lunedì, luglio 30, 2012

Quando lo stato ostenta disprezzo per il cittadino


Lunedì, 30luglio 2012
Nel nostro paese il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione è sempre stato difficile, contraddistinto com’è da un atavico sbilanciamento dei rapporti di forza a favore dell’appartato pubblico.
Questo rapporto malato affonda le sue radici in una concezione medievale dello stato dell’apparato burocratico pubblico, che non ha mai superato la convinzione che il suo compito sia di dispensare e non piuttosto di erogare servizi. La differenza che soggiace all’uso dei due verbi non è di poco conto, poiché l’erogazione presume una relazione commerciale tra il soggetto pubblico e il soggetto privato: ricevo un servizio perché comunque ho pagato. Nel secondo significato è la bonomia dell’apparato pubblico che concede quanto richiesto, a prescindere dal fatto che il cittadino abbia sostenuto un onere per garantirsi l’accesso al servizio di cui trattasi.
Questo paradigma fa sì che ciò che costituisce un diritto venga automaticamente declassato a  favore, a mera regalia, spesso clientelare, di chi è preposto al disbrigo delle interlocuzioni dei cittadini, che nel chiedere devono persino fare grande attenzione a non urtare la suscettibilità del burocrate di turno, pena l’allungamento sine die dei tempi di soddisfazione di una richiesta, se non addirittura il rifiuto di veder concesso l’oggetto della richiesta stessa.
Sì, perché la cavillosità di cui spesso sono infarciti regolamenti, leggi e procedure è tale da lasciare un margine di discrezionalità nel quale persino il signor nessuno, investito di un incarico pubblico, riesce a dare scacco anche al più agguerrito richiedente o a mortificare il più legittimo dei diritti.
Qualche esempio? Basta chiedere a qualunque cittadino vanti un credito nei confronti di un comune, una provincia, lo stato o un ente pubblico: termini perentori per saldare un eventuale debito nei confronti di queste istituzioni, con tanto di maggiorazioni e interessi di mora a livello da far sbavare d’invidia un usuraio incallito, e tempi biblici per la restituzione di un importo non dovuto o un credito d’imposta o un qualunque rimborso.
La vita quotidiana del cittadino italiano è zeppa di casi  del genere, senza contare quelli che hanno per oggetto il rilascio di una licenza, di un’autorizzazione, un permesso. In questi casi, quasi che la sterminata pletora dei travet pubblici, pagati con i soldi dei cittadini, sia perennemente impegnata in attività talmente onerose e impegnative da render bazzecole  le fatiche del mitico Sisifo, il meccanismo clientelare diventa un must. Conosci qualcuno?, allora v’è speranza che la pratica arrivi in porto; non conosci nessuno?, allora mettiti il cuore in pace e aspetta fiducioso l’arrivo di Godot.
Quando, poi, non è necessario dotarsi di un lubrificante per consentire alla macchina burocratica di girare senza cigolii o inceppamenti o favorire la voglia (molto scarsa) di lavorare del suo rappresentante di turno. Un sistema ampiamente codificato e consolidato, che ha istituzionalizzato le mazzette e che consente di portare a casa anche ciò che va ben oltre il teorico diritto e costituisce, invece, una plateale violazione di leggi dello stato.
Qualche esempio ancora? Come mai in presenza di una legge che vieta l’edificazione in prossimità delle coste – tant’è che qualche costruzione non ha persino potuto fruire di alcuna delle famigerate sanatorie emanate nel tempo - qualche buontempone ha rilasciato un’autorizzazione a costruire un mega capannone agricolo a ridosso di una delle poche spiagge di Avola? Va precisato che nella zona incriminata non ci sono né agrumeti né produzioni agricole di sorta, ma solo alberi ornamentali e qualche arbusto di salvia e origano a crescita spontanea, la cui raccolta per scopi meramente personali non è tale da richiedere capannoni di stivaggio.
Un altro caso? Un pensionato si accorge che nel calcolo della sua pensione l’efficientissima Inps ha inopinatamente omesso alcune settimane contributive. Chiede pertanto all’efficientissimo istituto di ricalcolargli l’importo pensionistico sulla base del recupero delle settimane omesse, reperite peraltro dopo mesi di ricerca e senza plausibile ragione nel conto contributivo di un altro soggetto: dopo quasi un anno è ancora in attesa che Mastrapasqua e il suo cast, - a cui dieci euro di differenza provocheranno sorrisi di compatimento, - si decidano a chiudere la pratica. Del caso, effettivamente accaduto, è stato investito personalmente persino il ministro Fornero, che probabilmente, preso da impegni tali da non consentirle neanche una telefonata a qualcuno dei suoi oberatissimi portaborse per gestire lo sconcio, ha fatto finta di non aver ricevuto la segnalazione.
Ci auguriamo che il ministro Fornero, uno dei tanti carneadi di questo ridicolo governo dei professori, subisca lo stesso trattamento quando verrà il suo turno, quantunque ci rendiamo conto che, nella sua posizione e con le amicizie che sicuramente potrà vantare,  l’assegno di pensione a lei lo portino sino a casa nelle 24 ore successive alla sua decisione di andare in quiescenza.
E dire che in apparenza viviamo in uno stato che dell’efficienza, ha fatto una bandiera, un simulacro, al punto da varare forse perché cosciente dei vizietti dei suoi dipendenti leggi rimaste prive di concreta applicazione, come la mitica 241 del ’90, con la quale si assegnavano tempi e modalità certe di espletamento di una pratica amministrativa, oltre che responsabilità e sanzioni a carico dei burocrati inadempienti, distratti e ignavi.
Insomma, il cittadino sorpreso a trasgredire qualche obbligo deve rassegnarsi a subire dure sanzioni, talvolta anche abnormi rispetto all’illecito consumato, mentre la pubblica amministrazione, pervicacemente strafottente e inadempiente, gode di d’una sorta d’immunità smisurata, che se si decide d’attaccare finisce anche per costare in bolli, ricorsi e nuove interminabili attese di giustizia.
Vengono in mente i casi di bambini sorpresi ad acquistare un pacchetto di caramelle o un gelato senza scontrino fiscale: qui si calca la mano, pensando così di fornire esempio a monito e di integerrima efficienza nei confronti dei soggetti deboli, mentre si chiudono gli occhi sulla fuga d’intere mandrie dal recinto di qualche amico degli amici iscritto nella lista degli intoccabili.
Davanti a certi sconci censurati persino dalla comunità internazionale, s’è pensato di legiferare nei confronti delle lungaggini intollerabili dei processi civili, con il varo delle cosiddetta legge Pinto. Anche in questo caso la strafottenza di tanti magistrati e cancellieri ha di fatto vanificato l’intento deterrente delle norme ed i processi continuano a durare un’eternità, con esito disastroso per le parti in causa. Senza contare poi che se si chiede ad un legale di procedere nei confronti di quei magistrati fannulloni o posapiano la risposta è molto spesso di diniego, visto che, secondo la regola del cane che non mangia cane, sono pochi i patrocinatori disposti a promuovere l’azione risarcitoria ai danni di quei magistrati con i quali magari si ritroveranno difronte in successive occasioni.
Ma se non basta questo stato dell’arte, il massimo si raggiunge quando questa pubblica amministrazione irreversibilmente ammalata giunge persino all’incredibile sfottò inviando zelanti avvisi circa diritti inesistenti o che non competono per niente.
E’ palese dimostrazione di questo crudele sfottò la nota inoltrata dall’Inps a milioni di pensionati a proposito della perequazione automatica spettante a partire da ogni primo gennaio ai titolari di pensione. Con un simpatico stampato si dà contezza ai pensionati degli incrementi previsti in base alla variazione del costo della vita rilevato per l’anno precedente. La comunicazione è senz’altro utile,  se non fosse che l’istituto in questione inoltra la nota anche a coloro per i quali il duo Monti-Fornero ha varato un provvedimento che azzera per il biennio 2012/2013 ogni rivalutazione per le pensioni superiori a tre volte il minimo dell’importo per l’assegno di pensione sociale. Risultato, la nota suona come una macabra beffa per quanti, pensionati, non solo sono assoggettati alla normale tassazione sul reddito, ma hanno visto sparire, magari per poche decine di euro di sforamento, l’unico strumento che avevano per recuperare in minima parte l’erosione del proprio assegno dall’inflazione.
Ma quando, al di là dei tronfi proclami sull’efficienza ed il riordino della pubblica amministrazione, ci scrolleremo dal groppone questi meccanismi borbonici e inizieremo a comportarci da stato moderno ed evoluto? Non sarebbe forse opportuno mandare in galera o in eventuali istituti di rieducazione mentale qualche politicante e qualche amministratore cialtrone, piuttosto che penalizzare sempre e solo i cittadini, magari con prese per i fondelli di pessimo gusto o perseverando nel mantenere atteggiamenti incivile o che sono la negazione della tanto decantata democrazia?
Fino a quando non sarà effettuato questo salto di qualità e lo stato non si porrà veramente al servizio del cittadino, non rimane che ricorrere alle vie traverse, con buona pace delle tante dichiarazioni d’intento e degli auspici degli ipocriti benpensanti che infestano la nostra esistenza quotidiana.

(nella foto un manifesto del gruppo Militanti)

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