un impegno senza tregua per scardinare i sistemi di spartizione».
Anche sul web monta l'indignazione. Beppe Grillo parla di Agcom come di «una presa per i fondelli», Roberto Saviano denuncia su Twitter la mancanza di trasparenza. E adesso il caso Authority rischia di incrinare i rapporti, già non idilliaci, tra Bersani, Di Pietro e Vendola: se il leader dell'IdV arriva a mettere in forse l'alleanza con il Pd, quello del SEL bolla le nomine come «una pagina nera, che può pesare moltissimo sulla scena politica».
(nella foto, Maurizio Decina, neo-eletto all'AGCOM)

lunedì, giugno 04, 2012

Allarmi golpisti e nostalgie repubblichine


Lunedì, 4 giugno 2012
In un Paese che ha perso la trebisonda non può stupire che fioriscano le ipotesi più strane e improbabili sui rimedi dalla crisi economica e finanziaria o sugli scenari politici a breve e medio termine che dovrebbero concludere la stagione dei professori e configurarsi in sostituzione dei vuoti lasciati dal disfacimento dei partiti tradizionali.
In buona parte queste ipotesi sono il frutto della confusione che regna nel panorama parlamentare, dalla percezione distorta che si origina con l’inspiegabile successo di liste e listarelle nate dal nulla e rapidamente divenute di successo, dalle elucubrazioni di chi in qualche misura è in grado d’influenzare una quota di pubblica opinione ma vive indiscutibilmente nel clima della spy story o del thrilling la propria collocazione.
Così c’è chi, a dispetto di ogni logica, propone di stampare in proprio carta moneta per aumentare la liquidità del sistema, perseverando nella convinzione che le regole siano carta straccia e che ciascuno abbia il diritto di modellarsele a proprio piacimento. C’è chi ritiene che un giullare armato di megafono possa divenire il salvatore della patria per il solo fatto che con le sue denunce vere e il suo vernacolo popolare ha conquistato il consenso di schiere di disperati e disaffezionati in cerca di una zattera cui aggrapparsi. C’è, in fine, chi colorisce trame e orditi suggestivi e golpisti, derivandoli dai comportamenti presunti di una categoria d’intellettuali e di quote del capitalismo progressista, stanchi di un processo di eutanasia che si trascina ormai da troppo tempo.
Caposcuola di quest’ultima tesi è niente meno che Alessandro Sallusti, da sempre giornalista e politologo dalle premonizioni miracolose e intellettuale visionario. Secondo il direttore de il Giornale, infatti, che ha confermato la sua sapiente teoria nel corso di una trasmissione su La 7, ci sarebbe in atto un complotto golpista che coinvolgerebbe una larga fetta di intellettuali di sinistra, come Eugenio Scalfari, Maurizio Milani, Ezio Mauri, Concita De Gregorio, Carlo De Benedetti e buona parte delle redazioni de L’espresso e la Repubblica, intenti a costruire una nuova sinistra con leadership affidata a Roberto Saviano. Il progetto, basato sulla logica delle liste civiche oramai così di moda, sarebbe finanziato da De Benedetti, che attingerebbe al tesoretto accumulato con gli oltre 600 milioni di risarcimento versati da Berlusconi/Fininvest a conclusione della nota causa nata dalla spartizione del gruppo Mondadori-Repubblica.
La tesi di Sallusti, se non fosse per la tinta di giallo attribuitagli dall’autore, in verità non fa una grinza, nel senso che la caduta verticale di credibilità dei partiti è tale da far ritenere più che legittimo che un gruppo di cittadini, ancorché intellettuali come spregiativamente vengono definiti, decida di entrare nell’agone politico con l’intento di rappresentare un progetto nuovo di governo e un programma di cose da fare.
Non scandalizza certo che tale iniziativa l’abbia assunta Luca di Montezemolo, né ha scandalizzato che nel lontano ’92 lo stesso Berlusconi, imprenditore nel settore mediatico e certamente al tempo padrone della carta sulla quale verga i suoi presagi Sallusti, abbia fatto cosa simile trasformando la sua azienda Publitalia ’80 in un partito politico teso ad occupare gli spazi lasciati vuoti dal craxismo e dalla scomparsa della Balena Bianca.
Che il buon Sallusti adesso dissimuli il suo sconcerto per un eventualità, tutta da dimostrare, che in questo caso riguarda la sinistra dello schieramento politico potrebbe apparire del tutto fuori luogo, se non fosse che chi decidesse a sua volta di sorprendersi per la reazione dell’impavido direttore de il Giornale avrebbe sottovalutato come nel DNA del personaggio alligni il virus di una logica perversa secondo la quale tutto il giusto sta ad Arcore, mentre i mali dell’umanità sono sparsi in giro per la Penisola nei suoi detrattori e in tutto ciò che odori di sinistra e di progressismo democratico. A questa logica d’altra parte si sono ispirate le campagne contro Fini e i suoi dissidenti, gli attacchi alla magistratura inquirente che osò ficcare il naso nelle sale del bunga-bunga, alla Lega rea di aver scaricato il Cavaliere, a Saviano che svelò senza mezzi termini come il malaffare organizzato si fosse ormai radicato nel Nord del Paese e andasse a braccetto con gli uomini di Bossi e tanti amministratori del PdL. Il signor De Benedetti, per il solo fatto di rappresentare un avversario di Berlusconi,  pur in ragione di sentenze addomesticate dal suo dante causa a suon di mazzette, è sempre stato rappresentato come un pericolosissimo nemico, capobastone di un’oscura organizzazione tesa a delegittimare il Cavaliere e i suoi prodi.
A noi qui non interessa certo tutelare l’immagine di De Benedetti o di chiunque sia stato tirato in ballo dal medium Sallusti, che certamente hanno capacità e sedi in cui far valere le proprie ragioni, ma ci stupisce che la polemica di fondo s’inneschi sulla legittimità di uno dei principi basilari della democrazia e ciò sulla libertà in capo ad ogni cittadino di aggregarsi con chi meglio crede per rappresentare una progettualità di istanze di cittadini. Certo, si potrà argomentare, come fa Eugenio Scalfari in un suo editoriali, sull’opportunità di frammentare l’opinione pubblica in mille rivoli che, in quanto tali, non produrranno alcun effetto incisivo sull’assestamento della politica, né daranno mai un contributo significativo alla soluzione dei problemi del Paese. La frammentazione in mille liste civiche produrrà il solo effetto di acuire i solchi profondi che dividono la società italiana, farà emergere in modo più drammatico le divisioni e le contrapposizioni tra i gruppi d’interesse, ma il risultato sarà che nessuno si avvantaggerà da questa polverizzazione e si perpetuerà nel qualunquismo più becero uno stato d’ingovernabilità o, al meglio, una surroga al potere di tecnocrati padroni degli strumenti ma incapaci di interpretare il senso della giustizia e dell’equità sociale.
Dice bene Scalfari nel suo editoriale:  «Tutto il discorso sulle liste civiche - che rischia tuttavia di esser fattore di confusione se viene affrontato con retropensieri inaccettabili - verte su questo punto. La società civile, cioè gli elettori sovrani al momento del voto, dovrebbero riscoprire i partiti e "invaderli" laddove si riconoscano nei loro valori. Oppure formare liste civiche collegate con quei partiti, legge elettorale permettendo. Cioè: trasfusioni di sangue nuovo oppure circolazione extracorporea di sangue nuovo. I partiti - se vorranno rinnovarsi - debbono accogliere sia l'una sia l'altra soluzione, purché gli obiettivi siano chiari e le persone appropriate per quanto riguarda l'etica pubblica, la competenza e l'entusiasmo per un'impresa molto audace».
Allora, se questa diagnosi ha un suo fondamento, non serve gridare al golpismo al solo fine di mettere in cattiva luce gli avversari, nella vana speranza di ridare luminosità a ciò che s’è irrimediabilmente ossidato per sua colpa prima ancora che per responsabilità altrui. E’ necessario, con la dovuta umiltà, prendere atto che certi metodi e certe pratiche di governo hanno fatto il loro tempo e nulla potrà mai ridare credibilità a coloro che li hanno esercitato, peraltro abusando della fede pubblica. Serve piuttosto una dolorosa operazione di potatura radicale di rami secchi e rami cresciuti in direzione deviata rispetto all’armonia complessiva della pianta, operando se necessario qualche innesto a rischio di ottenere frutti anche diversi, ma dal sapore decisamente più gradevole. Nel caos generale certi comportamenti, gli sproloqui, le nostalgie e le difese esasperate delle proprie posizioni, come accadde con la sventurata esperienza di Salò,  servono solo a prosciugare le acque che nel Mediterraneo separano l’Italia dalla Grecia.

(nella foto, Eugenio Scalfari, fondatore de la Repubblica e editorialista di questo quotidiano, indicato da Alessandro Sallusti come uno dei capi di oscure forze golpiste)