mercoledì, dicembre 12, 2012

Ayatollah e festival di Sanremo



Mercoledì, 12 dicembre 2012
Quando si parla d’Italia sono ormai in tanti ad avere le idee confuse. Non si capisce più se si parla di un Paese avanzato, serio, facente parte del consesso di quelli sviluppati e a democrazia matura, o, piuttosto, di un aggregato terzomondista ammodernato, dalla democrazia incerta, più scritta sulla carta che non effettivamente esercitata, che vive tutte le pericolose ed evidenti contraddizioni di un’immaturità dissimulata.
Nonostante lo Stivale faccia parte dell’Europa, - e non solo geograficamente ma anche con vincoli economici e politici apparentemente consolidati, - ciò che vi accade non è sempre in linea con le logiche di una cultura democratica continentale, che può vantare una sorta di supremazia nel mondo. In Italia molto spesso accadono cose che lasciano di stucco persino chi è aperto all’imprevedibilità degli umani comportamenti, cose che poco hanno a che vedere con i concetti di democrazia occidentale e sembrano più vicine alla cultura caucasica o mediorientale o, addirittura, a certi retrivi regimi sudamericani o africani.
Per citare un esempio di questi allucinanti aspetti del nostro presunto vivere democratico basta pensare all’incredibile dibattito apertosi da qualche ora sul Festival di Sanremo, un evento canoro e di costume radicato nel tempo che nulla dovrebbe avere in comune con le questioni politiche che ci attanagliano, ma che pare sia stato promosso da qualche demente conclamato come una potenziale occasione per interferire con le elezioni politiche cui dovremmo essere chiamati proprio nei giorni in cui il mitico Festival è stato da tempo messo in programma.
Attribuire la decisione di riprogrammare l’evento canoro a data diversa dalla prevista ad un folle francamente ci pare faccia torto ai folli, poiché questa decisione va oltre ogni comprensibile concetto di follia e si rappresenta come non solo una delle più ridicole decisioni si possano assumere in Paese serio, ma in un meccanismo micidiale di mortificazione dell’intelligenza e in un pericolosissimo black-out dei meccanismi della democrazia.
Sostenere che nell’ambito di quell’evento - rigorosamente dal vivo e dunque senza censure preventive - si possa infiltrare il propagandista di turno, pronto a lanciare slogan a favore o contro le fazioni in competizione elettorale, ci pare un’ipotesi che forse non sfiorerebbe neanche il sanguinario Assad di Siria. E’ un’ipotesi molto più degna di una mente bacata come quella del tiranno di Teheran Ahmadinejad che non di sedicenti statisti che siedono frequentemente accanto a personaggi come Hollande o Camerun o Barroso o Rajoy. Temere che quest’interferenza possa realizzarsi e, con atto da rancido Minculpop, decidere una censura preventiva lascia assolutamente senza parole e, nello stesso tempo, solleva inquietanti interrogativi. Interrogativi sulla natura della libertà riconosciuta ai cittadini di questa equivoca repubblica guidata da una ciurma di politici non solo screditati per mille ragioni, ma anche completamente privi di qualunque parvenza di rappresentatività, grazie ad una legge elettorale che, con il termine “porcata”, è già stata promossa ad un rango di nobiltà immeritato.
A chi dovessero sfuggire i gravissimi nessi e le implicazioni che coinvolge la decisione in questione è opportuno ricordare che in una democrazia compiuta il diritto di espressione del pensiero è libertà irrinunciabile e a nessuno può riconoscersi l’arbitrio di amputarne l’esercizio, specialmente quando le amputazioni sono dovute al tentativo di garantirsi l’assenza di contraddittorio o quando, sotto le mentite spoglie di un’improbabile asetticità da consentire ad una competizione elettorale, si pretende di imporre un silenzio che suona piuttosto un coprifuoco. Né va trascurato che nel nostro ordinamento sono previste norme che puniscono severamente la propaganda elettorale nel periodo in cui la stessa è inibita e, dunque, lo spostamento di data dell’evento sanremese si dimostra un gravissimo processo preventivo alle intenzioni, che non ha diritto di cittadinanza in paese civile.
Ma le ragioni di chi attenta alla libertà non si fermano qui. C’è una corrente di manipolatori che sostiene che la Rai, in quanto concessionaria del servizio pubblico, deve assolvere ad obblighi normativi definiti dalla Commissione parlamentare di Vigilanza, che prevedono, durante la campagna elettorale, la trasmissione di una serie di tribune politiche atte a favorire la conoscenza dei programmi dei partiti politici. «Chiaramente diventa difficile competere con noi stessi», ha sottolineato il dg della RAI Gubitosi. Ovvero: come si potrebbero mandare in onda i faccia a faccia tra i leader politici se la rete ammiraglia è occupata dall'evento dell'Ariston? Oppure: quali sono i candidati che accetterebbero di esporre i programmi di governo su Raidue o Raitre mentre su Raiuno Fabio Fazio ospita Paul McCartney o Penelope Cruz? E Bruno Vespa? Ve le immaginate delle elezioni senza che Porta a Porta ospiti Bersani e Berlusconi o Mannheimer snoccioli i suoi sondaggi? Infine, non ultimo dei problemi, come la mettiamo con la par condicio? Se Fazio avesse previsto dei comici, da Paolo e Luca a Albanese, non sarebbe tollerato il benché minimo accenno di satira.
Queste considerazioni non appaiono meno pretestuose delle precedenti, assunto che sono basate su due presupposti contestabilissimi. Il primo è che il parlamento e la cricca che vi pascola, che da sempre intende il ruolo del concessionario pubblico vassallo della politica e cassa di risonanza di questa, non può certo imporre almeno per minima decenza la cancellazione o la riprogrammazione di eventi che non hanno nulla a che vedere con la salvaguardia della cosiddetta par condicio. In secondo luogo, non spetta certo all’arbitrio della Commissione di Vigilanza stabilire cosa i cittadini debbano vedere o ascoltare quando siedono nel salotto di casa. Premesso che non è stato certo un medico ad ordinare la trasmissione delle tribune politiche in concomitanza allo show dell’Ariston, chi dovesse preferire Bersani o Cicchitto alle facce di Fazio e della Littizzetto potrà sempre girare canale ed appagare la propria fame di conoscenza. Al contrario, chi dovesse ritenere d’esser sazio di certa informazione, sino al punto di dover ricorrere ad una salutare pasticca di malox per digerirne l’abbuffata, avrà l’alternativa di seguire altri eventi, tra cui l’irrinunciabile Sanremo.
Sappiamo che quanto detto non sarà sufficiente a rintuzzare gli attentati che giornalmente vengono perpetrati nel nostro Paese alle libertà democratiche e a far desistere i manipolatori dai loro vili tentativi di addomesticare gli orientamenti e asservire le menti. Considerato tuttavia che  gli Italiani non sono il manipolo di coglioni che in parecchi vorrebbero, che ci sia almeno risparmiata la pretestuosità di certe iniziative. Non significa questo che ci debba essere detta la verità nuda e cruda. Basterebbe l’oscuramento di tutti i canali RAI – a quelli privati già ci pensano i padroni e i loro prezzolati galoppini – durante la campagna elettorale e le relative tribune, oppure la trasmissione a reti unificate, per capire che l’Italia è nei fatti un protettorato iraniano in mano a degli ayatollah senza turbante.  
(nella foto, il duo Fazio-Littizzetto, presentatori del festival 2013)

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