Esodati, ennesimo flop sociale
Martedì, 13 novembre
2012
La lunga questione degli esodati, cioè di coloro che hanno perso
il lavoro dopo l’introduzione dell’improvvida riforma Fornero e che in carenza
dei nuovi requisiti fissati per la quiescenza non possono andare in pensione,
sembrerebbe giungere ad una soluzione.
La copertura per garantire il pensionamento agli esodati con
le vecchie regole arriverebbe, oltre che da eventuali risparmi sugli
stanziamenti esistenti (9 miliardi), da una clausola di salvaguardia che tira
in ballo le pensioni superiori a sei volte il minimo. Per queste pensioni,
definite d’oro, sarebbe in studio la deindicizzazione, che dovrebbe produrre 554
milioni entro il 2020 da sommare all’apposito fondo per il pensionamento.
Fin qui la notizia, che offre le condizioni per un sospiro
di sollievo a quanti da mesi vivono nella più tetra disperazione. Ma a ben
considerare la soluzione in pectore appare ancora una volta un tentativo
disperato di fornire una risposta demagogica ad un’impasse frutto della
smisurata protervia di un governicchio arrogante e confusionario.
In primo luogo, è paradossale che la squadra di sedicenti
professori che ha partorito la bestiale riforma delle pensioni non abbia
valutato per tempo gli effetti disastrosi che si sarebbero determinati con un
provvedimento che nottetempo ha stravolto le regole del pensionamento, che, per
contro, avrebbe richiesto meccanismi di gradualità colpevolmente trascurati e
sottovalutati. In secondo luogo, è stato un abuso tout court pensare di
risolvere la questione dell’equilibrio dei conti della previdenza senza
contestualmente intervenire nella giungla delle sperequazioni esistenti nei
trattamenti retributivi e nel sistema corrispondente di maturazione delle pensioni
di categorie privilegiate come gli alti dirigenti dello stato, i parlamentari,
i responsabili degli enti locali e i tanti supe avvantaggiati presenti negli organi
istituzionali, ad iniziare dai dipendenti di camera, senato, corte dei conti e
così via. In fine ritenere che le pensioni che superano di 6 volte il minimo,
cioè pari a circa 3 mila euro lordi mensili, siano definibili “appannaggi d’oro” appare solo frutto di una mente malata, il cui obiettivo non è certo quello di
creare condizioni di vivibilità più umane, ma di divaricare a dismisura il
solco che separa dal benessere smisurato di chi gode di grandi patrimoni dalla gente comune.
La verità è che le pensioni minime erogate nel nostro Paese
sono a livello terzomondista, poiché non è pensabile di poter vivere con un
appannaggio miserabile di 500 euro al mese. Inoltre non va dimenticato che il
raro senso di giustizia sociale che pervade il governo Monti aveva già previsto che le
pensioni in essere, superiore a 5 volte le sociali, non avrebbero fruito per un
biennio della rivalutazione annua conseguente il tasso d’inflazione.
A questa stregua, in questa assurda guerra tra pezzenti,
solo le stesse menti malate di cui si diceva prima avrebbero potuto partorire un’ipotesi
che prevede una sorta di fondo di solidarietà creato con i tagli delle pensioni lorde superiori 6 volte il minimo a cui attingere per erogare un assegno di quiescenza agli esodati.
Dimenticano i nostri baldi governanti che chi usufruisce di
una pensione da lavoro, - escludendo da queste quelle dei gran dignitari del
parlamento o degli enti locali, - ha pagato nel corso della propria vita lavorativa
fior di contributi, in base a regole di contribuzione retributiva che oggi è
troppo facile mettere in discussione sol perché non si sa dove sbattere la
testa per trovare soluzioni agli sprechi, ai ladrocini di mezzo secolo di
governi ed alla strafottenza con la quale si sono gestite le clientele. Uno
stato che non abbia la capacità d’imporre i sacrifici a chi sia effettivamente
in grado di sostenerli, come i possessori di grandi patrimoni, che non sia
capace di far pagare le tasse ad un’imprenditoria delinquente e che ha fatto
dell’evasione e dell’elusione fiscale un credo inamovibile, merita come risposta
solo i moti popolari di piazza.
Chi si lasciasse affascinare da queste
proposte criminali deve aver ben chiaro che la pensione costituisce un reddito
non soggetto a miglioramenti, se non in virtù degli elementi di perequazione annua al
costo della vita, mentre chi svolge un'attività lavorativa o gode di rendite
finanziarie può contare su adeguamenti derivanti dalla dinamica contrattuale o
dalle speculazioni di mercato, che in una certa misura consentono di recuperare
i rincari del costo della vita. In altri termini, attaccare ancora una volta le
pensioni, francamente, ci pare un’operazione a dir poco meschina e odiosa, che
nulla ha a che vedere con una logica di distribuzione dei sacrifici.
A riprova di quanto vi sia una certa consapevolezza di
queste considerazioni, lo stesso Monti ha scatenato un putiferio quando ha
sostenuto che introdurre anche in Italia la patrimoniale, «una tassa che va sdrammatizzata considerato che esiste già in alcuni
paesi estremamente capitalisti» non deve essere escluso. A stretto giro con
l'intervento del premier al Financial
Times Italy Summit a Milano, Palazzo Chigi ha dovuto precisare con un
comunicato che Monti «non ha affatto
annunciato un intervento di tassazione sui patrimoni». Le parole del
premier avevano sollevato la reazione compatta del Pdl, con i no pronunciati in
rapida successione dal capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto al capogruppo
al Senato Maurizio Gasparri, al portavoce Daniele Capezzone. Malumore anche in
alcune associazioni di categoria, come Confedilizia, che naturalmente ha
immediatamente visto la propria attività imprenditoriale nel mirino di
iniziative legislative che potrebbero determinare nel breve termine un’ulteriore
contrazione del mercato immobiliare.
E allora, davanti a queste difese di interessi di parte cosa c'è di più facile che attaccare ancora una volta i pensionati? Non c’è che dire, un’altra grande prova di incisiva
decisionalità del governo dei professori.
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