Ministro e minestrone
Giovedì, 8 novembre 2012
Chi ha dimenticato l’immagine
toccante di quel donnino in lacrime che annunciava una riforma epocale delle
pensioni? Tutti credettero che quelle lacrime fossero state il frutto di un travaglio
interiore a dir poco pazzesco, un travaglio sfibrante per il varo di una
riforma che, improvvisamente, stangava duramente le attese di una generazione
allo stremo, che vedeva nella pensione l’unica via d’uscita ad una crisi
economica che aveva falcidiato posti di lavoro.
Oggi, alla luce
delle tante infelici esternazioni di quel donnino seguite a quell'esordio, è apparso più chiaro che le
lacrime di Elsa Fornero erano di vergogna, una vergogna incontenibile per una
disgraziatissima riforma che ha gettato nella disperazioni intere famiglie, che
non sanno come sbarcare il lunario, prive di un lavoro, di un reddito e senza
il sostegno di una pensione che avrebbe potuto alleviare i loro guai.
Ma le sceneggiate di
questo campione del disprezzo per le disgrazie della gente, da immolare sull’altare
del proprio delirio di protagonismo cinico, non sono certamente finite in
quella serata tragica d’inizio dicembre del 2011. Le sceneggiate sono
continuate con l’incresciosa vicenda degli esodati, ritrovatisi improvvisamente
senza alcuna salvaguardia economica a fronte degli accordi sottoscritti con le
rispettive aziende; con la riforma del mercato del lavoro e l’allucinante
guerra all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori; con le accuse ironiche ai tanti
giovani disoccupati e precari di far gli schizzinosi; con l’invito ai
disoccupati d'ogni età ad andare a zappare la terra, pratica che secondo il suo autorevole
giudizio «rende le persone sempre giovani» al punto che, a dispetto delle
rughe che ostenta, lei per prima ha confessato d’esercitare nei momenti liberi.
Poi l’ultima boutade, che l’ha vista protagonista della cacciata dei
giornalisti italiani da un convegno, rei di imbarazzarla oltre misura perché la
costringerebbero con le loro stringenti domande a «pensare troppo».
Viene naturale il
sospetto che il ministro, posto nell’incarico per ragioni che alla luce dei risultati sin qui conseguiti francamente
sfuggono, non è che tema d'esser
costretto a pensare troppo, ma, più prosaicamente, non sia in grado di pensare tout court, non fosse che ciò che ha
realizzato avrebbe potuto esser fatto da un qualunque falegname cui fosse stato dato l’incarico di segare qua e
là per rendere più leggero un mobilio di legno massiccio, senza
particolari titoli accademici e requisiti intelletivi al di sopra della sufficienza. Sono prova di questa
assoluta incapacità di meditazione i colpi d’accetta con i quali ha messo in piedi
una riforma pensionistica che in una
notte ha allungato di sette anni la vita lavorativa di chi dietro ad una
scrivania o ad un tornio ci aveva già passato quasi 40 anni, riforma per la quale non c'era affatto bisogno di scomodare presunti luminari della materia. Ne è prova il varo
di una riforma del mercato del lavoro in cui, anziché prendere atto che lo
scempio è dovuto all’assurdo liberismo del ricorso al precariato selvaggio, s'è
imputato all’articolo 18 dello Statuto ed al giusto freno ai licenziamenti
ricattatori la rarefazione dei posti di lavoro. Come dire, le aziende non assumono
non perché la crisi ha compresso le attività produttive e dunque servono
purtroppo meno risorse, ma perché non possono licenziare a piacimento chi pare
a loro: una tesi che finisce per far apparire il sinistro ad Fiat, Sergio
Marchionne, un lungimirante mecenate. E comunque sia Elsa Fornero, che per sua ammissione non è portata a pensar troppo, che il suo insigne dante causa, Mario Monti, ancora debbono spiegare al popolo ignorante in virtù di quale magia la libertà di licenziamento avrebbe il potere demiurgo di moltiplicare i posti di lavoro a dispetto di una crisi economica senza precedenti.
Certo, che la
signora Fornero sia poco sensibile ai problemi vili di un vulgo sempre più
numeroso è anche comprensibile – speriamo che non se la prenda come un certo
prefetto per l’uso del termine “signora”. Quando s’è genitori di una figlia
cresciuta nella bambagia di una famiglia benestante, che si è riusciti, grazie
alle sue eccellenti doti naturali, a sistemare nell’università dove, guarda
caso, insegnano papà e mamma, tutto il resto può apparire prosaico e i rimbrotti
altrui passare per capricci da bamboccioni malcresciuti. Tuttavia, dimentica la
signora che, quando nell’assunzione di una carica pubblica non si è in grado di
spogliarsi dei propri pregiudizi e di certi simbolismi di casta, bisognerebbe
avere la dignità per dichiararsi almeno incapaci di assolvere certi compiti con
il dovuto equilibrio e, dunque, rinunciarvi: ci eravamo dovuti sciroppare le idiozie sui giovani di
un Renato Brunetta ed ecco che, senza soluzione di continuità, il
rio destino ci ha regalato un altro campione di ribalderie verbali, con l’hobby
del minestrone fatto con i prodotti della terra vangata con le proprie mani. Sorge un dubbio: non è che quest'evidente propensione alla stupidità sia patologia connessa con la docenza universitaria?
Viene comunque legittimo
il sospetto che la storia dell’orto sia una fanfaronata, sparata lì con rinnovato
disprezzo per la disperazione altrui. Conferire ad un hobby, cui ognuno può dedicarsi con mezzi improvvisati e senza particolari pretese, la dignità di attività
professionale universale, dalla quale ricavare un dignitoso mezzo di sostentamento sicuro per sé e
la propria famiglia, è persino crudele. Poi sul fatto che il lavoro agricolo contribuisca all'eterna giovinezza, a ben guardare la signora, c'è da esser scettici, salvo che come di sovente accade abbia dedicato a quell'hobby meno tempo di quanto vorrebe fare intendere. Certo è che sulla scia del tristemente famoso "il lavoro rende liberi" un nuovo slogan come "il lavoro agricolo rende giovani" non è male; se non altro convince di più in un epoca in cui l'apparire ha definitivamente soppiantato l'essere.
E comunque si giri la frittata, la sintesi satirica di Maurizio Crozza
ci sembrerebbe la più adeguata per descrivere lo spessore piccino piccino di questo modesto ministro di questa modesta repubblica: chissà che la prossima sortita della signora Fornero non rivaluti il concetto di disoccupazione, che tutto sommato si potrebbe persino ritenere positiva,
dato che consente di dedicare maggior tempo alla famiglia.
E’ innegabile siamo
nell’era della rottamazione e della formattazione, ma da qui a considerare ancien régime anche i principi che governano la logica appare più un’operazione
demenziale che non un metodo di rifondazione dei valori.
0 Commenti:
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page