Ricette anticrisi: miopia o stupidità?
Lunedì, 23 luglio 2012
Ormai è un inarrestabile bollettino di guerra. Basta dare
uno sguardo alle prime pagine dei giornali per rendersi conto che la vita di
parecchi di noi s’è improvvisamente trasformata nell’esistenza di un
equilibrista, costretto per necessità a percorrere, cercando di non precipitare, un
sottile filo quotidiano dal quale dipende la sopravvivenza: un piede in fallo e
si precipita nel burrone senza fondo della miseria, della disperazione, dell’assenza
di futuro.
Così, tra spread in vorticosa altalena, disoccupazione in
inarrestabile crescita, vertiginoso aumento dei prezzi, intollerabile peso di
tasse, accise e balzelli, si assiste impotenti alla propria agonia, mentre sul
comodino mille medicine stazionano accatastate senza che dal loro uso sia
derivato alcun progresso positivo all’eventuale guarigione.
Eppure qualcosa si potrebbe forse fare, sebbene non sia dato
sapere se la mancata assunzione di provvedimenti terapeutici più incisivi
dipenda dall’ignavia del medico o dalla nefasta volontà di chi produce e vende
le medicine adatte, determinati a preferire la morte del malato piuttosto che
la sua ripresa.
A niente sembrano essere serviti i giri di vite imposti da
Monti. Gli effetti della dolorosa riforma delle pensioni sono stati in parte
vanificati da una disoccupazione crescente e attestatasi a numeri a due cifre
come non si vedevano da parecchi lustri. Gli sperati benefici attesi dal
prolungamento dell’età pensionabile sono stati erosi dal crollo degli occupati
e, dunque, dalla drastica riduzione dei contributi versati per finanziare il
pagamento delle pensioni in essere. La riforma del mercato del lavoro a firma
Elsa Fornero, ancorché concettualmente sbagliata, ha esordito in un mercato in
forte contrazione, con il risultato che siamo ormai alla situazione in cui otto
contratti su dieci sono di puro precariato e la disoccupazione giovanile ha
ormai raggiunto il 28-30% su base nazionale e il 50% abbondante nel Sud del
paese.
Nel frattempo, mentre universalmente si riconosce che la
crisi è strutturale ed investe la tenaglia debito pubblico-consumi, anziché
puntare su politiche di rilancio dell’economia, che significa aumentare il
reddito disponibile attraverso la creazione di occupazione, si continua a disquisire
su come restringere il girovita. Come il mitico Tafazzi, non ci si rende conto
del gravissimo danno che si produce con misure restrittive e, per contro, dei benefici
che potrebbero derivare dall’incremento della capacità di spesa dei cittadini:
maggiore consumo significa maggiore introiti per le finanze pubbliche sotto
forma di tasse indirette. Ma significa altresì maggiori introiti derivanti
dalle imposizioni dirette sui redditi, dato che il consumo spinge le imprese ad
un incremento della produzione e, quindi, allargamento della base occupazionale.
Un allargamento della base occupazionale significa crescita della base
percettrice di reddito, su cui attingere tasse e contributi per il mantenimento
dell’equilibrio del sistema.
Sono queste nozioni elementari di economia, talmente
elementari da sfuggire non solo a Monti, che è costretto a fare il gioco dei
poteri forti internazionali per dare credibilità al sistema Italia, ma anche a
chi, come Angela Merkel, è in evidente stato di confusione irreversibile al
punto da non rendersi conto che il crollo dell’euro e con lui dell’Europa non
può avere che conseguenze nefaste per la pingue economia tedesca.
La Merkel, infatti, continua a restare sorda agli inviti a
riflettere su ciò che sarebbe dell’economia teutonica qualora la crisi
travolgesse definitivamente non solo la piccola Grecia ma ben più importanti
paesi come Spagna e Italia. L’effetto del default sarebbe l’immediata
insolvenza dei debiti di quei paese i cui titoli sono principalmente nelle mani
delle banche tedesche ed il collasso dell'esportazioni della Germania, non più
indirizzabili verso aree geografiche non più in grado di pagarne il
controvalore. Il rischio della reazione a catena che s’innescherebbe
sarebbe tale da dover indurre a più miti consigli il più ostinato dei politici,
non tanto per semplice lungimiranza, quanto per opportunistico calcolo di convenienza.
Ma questo non sembra essere il caso della Merkel, che rimane
incomprensibilmente sorda ad ogni invito alla riflessione.
Sul fronte del rilancio economico, poi, appare inevitabile
che lo stato scenda in campo per promuovere le necessarie iniziative: ci rendiamo
conto che nell’immediato il finanziamento di spesa non può che produrre un
nuovo incremento del debito pubblico, quantunque, e sulla scorta delle
considerazioni sopra esposte, i benefici derivati sarebbero certo in grado di
riequilibrarne l’onere. Non va a tal proposito sottovalutato l’utilizzo dei
cosiddetti project bond, varati appositamente per il finanziamento di
iniziative di spesa produttiva.
C’è infine un ulteriore passo che la l’Europa potrebbe fare
per combattere la spietata speculazione internazionale, che potrebbe consentire
di allentare il perenne stato d’allerta e la precarietà in cui si muovono le
economie del sud del continente. Il passo dovrebbe consistere nel lasciare alla
BCE la libertà di incidere sulla stabilizzazione con l’acquisto delle emissioni
di titoli del debito sovrano, sì da togliere alla speculazione l’arma
principale di ricatto sulla stabilità dell’intera Unione. I tassi d’interesse
lucrati su queste operazioni potrebbero essere impiegati per ulteriori operazioni
d’intervento sulle aree di crisi, realizzando così una sorta di circolo
virtuoso in cui i fabbisogni di finanziamento del debito divengono essi stessi
strumenti di sostegno all’equilibrio del sistema ed incentivo per le operazioni
di crescita economica.
Al di là di ogni ipotesi, soggetta in ogni caso all’approvazione
dei vari capi di governo dei paesi aderenti all’Unione, resta comunque una
situazione che giorno dopo giorno si rappresenta sempre più problematica e
sempre più foriera, alla luce delle turbolenze sociali in atto in quelle
regioni continentali dove la crisi sembra mordere maggiormente, di possibili
derive pericolose per la complessiva tenuta della democrazia, specialmente se
non si provvederà con la dovuta rapidità al varo di misure innovative e di
speranza, che lascino intravvedere un barlume di luce dal tunnel da cui non
pare si riesca ad uscire nonostante i tentativi e senza una buona dose di fantasia.
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