lunedì, giugno 04, 2012

Allarmi golpisti e nostalgie repubblichine


Lunedì, 4 giugno 2012
In un Paese che ha perso la trebisonda non può stupire che fioriscano le ipotesi più strane e improbabili sui rimedi dalla crisi economica e finanziaria o sugli scenari politici a breve e medio termine che dovrebbero concludere la stagione dei professori e configurarsi in sostituzione dei vuoti lasciati dal disfacimento dei partiti tradizionali.
In buona parte queste ipotesi sono il frutto della confusione che regna nel panorama parlamentare, dalla percezione distorta che si origina con l’inspiegabile successo di liste e listarelle nate dal nulla e rapidamente divenute di successo, dalle elucubrazioni di chi in qualche misura è in grado d’influenzare una quota di pubblica opinione ma vive indiscutibilmente nel clima della spy story o del thrilling la propria collocazione.
Così c’è chi, a dispetto di ogni logica, propone di stampare in proprio carta moneta per aumentare la liquidità del sistema, perseverando nella convinzione che le regole siano carta straccia e che ciascuno abbia il diritto di modellarsele a proprio piacimento. C’è chi ritiene che un giullare armato di megafono possa divenire il salvatore della patria per il solo fatto che con le sue denunce vere e il suo vernacolo popolare ha conquistato il consenso di schiere di disperati e disaffezionati in cerca di una zattera cui aggrapparsi. C’è, in fine, chi colorisce trame e orditi suggestivi e golpisti, derivandoli dai comportamenti presunti di una categoria d’intellettuali e di quote del capitalismo progressista, stanchi di un processo di eutanasia che si trascina ormai da troppo tempo.
Caposcuola di quest’ultima tesi è niente meno che Alessandro Sallusti, da sempre giornalista e politologo dalle premonizioni miracolose e intellettuale visionario. Secondo il direttore de il Giornale, infatti, che ha confermato la sua sapiente teoria nel corso di una trasmissione su La 7, ci sarebbe in atto un complotto golpista che coinvolgerebbe una larga fetta di intellettuali di sinistra, come Eugenio Scalfari, Maurizio Milani, Ezio Mauri, Concita De Gregorio, Carlo De Benedetti e buona parte delle redazioni de L’espresso e la Repubblica, intenti a costruire una nuova sinistra con leadership affidata a Roberto Saviano. Il progetto, basato sulla logica delle liste civiche oramai così di moda, sarebbe finanziato da De Benedetti, che attingerebbe al tesoretto accumulato con gli oltre 600 milioni di risarcimento versati da Berlusconi/Fininvest a conclusione della nota causa nata dalla spartizione del gruppo Mondadori-Repubblica.
La tesi di Sallusti, se non fosse per la tinta di giallo attribuitagli dall’autore, in verità non fa una grinza, nel senso che la caduta verticale di credibilità dei partiti è tale da far ritenere più che legittimo che un gruppo di cittadini, ancorché intellettuali come spregiativamente vengono definiti, decida di entrare nell’agone politico con l’intento di rappresentare un progetto nuovo di governo e un programma di cose da fare.
Non scandalizza certo che tale iniziativa l’abbia assunta Luca di Montezemolo, né ha scandalizzato che nel lontano ’92 lo stesso Berlusconi, imprenditore nel settore mediatico e certamente al tempo padrone della carta sulla quale verga i suoi presagi Sallusti, abbia fatto cosa simile trasformando la sua azienda Publitalia ’80 in un partito politico teso ad occupare gli spazi lasciati vuoti dal craxismo e dalla scomparsa della Balena Bianca.
Che il buon Sallusti adesso dissimuli il suo sconcerto per un eventualità, tutta da dimostrare, che in questo caso riguarda la sinistra dello schieramento politico potrebbe apparire del tutto fuori luogo, se non fosse che chi decidesse a sua volta di sorprendersi per la reazione dell’impavido direttore de il Giornale avrebbe sottovalutato come nel DNA del personaggio alligni il virus di una logica perversa secondo la quale tutto il giusto sta ad Arcore, mentre i mali dell’umanità sono sparsi in giro per la Penisola nei suoi detrattori e in tutto ciò che odori di sinistra e di progressismo democratico. A questa logica d’altra parte si sono ispirate le campagne contro Fini e i suoi dissidenti, gli attacchi alla magistratura inquirente che osò ficcare il naso nelle sale del bunga-bunga, alla Lega rea di aver scaricato il Cavaliere, a Saviano che svelò senza mezzi termini come il malaffare organizzato si fosse ormai radicato nel Nord del Paese e andasse a braccetto con gli uomini di Bossi e tanti amministratori del PdL. Il signor De Benedetti, per il solo fatto di rappresentare un avversario di Berlusconi,  pur in ragione di sentenze addomesticate dal suo dante causa a suon di mazzette, è sempre stato rappresentato come un pericolosissimo nemico, capobastone di un’oscura organizzazione tesa a delegittimare il Cavaliere e i suoi prodi.
A noi qui non interessa certo tutelare l’immagine di De Benedetti o di chiunque sia stato tirato in ballo dal medium Sallusti, che certamente hanno capacità e sedi in cui far valere le proprie ragioni, ma ci stupisce che la polemica di fondo s’inneschi sulla legittimità di uno dei principi basilari della democrazia e ciò sulla libertà in capo ad ogni cittadino di aggregarsi con chi meglio crede per rappresentare una progettualità di istanze di cittadini. Certo, si potrà argomentare, come fa Eugenio Scalfari in un suo editoriali, sull’opportunità di frammentare l’opinione pubblica in mille rivoli che, in quanto tali, non produrranno alcun effetto incisivo sull’assestamento della politica, né daranno mai un contributo significativo alla soluzione dei problemi del Paese. La frammentazione in mille liste civiche produrrà il solo effetto di acuire i solchi profondi che dividono la società italiana, farà emergere in modo più drammatico le divisioni e le contrapposizioni tra i gruppi d’interesse, ma il risultato sarà che nessuno si avvantaggerà da questa polverizzazione e si perpetuerà nel qualunquismo più becero uno stato d’ingovernabilità o, al meglio, una surroga al potere di tecnocrati padroni degli strumenti ma incapaci di interpretare il senso della giustizia e dell’equità sociale.
Dice bene Scalfari nel suo editoriale:  «Tutto il discorso sulle liste civiche - che rischia tuttavia di esser fattore di confusione se viene affrontato con retropensieri inaccettabili - verte su questo punto. La società civile, cioè gli elettori sovrani al momento del voto, dovrebbero riscoprire i partiti e "invaderli" laddove si riconoscano nei loro valori. Oppure formare liste civiche collegate con quei partiti, legge elettorale permettendo. Cioè: trasfusioni di sangue nuovo oppure circolazione extracorporea di sangue nuovo. I partiti - se vorranno rinnovarsi - debbono accogliere sia l'una sia l'altra soluzione, purché gli obiettivi siano chiari e le persone appropriate per quanto riguarda l'etica pubblica, la competenza e l'entusiasmo per un'impresa molto audace».
Allora, se questa diagnosi ha un suo fondamento, non serve gridare al golpismo al solo fine di mettere in cattiva luce gli avversari, nella vana speranza di ridare luminosità a ciò che s’è irrimediabilmente ossidato per sua colpa prima ancora che per responsabilità altrui. E’ necessario, con la dovuta umiltà, prendere atto che certi metodi e certe pratiche di governo hanno fatto il loro tempo e nulla potrà mai ridare credibilità a coloro che li hanno esercitato, peraltro abusando della fede pubblica. Serve piuttosto una dolorosa operazione di potatura radicale di rami secchi e rami cresciuti in direzione deviata rispetto all’armonia complessiva della pianta, operando se necessario qualche innesto a rischio di ottenere frutti anche diversi, ma dal sapore decisamente più gradevole. Nel caos generale certi comportamenti, gli sproloqui, le nostalgie e le difese esasperate delle proprie posizioni, come accadde con la sventurata esperienza di Salò,  servono solo a prosciugare le acque che nel Mediterraneo separano l’Italia dalla Grecia.

(nella foto, Eugenio Scalfari, fondatore de la Repubblica e editorialista di questo quotidiano, indicato da Alessandro Sallusti come uno dei capi di oscure forze golpiste)

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