La gogna alle opinioni
Giovedì, 27 settembre
2012
Chi ci legge lo ha capito da tempo, sa che il direttore de il Giornale, Alessandro Sallusti, non c’è
mai piaciuto, in quanto riteniamo che professionalmente rappresenti un
giornalismo fazioso e servile disposto a qualunque cosa pur di tirare l’acqua
al mulino da lui difeso.
Ciò, in ogni caso, non ci vieta di esprimergli la
solidarietà più piena per l’esito della condanna inflittagli a causa di un
articolo diffamatorio pubblicato sul suo giornale e sul quale, secondo i
giudici, non avrebbe esercitato il dovere di verifica impostogli dal suo ruolo
di direttore.
Ovviamente qui non è in discussione la condanna in sé, che
nel caso di Sallusti era certamente dovuta stando all’acclarata falsità delle
cose scritte nell’articolo incriminato. La discussione, invece, va condotta
sulla natura della pena inflitta, 14 mesi di reclusione, che francamente appare
più che sproporzionata al “reato” commesso, se non addirittura un gravissimo
attentato ai principi costituzionali d’eguaglianza e di equità delle pene,
oltre che un minacciosissimo precedente alla libertà di opinione e di stampa.
Sì, perché non va affatto dimenticato che questo è il paese delle tante misure,
dei corrotti che siedono indagati per reati ancor più gravi, magari condannati,
impuniti in parlamento e nei posti di comando e dei tantissimi poveri cristo
che marciscono nelle galere, in qualche caso anche innocenti, solo per non
avere o i soldi per difendersi ricorrendo a qualche principe del foro di turno
o per la tigna di qualche zelante magistrato che, in questo modo, pretenderebbe
di dare della giustizia quell’immagine esemplare di equità e integerrima
applicazione delle norme, che certamente è ben lontana dal riscattare la
vergogna in cui operano tanti suoi colleghi collusi o distratti.
Né, d’altra parte e sebbene sia stata applicata la legge
esistente, mancherebbero gli strumenti per sanare questi paradossi del codice
penale: la condanna ad un cospicuo risarcimento del danno a favore del
diffamato; una lunga sospensione se non addirittura la radiazione dall’albo del
colpevole di diffamazione, con divieto di esercitare a qualunque titolo
attività giornalistica anche amatoriale; la sospensione della pubblicazione del
giornale per un certo periodo di tempo; l’obbligo per il giornale incriminato
di pubblicare in prima pagina, a tutte colonne, una smentita delle affermazioni
ritenute diffamatorie. Insomma, le soluzioni potrebbero essere tante, ma, tra
le tante, è certamente intollerabile la condanna alla reclusione per un reato
che sicuramente è molto più leggero e discutibile dello spaccio di stupefacenti
o della partecipazione ad una rissa condominiale.
Da un altro lato, la sentenza in questione fa emergere
stridente la concezione feudale che il sistema ancora conserva nell’amministrazione
della giustizia nei confronti dei cittadini, considerati molto più sudditi che
non uomini liberi ai quali va riconosciuto il diritto di esprimere il proprio
pensiero, anche errato in qualche circostanza, senza che, in virtù dell’esercizio
di un diritto naturale, debbano rischiare la privazione della libertà fisica:
questo è fascismo puro, è dittatura intellettuale, indegna di co-abitare in una
democrazia vera e non posticcia. E ha buona ragione chi a fronte dei mille
scandali e dei mille ignobili ladrocini che emergono quotidianamente ostenta il
proprio disprezzo e ribellione verso un sistema politico-statale che si
qualifica, anche con queste cose, melma maleodorante e casta meritevole di
forca.
Continueremo a nutrire verso Alessandro Sallusti e il suo
modo di fare informazione l’avversione che ci sempre contraddistinti, né nel
baratro che ci separa dal modo d’intendere l’informazione potrà mai gettarsi
persino un fragile ponte tibetano. Ciononostante nella circostanza sentivamo
deontologicamente doveroso collocarci virtualmente al suo fianco in una
battaglia di principi irrinunciabili di civiltà e democrazia.
Ha scritto oggi Sallusti sul suo quotidiano a proposito
della condanna inflittagli: In Italia
mancano le palle”, ma nel vergare quel titolo certamente non alludeva ai
coglioni, che disgraziatamente nel nostro paese abbondano a dismisura.
(nella foto, Alessandro Sallusti)
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