giovedì, novembre 22, 2012

Il letargo della ragione



Giovedì, 22 novembre 2012
Non sono molti gli organi di stampa che ne parlano, ma ciò che è accaduto ieri al Senato ieri ad opera di un drappello di senatori berlusconiani è l’inequivoco e definitivo segnale che la democrazia italiana è in stato comatoso.  
Un emendamento al decreto Sviluppo presentato ieri a Palazzo Madama, nascosto nei 1600 contenuti nelle proposte in discussione, vorrebbe introdurre un quarto grado di giudizio nel sistema giudiziario, basandosi sul presupposto che, qualora una sentenza della Cassazione fosse viziata da manifesta violazione del diritto comunitario, la parte interessata potrebbe chiederne la correzione o la revoca, con ricorso da presentarsi alle Sezioni Unite della stessa Cassazione. L’emendamento qualora approvato prevederebbe altresì la retroattività dell’efficacia della nuova norma, poiché non troverebbe applicazione solo alle sentenze future bensì anche a quelle  «depositate nei due anni precedenti l'entrata in vigore». Il condannato dovrebbe solo fare attenzione a chiedere il «quarto grado di giudizio» entro 180 giorni dall'effettiva operatività della nuova norma, con la possibilità, oltretutto, di ottenere la sospensione delle sentenze. Così la Cassazione oltre che per errori materiali o di fatto potrebbe essere scavalcata con il facile appiglio della violazione del diritto comunitario.
Sarebbe del tutto superfluo sottolineare il coro di critiche sollevatesi dalle opposizioni ad un ipotesi come quella paventata, ipotesi che si concretizzerebbe, di fatto, con il «blocco del sistema giustizia, grazie all’introduzione di pratiche dilatorie contrarie  alle ragioni di chi invoca il processo breve e che avvantaggerebbero esclusivamente solo coloro che dispongono di mezzi economici sostanziosi», - come ha evidenziato Donatella Ferranti, capogruppo del PD in Commissione Giustizia della Camera, e che sintetizza il senso di improponibilità dell’emendamento.
Ma la questione stimola ben più gravi considerazioni sull’irrisolto tema dell’incompatibilità e del conflitto d’interessi che da oltre un ventennio schiaccia la nostra democrazia, deviandone ricorrentemente l’esercizio per salvaguardare le posizioni di qualcuno, ossessionato dall’individuazione di metodi che ne tutelino il tornaconto. Ed il pensiero non può che andare immediatamente a Silvio Berlusconi, all’ennesimo tentativo di cambiare il diritto per salvarsi da processi e condanne passate e future. A partire dalla sospensione del pagamento di 560 milioni alla Cir di Carlo De Benedetti per il Lodo Mondadori, sul quale a breve dovrà pronunciarsi la Cassazione. Un emendamento del genere darebbe la scappatoia al Cavaliere di richiedere un ulteriore pronunciamento, ancorché basato su ragioni sussistenti, al solo scopo d’allungare i termini per adempiere l’oneroso pagamento cui potrebbe essere condannato in via definitiva.
Al di là di queste considerazioni, - palesemente fondate visto che il ventennio berlusconiano ci ha reso avvezzi ad ogni scempio della legalità costituita pur di “scudarsi” dalle conseguenze delle leggi valide erga omnes messe in campo dalle falangi del Cavaliere, - l’ipotesi normativa stride platealmente con le innumerevoli denunce sulla lentezza della giustizia sollevate ormai da tempi immemorabili da ogni parte e che hanno portato Monti persino a dichiarare che una delle ragioni dei mancati investimenti nel nostro Paese sarebbe da attribuire alla lentezza dei processi, che non offre alcuna garanzia di certezza giuridica: si pensi ai milioni di processi civili giacenti e che riguardano l’esigibilità di crediti e l’assolvimento di debiti. Chi ha interesse a pagare con la dovuta rapidità quando basta accampare un pretesto ed instaurare un ricorso giudiziale per rimandare sine die i propri obblighi? E’ forse sfuggito ai promotori dell’emendamento che in Italia una causa civile dura mediamente 15 o 20 anni e che tali durate bibliche vanno a vantaggio esclusivo dei debitori? Che senso ha una giustizia che nei fatti tutela esclusivamente chi può permettersi di foraggiare legulei di grido a danno di chi non ha analoghe capacità economiche? Dov’è l’applicazione della famosa legge Pinto con la quale si sono assegnati tempi “certi” alla durata dei processi? Credono, infine, i presentatori dell’emendamento che ci si sia scordati dell’indegna gazzarra montata nelle aule parlamentari per accorciare i tempi della prescrizione al fine di offrire maggiori garanzie di rapidità per la conclusione dei processi? Quali motivi adesso soggiacciono contrari agli esiti di quella gazzarra da richiede un allungamento dei processi con l’introduzione di un quarto grado?
I quesiti potrebbero continuare ben più numerosi, ma non è certo dall’abbondanza dei quesiti che dipende lo smascheramento di una propensione della destra italiana a dimostrarsi asservita agli interessi innominabili di una sola persona, che da anni tiene in scacco il Paese e che in conseguenza di questi interessi ha fatto declinare l’Italia a zimbello della comunità internazionale. Non è più tollerabile che nel nostro panorama politico continuino ad operare personaggi di questo stampo e, ancora peggio, che un intero schieramento parlamentare si muova come un drappello di guastatori pronti a qualunque scempio pur di portare a termine la propria discutibile missione. Sono ormai anni che rispetto ai problemi della gente, a quelli dell’economia, del lavoro, del risanamento del bilancio statale, della ricerca, dell’istruzione, in una parola del paese reale, viviamo sotto l’assedio di Cirelli, di processi brevi, di responsabilità dei magistrati, di legittimi impedimenti, di falsi in bilancio e di altre squallide iniziative personalistiche servite anche a distrarre l’attenzione dagli scempi accessori che alla loro ombra si consumavano. C’è da augurarsi che alla prossima tornata elettorale gli Italiani, comprensibilmente stanchi di queste miserabili messe in scena della politica, non si rifugino nel non voto dell’antipolitica, ma profittino dell’opportunità per liberarsi definitivamente di quei personaggi che, o autori di atti criminali compiuti in ragione del proprio incarico parlamentare o nominati esclusivamente per servire pedissequamente un padrone, infestano le aule delle istituzioni e che sono il sintomo del degrado cui siamo da tempo precipitati.
Il cammino della democrazia è costellato di agguati d’ogni sorta e la sua sopravvivenza dipende primariamente dalla capacità di vigilare affinché le regole dell’equità e della giustizia, nel loro significato più ampio, non cadano nel letargo della ragione generando mostruosi servizi agl’interessi di parte, ma guardino senza compromessi e manipolazioni al benessere della collettività e alla supremazia della rispettosa convivenza, che non ammettono la mortificazione dei diritti della maggioranza cittadini per favorire la libertà incontrollata di pochi altri.

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