mercoledì, gennaio 30, 2013

Il ventilatore dello sterco



Mercoledì, 30 gennaio 2013
Sarà pure una campagna elettorale difficile, tra le più complicate della storia repubblicana, ma ciò che sta accadendo nel confronto in corso tra i partiti e le coalizioni in lizza appare sempre più il frutto di un paradosso tutto nazionale, nel quale la cosiddetta politica ha un terreno di coltura a dir poco singolare nell’esperienza del mondo occidentale.
Le competizioni elettorali non sono mai state basate su tranquille discussioni salottiere, su scambi di opinioni divergenti fondate sul fair play dei competitori, ma come nelle partite di calcio lo scontro è sempre stato maschio e, talvolta, contrassegnato da qualche fallo ai limiti del regolamento, episodi che fanno parte dell’agonismo avvertito dai giocatori, consapevoli della posta in gioco. Ma nel calcio il gioco è ciò che conta, è il confronto atletico tra attaccanti e difensori delle due squadre avversarie che determina il risultato finale, è la preparazione atletica dei giocatori e le tecniche di gioco che fanno lo spettacolo, non sono certo i gossip più o meno veritieri sui singoli giocatori che consentono la vittoria sul campo di uno dei due contendenti.
In politica, dunque, dove le forze in campo stilano programmi e progetti di governo, ci si dovrebbe aspettare che lo scontro anche acceso tra i contendenti fosse basato su quei programmi e sull’emersione di divergenze che dovrebbero consentire all’elettorato di preferire un modello di governo piuttosto che un altro.
Qui, invece, scattano le prime anomalie. In primo luogo, è parecchio tempo che nel nostro Paese i programmi  sono trattati dalle forze politiche alla stregua di accessori ed il confronto vero si è spostato sull’immagine degli uomini che rappresentano le forze politiche in campo – la personalizzazione dei simboli elettorali è l’indicatore immediato di questa tendenza – e al bagaglio di malefatte che ciascuno di loro si porta dietro. Il risultato sovente non si determina in virtù della supremazia del migliore, quanto di chi apparirà il meno peggio in un quadro di farabutti veri o sospetti, che sembrano avere il solo obiettivo di concorrere per occupare le istituzioni, continuare ad arricchirsi a spese del popolo degli allocchi e garantirsi il salvacondotto per le ribalderie di cui sono accusati.
Se si guardano le liste elettorali delle diverse forze in campo ci si rende conto che le considerazioni sin qui espresse non sono poi così arbitrarie come certamente tenterebbe di dimostrare qualche sdegnato opportunista. Né la presenza più massiccia di disonesti conclamati in qualche partito, - ancorché non condannati in via definitiva e comunque ricandidati in nome di un garantismo ipocrita, - assolve chi di cosiddetti impresentabili in apparenza ne ha minore quantità. Molto spesso si tratta di fortunose coincidenze o di sviste degli inquirenti, ma basta sfogliare qualche quotidiano per rendersi conto che i metodi criminali sono comuni e trasversali e che chi dichiara che nel proprio partito non si ruba qualche scheletro in armadi di periferia lo nasconde di certo.
Ciò che rende unica la nostra campagna elettorale, tuttavia, non è tanto la presenza dei manigoldi in corsa, – cosa che in altre realtà non sarebbe certamente ammessa, non tanto in forza di legge quanto per un rifiuto generalizzato della pubblica opinione, – ma è la singolare modalità con la quale ci si è inventati un metodo tutto nostrano di spostare il confronto dai contenuti dei programmi all’immagine di chi li porta avanti. Ecco allora che straordinari alchimisti dell’ultim’ora scendono in campo al fianco dei vari leader per mettere in moto potenti ventilatori con i quali spruzzare fetido sterco sugli avversari del proprio capo bastone, trasformando così il confronto elettorale in una guerra senza quartiere fatta di contumelie, accuse, offese da codice penale, sospetti e porcherie varie, tese semplicemente a mettere in cattiva luce la credibilità personale dell’avversario e non tanto le idee di cui è portatore.
A ben guardare il metodo non è solo meschino, ma evidenzia uno straordinario paradosso, essendo una scelta cui s’affida prevalentemente chi meno avrebbe da recriminare per la disonestà altrui. Così, anziché fare pulizia in casa propria, si mette in moto il ventilatore e si spara alla cieca sugli avversari, avendo però cura di non parlare mai dei propri misfatti. Anzi, quando da carnefici si diviene vittime, s’ostenta il disprezzo più profondo per l’impiego di metodi qualificati senza indugio e pudore pura spazzatura.
Così i misfatti più spregevoli perpetrati a danno della fede pubblica, - l’utilizzo improprio dei rimborsi elettorali, le dotazioni ai partiti per attività politica impiegati per spese personali, le tangenti percepite per autorizzazioni e concessione di appalti, la distrazione di fondi pubblici ed altri atti criminali degni della più variopinta fantasia delinquenziale, - vengono utilizzati per screditare le compagini avversarie, quasi che gli stessi reati non abbiano coinvolto propri rappresentanti in seno alle istituzioni. Anziché fare pubblica ammenda e prendere le distanze dai delinquenti allevati in casa, si finge d’essere candidi gigli e, incuranti d’essere accusati di truffe miliardarie, s’attiva il ventilatore dello sterco su chi ha magari rubato un pacchetto di caramelle, con una sicumera straordinaria.
Ci sono partiti politici che in quest’arte brillano in modo particolare, quasi fosse una sorta di dotazione genetica. Così poco importa che tal Scajola si sia ritrovato proprietario a sua insaputa di una casa milionaria, o che tal Bossi e prole impiegassero i soldi pubblici per saldare la parcella dell’idraulico chiamato a sgorgare un lavandino della loro casa di Gemona. C’è persino chi s’è comprato mutande e calzini o lecca-lecca con i soldi dei contribuenti e qualcun altro che ha chiuso un occhio su appalti e mazzette nel settore della sanità in Lombardia in cambio di una gita in motoscafo. Un capo partito è persino condannato per frode fiscale e sospettato di frequentazioni mafiose, ma questo per l’addetto al ventilatore dello sterco non rileva. C’è da credere che l’obiettivo non sia solo quello di screditare gli avversari, ma quello di far credere al cittadino che s’è tutti sulla stessa barca traballante; turarsi il naso sia ormai un imperativo categorico come per gli abitanti di Pechino per non restare stecchiti a causa dell’elevato inquinamento e dell’aria e scegliere sia  solo un’operazione da basare sulla sensazione di minore colpevolezza dei brutti ceffi stampati sui cartelloni elettorali.
Ma si può pensare di rendersi credibili dichiarando d’esser vittime d’una giustizia che perseguita solo i galantuomini? Ma i Bertolaso, gli Scajola, i Previti, i Formigoni, i Dell’Utri, i Mills, i Cosentino, i Romano, i Verdini - l’elenco è chilometrico - erano per caso frequentazioni di Vendola o di Bersani? Può una questione come quella di MPS, ancora tutta da chiarire nei dettagli e nelle responsabilità, rappresentare la vicenda di per sé torbida che pareggia reati come l’induzione alla prostituzione di minore? Allo stesso tempo, il PD, che ora prende le distanze da Mussari e dai guai che stanno coinvolgendo MPS, può chiamarsi fuori da una vicenda nella quale i suoi uomini non hanno certo giocato un ruolo secondario?  I consiglieri regionali lombardi delle sinistre sono “compagni che sbagliano” come diceva qualche tempo fa di qualche brigatista Lotta Continua, o non sono piuttosto anch’essi organici al sistema di mangiuglia radicato e ramificato nel Paese? Chi ha la coscienza limpida al punto di potersi permettere d’azionare il ventilatore dello sterco?
Le domande sono ovviamente retoriche e sicuramente non riceveranno mai riscontro, ma una campagna elettorale, questa campagna elettorale, basata su questi meccanismi non lascia ben sperare al di là di chi vincerà il confronto. Di certo chi ha creduto di rifarsi il look, magari togliendo un po’ di polvere e nascondendone il grosso sotto al tappeto, convinto di aver alzato la cortina fumogena dietro la quale mascherarsi da candido cherubino e poter così sparare a zero sugli avversari dando lezioni d’onestà, forse stavolta s’è fatto male i conti.

lunedì, gennaio 28, 2013

Camerata Silvio: eia, eia, alalà!



Lunedì, 28 gennaio 2013
E’ una campagna elettorale avvelenata, tra le peggiori che si ricordino nella storia democratica della Repubblica. Ma il paradosso sta nel fatto che i veleni non provengono dalle formazioni politiche estreme, quelle di nuova formazione nate sull’onda del malcontento diffuso e della contestazione dura alle misure imposte dal governo dei professori o dalla cosiddetta antipolitica. I veleni sono il prodotto derivato di quel mai risolto conflitto d’interessi che vede Silvio Berlusconi sferrare quotidianamente colpi di maglio al civile confronto elettorale, nella vana speranza di risalire la china di un consenso probabilmente compromesso per sempre.
Dunque, non Grillo, con i suoi toni dissacratori e irridenti, non la destra storica di Storace o Alemanno o La Russa, non la sinistra di nuova composizione alternativa al PD. Chi alza i toni e esacerba gli animi è quel Silvio Berlusconi che tenta in ogni modo di strappare consensi agli avversari o alle frange dell’estremismo nostalgico per non affondare definitivamente e finalmente vedersi costretto a pagare il fio delle sue malefatte, senza compromessi e sconti dovuti al peso del suo ruolo politico.
Ieri “Giornata della Memoria”. Sul binario 21 della stazione di Milano è prevista una manifestazione che ricordi agli Italiani i misfatti razziali di cui si rese complice il regime fascista di Benito Mussolini. Il Cavaliere non rinuncia all’opportunità di trasformare la cerimonia di commemorazione in un’occasione di propaganda elettorale e dichiara: «Il fatto delle leggi razziali è stata la peggiore colpa di un leader, Mussolini, che per tanti altri versi invece aveva fatto bene. L’Italia non ha le stesse responsabilità della Germania. Ci fu una connivenza che all’inizio non fu completamente consapevole». Poi, come è suo rodato costume, di fronte alle durissime reazioni di leader politici, intellettuali, esponenti della comunità ebraica e persino della Chiesa, cerca di correggere il tiro ed afferma: «Non ci può essere alcun equivoco sulla dittatura fascista, lo ribadisco, anche se pensavo che questo dato fosse chiaro per tutta la mia storia politica passata e presente. Sono un storico amico d’Israele». Ma lo scempio è compiuto e invano alzerà la voce contro la valanga di dure polemiche che ha scatenato con le sue improvvide esternazioni, tacciando di «speculazioni elettorali» le critiche dei suoi avversari.
La questione, che rappresenta l’ennesimo scivolone di un leader senza ritegno e che in tutta evidenza ha completamente perso il senso della misura, s’inquadra nella disperata strategia di tentare con ogni mezzo di risalire la china di una disfatta politica foriera di ben altre conseguenze. Quantunque sia noto che il Cavaliere ami il colpo ad effetto, - convinto com’è che il far parlare di sé, anche ponendosi al centro di vivaci polemiche, giovi a mantenere viva l’attenzione sul suo nome, - nel frangente il tentativo è condotto con un cinismo ed una disinvoltura tali non consentire giustificazione alcuna, poiché la speranza di convogliare un pugno di voti allo sbando ed alla ricerca di una nuova identità non può certo consentire di assolvere un regime perverso, una dittatura liberticida, una tirannia casualmente forse meno crudele ma non esente dall’essersi macchiata di gravissimi crimini contro l’umanità al pari del nazismo. Pretendere di assolvere anche parzialmente il fascismo e le pratiche criminali di Benito Mussolini sulla base di presunte mancanze di consapevolezza piena delle connivenze con un alleato dedito allo sterminio sistematico di milioni di vite umane, rende per certi  versi  ridicolo ogni tentativo assolutorio e ancora più fosca l’immagine storica del Duce, l’immagine di un personaggio che, obnubilato dalla sfrenata sete di potere, non avrebbe persino realizzato il senso degli orrendi misfatti che venivano compiuti per ragioni abiette dal suo alleato e con la sua complicità. «Le dichiarazioni rilasciate di Silvio Berlusconi appaiono non solo superficiali e inopportune - ha affermato Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, - ma, là dove lasciano intendere che l'Italia abbia deciso di perseguitare e sterminare i propri ebrei per compiacere un alleato potente, anche destituite di senso morale e di fondamento storico. Le persecuzioni e le leggi razziste  italiane ebbero origine ben prima della guerra e furono attuate in tutta autonomia sotto la piena responsabilità dal regime fascista».
Non di diverso tenore le dichiarazioni dei principali leader delle forze politiche, che unanimemente hanno stigmatizzato quello che appare sempre più lo scriteriato tentativo di protagonismo di un uomo a corto di argomenti ed affetto da un’irreversibile deriva morale, che lo fa abbandonare per improvvisazione all’esternazione di paradossali quanto allucinanti imbecillità.
Pensare di accattivarsi una quota d’elettorato con argomenti come questi è, d’altra parte, il chiaro sintomo che la disperazione ha drammaticamente accorciato l’orizzonte e il debito di lucidità s’accresce spaventosamente ogni giorno che passa. A ben considerare, infatti, ci sarebbe da chiedersi chi consigli il politico Berlusconi di sortite così autolesioniste, poiché il dissenso e lo sdegno che generano le polemiche innescate su argomenti come quelli in questione superano di gran lunga l’effetto popolarità sperato; anzi disvelano lati inediti di una personalità che, del rispetto delle regole di civiltà,  ha idee profondamente discutibili se non meritevoli di condanna senza attenuanti.
Certo è che, comunque s’intenda valutare la vicenda, alla quale non è da escludere possano seguire ulteriori alzate d’ingegno del personaggio, la questione conflitto d’interessi dovrà trovare una definitiva soluzione, qualunque sarà la componente politica che uscirà vincitrice del confronto elettorale, poiché non è più possibile riconoscere diritto di parola e di cittadinanza a chi dell’etica e della morale fa carne di porco pur di raggiungere i propri inconfessabili obiettivi.

mercoledì, gennaio 23, 2013

L’asso nella manica di Squinzi



Mercoledì, 23 gennaio 2013
Ce l’hanno nel DNA, è cosa risaputa. Mentre il Paese langue e s’appresta ad affrontare una tornata elettorale tra le più tormentate della storia repubblicana, la Confindustria di Squinzi si fa portavoce di un piano straordinario di rilancio dell’economia, una sorta di terapia d’urto, come l’ha definita la Repubblica in un intervista rilasciata dal Presidente degli industriali, per far crescere il PIL di quasi il 12% in cinque anni ed aumentare l’occupazione di 1,7 milioni d’unità. Un piano certamente ambizioso, ma che puzza da lontano di revival di sfruttamento e precariato.
Il messaggio è chiaramente indirizzato alle forze politiche in campo candidate alla guida del Paese, nella convinzione che un’offerta del genere non possa non risultare appetibile.
Il progetto è già stato approvato dal Comitato di presidenza degli industriali ed oggi la Giunta esecutiva dovrebbe approvare definitivamente la proposta da sottoporre poi al vaglio del futuro governo.
Ma cosa chiede viale dell’Astronomia per rilanciare la comatosa economia nazionale? In sintesi, un ridisegno degli strumenti di politica economica, sotto forma di riduzione della tassazione e minori oneri sul lavoro, insieme con una maggiore flessibilità di strumenti in ingresso nel mercato del lavoro, attraverso una revisione della recente legge Fornero, ed un incremento delle ore annue lavorate, possibilmente con una compensazione fortemente aumentata. Gli oneri derivanti da questi provvedimenti, facilmente traducibili in minori introiti fiscali per le casse dello stato, dovrebbero trovare compensazione, - a detta degli industriali, - in un incremento delle aliquote IVA e nell’imposizione sulle rendite finanziarie, verso cui sembrerebbero indirizzarsi le scelte della maggioranza dei partiti in questa campagna elettorale.
Esprimere giudizi sulla scorta di queste scarne anticipazioni su un piano che appare assai ambizioso non è cosa fattibile in questo momento, quantunque la sola richiesta di riedizione di strumenti di maggiore flessibilità in ingresso nel mercato del lavoro, lascia presagire l’innalzamento di un muro pregiudiziale che difficilmente potrà trovare estimatori nell’ambito della sinistra.
Ma limitandoci solo a questo aspetto del piano ed assumendo che la nuova legislazione abbia di fatto irrigidito la flessibilità del mercato del lavoro, verrebbe immediatamente da contestare agli industriali dove fossero e cosa facessero quando sino ad una decina di mesi or sono la flessibilità che reclamano c’era e le condizioni di sfascio generalizzato erano persino più acute di quanto non lo siano attualmente. E’ innegabile che la sventurata legge Biagi del 2003 abbia consentito ai datori di lavoro di attingere a man bassa in un mercato contraddistinto da un’offerta straripante rispetto alla domanda, con la messa in opera di miriadi di contratti astrusi, la maggior parte dei quali a termine, che hanno creato un esercito di precari malpagati e confinati ai margini della società. L’operazione è stata peraltro condotta con spudorato cinismo, avendo molto spesso visto la sostituzione di personale altamente specializzato con giovani inesperti, assunti con contratti a termine al solo scopo di risparmiare la differenza di retribuzione e garantirsi mano libera di licenziare al termine del contratto.
Dunque, già in passato i “benefattori” di viale dell’Astronomia hanno dato prova di cinismo e di mancanza di scrupoli nel profittare di una situazione di grave bisogno presente nel mercato del lavoro. Oggi le statistiche, - quelle ufficiali che certamente non tengono conto della cosiddetta disoccupazione cronica da abbandono, dovuta ai tanti che hanno rinunciato a cercare lavoro perché disperati, - dicono che la disoccupazione dei giovani tra i 24 ed i 29 anni è pari al 29,1%, mentre quella delle persone in età lavorativa tra i 15 ed i 64 anni ha raggiunto l’incredibile ammontare del 37,8%. E queste statistiche, di fondo, nascondono un fenomeno impressionante costituito dalla disoccupazione al Sud, dove le stime danno al 56% la disoccupazione giovanile e vicina al 50% quella complessiva della popolazione in età lavorativa.
Di fronte a questi numeri da paese africano c’è da chiedersi che senso abbia una rinnovata richiesta di flessibilità che innescherebbe una nuova giostra di sottopagati, precari e sfruttati. Al contempo, viene spontaneo domandarsi quale sia stato il senso di una riforma del sistema pensionistico che, con l’innalzamento dell’età, ha completamente annullato il ricambio generazionale ed ha creato un ulteriore esercito di disperati senza reddito grazie alle politiche d’esodo messe in atto dalle imprese.
A nostro modesto avviso e come abbiamo già avuto modo di commentare in passato, la politica dei governi Berlusconi in materia di previdenza e lavoro è stata semplicemente inesistente. Mentre è stata del tutto folle quella portata avanti dal governo Monti, che oggi si permette di dare del pazzo a chi l’ha preceduto. Il governo dei tecnici, vuoi per accondiscendenza accomodante nei confronti della destra, vuoi per non inimicarsi la sinistra di Bersani, ha realizzato riforme senza senso o blande, oppure s’è accollata la responsabilità di rendere operativi progetti di legge scriteriati e vessatori, programmati dal governo Berlusconi con ricaduta sugli anni successivi alla conclusione del suo governo, come IMU e redditometro per le famiglie. Così facendo il Professore è caduto nella trappola del malcontento sociale diffuso, ispirato probabilmente dall’ansia cieca di realizzare nel brevissimo termine condizioni di riequilibrio dei conti pubblici. Ciò avrà anche consentito al Paese di riconquistare una credibilità internazionale oramai caduta sotto lo zero con la presenza di Berlusconi e la sua corte dei miracoli, ma ha marchiato Monti con lo stampo indelebile dello strozzino, che lo rende inviso ad una rilevante parte dei cittadini.
D’altra parte, non basta ora inveire con english humor o con sapiente eleganza nei confronti del PdL o della sinistra, definendo queste componenti come potenzialmente inadeguate alla guida dell’Italia in caso di successo elettorale, né promettere che alcune delle recenti imposizioni varate possano essere soggette a rimodulazioni migliorative. La sua ottusa politica di rigore lo ha scioccamente indotto a non valutare che alcuni miglioramenti, se possibili, avrebbero potuto realizzarsi prima della trasformazione in legge dei progetti cantierati dal governo Berlusconi. Pertanto, prenderne oggi le distanze o fingere di prendere atto del gravissimo disagio sociale provocato non redime la sua immagine di massacratore dell’economia, ma suona quasi un’ignobile beffa.
 Ovviamente l’esito delle elezioni è tutto in divenire, ma nello scenario corrente, dove si prevede una vittoria delle sinistre, appare ardita l’ipotesi che il piano confindustriale basato sui presupposti prima detti possa trovare positiva accoglienza.
Non va dimenticato che il governo di Romano Prodi cadde sullo scontro tutto interno tra le vere anime riformiste e le resistenze delle componenti conservatrici presenti dei DS, oggi PD. Ed uno scontro tra Bersani e Vendola, pronosticato e augurato da più parti, non sarebbe che la condizione per un nuovo periodo di relegazione nel cuneo d’ombra delle attese di coloro che vedono in questa sinistra un opportunità per riparlare finalmente d’equità, di giustizia sociale, di lavoro e di progresso.
(nella foto, il patron di Confindustria, Giorgio Squinzi)

lunedì, gennaio 21, 2013

Esagerare con il vino della messa



Lunedì, 21 gennaio 2013
«Ha perfettamente ragione Berlusconi quando definisce il comunismo una vergogna ed un crimine contro l'umanità. Peccato che questa logica tanto elementare non venga compresa da tanta gente, cattolici inclusi e persino da elementi giovanili di alcune Autorità che andrebbero redarguiti. Il comunismo è un regime barbaro, che blocca la libertà di pensiero, tappa le bocche, rende l'uomo schiavo, uccide chi la pensa diversamente.
Insomma, il comunismo è un regime ateo, pagano, satanico (al pari del nazismo) in quanto pone la materia sopra lo spirito e pensa che l'uomo possa essere soddisfatto e contento di un tozzo di pane.
E' questa la vera uguaglianza? No. Uguaglianza significa possibilità reale che tutti possano partire alla pari senza scorciatoie e favori, ma alla fine vinca il migliore.
Il comunismo, al contrario, è una gabbia ed ha fallito storicamente ogni volta ed in ogni posto dove ha governato. Da questo punto di vista Mussolini è stato meno cruento e il regime Fascista una dittatura blanda rispetto al Comunismo.
E veniamo ai cattolici. Il cattolico, se rispettoso della  Chiesa e del Magistero, mai potrà appoggiare i comunisti, male ideologico della umanità e peste del secolo, come insegnavano grandi Papi. Esiste ed è operante, una scomunica, ma revocata, contro la turpe ideologia comunista, ma anche contro chiunque si renda promotore o propugnatore di questa aberrante ideologia.
Per questo cari cattolici: evitate il comunismo e se potete, correggete fraternamente. Stesso discorso vale per i nazisti, che vanno corretti ed educati. L'umanità non deve mai più avere ideologie criminali del genere».
Abbiamo voluto pubblicare integralmente l’articolo a firma di Bruno Volpe su Pontifex.it del 16 gennaio, dal titolo Comunismo, crimine contro l'umanità. I cattolici non possono appoggiarlo, a testimonianza dei gravissimi pregiudizi che vive la Chiesa di oggi e delle altrettanto gravi ingerenze che perpetra costantemente nella vita dei cittadini.
Parlare di comunismo nell’era moderna ed implicitamente attribuire le sue aberrazioni all’ideologia della sinistra occidentale costituisce un falso storico. Nella sua impostazione la breve in questione si rivela un mezzo volgare di propaganda tesa a turbare con argomentazioni farneticanti l’esito delle prossime consultazioni elettorali nazionali, attraverso la diffusione di gratuiti quanto infondati richiami  a concetti morali, persino antitetici all’essenza del cattolicesimo cui si dovrebbe presumere ispirato il pennaiolo di Pontifex, che difficilmente possono risultare condivisibili.
Anzi, dalla descrizione che viene fatta dei pericoli incombenti con l’epoca di un comunismo improbabile e di maniera e dal contraltare che emerge dal delirio astioso di Volpe, si disvela senza volere una concezione del cattolicesimo truffaldina e mistificatrice, che dovrebbe indurre alla rinnovata apoteosi dell’eterno imbroglio della supremazia dello spirito sulla materia, che da secoli costituisce il nocciolo della cultura clerico-fascista della Chiesa: più facile che il cammello passi per la cruna dell’ago che s’aprano le porte del paradiso per un ricco. Ma l’affermazione, valida erga omnes, dove per omnes si intenda la gente comune e non certo il fior di filibustieri che la Chiesa annovera tra coloro che hanno varcato il soglio di Pietro, trova immediata smentita in quella tesi, tutta laica, secondo la quale è in errore chi pensasse che l’uomo possa sentirsi soddisfatto e contento di un semplice tozzo di pane.
L’invasato Volpe, preso com’è dalla vis accusatoria non si ferma a riflettere sulle idiozie che vomita a raffica. Lo sdegno interiore che di lui s’è impadronito come i fumi dell’alcol di un avvinazzato abituale lo inducono anzi a porsi il quesito se la conquista del tozzo di pane possa ritenersi vera eguaglianza. La domanda è retorica e la risposta è già nel suo difettoso caricatore ideologico. L’uguaglianza sta nella partenza, nella sussistenza delle pari opportunità che godono tutti gli esseri umani i quali, guarda caso – ma meglio sarebbe da dire per virtù dello Spirito Santo – si autoselezionano, consegnando la vittoria al migliore.
E’ del tutto inutile rilevare che Volpe, probabilmente giunto alla fine della bottiglia, si senta a questo punto come in un transfert, traghettato in un mondo surreale più che ideale in cui l’eguaglianza è un bene apodittico e, dunque, la selezione è solo frutto dell’esplicitazione delle vocazioni individuali. Se così non fosse, c’è il sospetto che abbia esagerato nella lettura dei saggi di eugenetica di quel Josef Rudolf Mengele, passato alla storia per gli studi  sul fondamento biologico dell'ambiente sociale, oltre che per gli incredibili misfatti compiuti nei campi di sterminio nazisti. Né nella rozza esposizione che fa sul comunismo, peste del secolo, e sui suoi aberranti effetti sulla vita di quanti abbiano sperimentato quel regime si pone mai il dubbio se un sistema basato su una maggiore giustizia sociale, sull’eguaglianza difronte alla legge, sulla sussistenza delle opportunità di integrazione e promozione sociale, sul rispetto e l’equidistanza tra Chiesa e stato, sulla negazione dei privilegi di casta e quant’altro costituisca l’essenza di una democrazia sociale, ovviamente mondato dai miti sui bambini consumati a colazione, sia preferibile alla falsa eguaglianza intrisa d’opportunismi e solidarietà di facciata che sperticatamente difende. Volpi non ha dubbi, ma solo certezze, al punto che persino Mussolini è promosso cherubino: qualche carico di carne umana stipato in carri bestiame ed inviato all’amico Adolf in forma di presente non ne vorrà offuscare di certo la memoria. Prossima mossa, la santificazione del buon Silvio da Arcore, da raffigurare attorniato da tante “putte” se mai ci si dimenticasse delle tante opere pie alla congregazione delle Olgettine.
Francamente sostenere che la sinistra occidentale rechi in sé il germe di un totalitarismo barbaro tendente alla privazione delle libertà individuali ed alla mortificazione della libertà di pensiero e d’azione ci pare più il frutto di un’allucinazione maligna che non una risultanza basata su dati di fatto. C’è piuttosto da sottolineare che i mali imputati dal frastornato Volpe ai sostenitori di un’ideologia maggiormente egualitaria, sono stati piuttosto i tarli velenosi del berlusconismo e del ventennio in cui la peggiore feccia della società nazionale è venuta a galla, spinta dal disfacimento dei valori tradizionali, quei valori sovente derisi e calpestati dalla banda di delinquenti che s’è impadronita delle istituzioni ed ha cercato, con ogni espediente, di trasformare la società italiana in una putrida palude di malaffare, nella quale far trionfare i più esasperati egoismi e biechi interesse di casta.
Fortunatamente, gli Italiani è da tempo che si sono affrancati dalla schiavitù ideologica di una Chiesa di fine serie, in cui i ciarlatani come Volpe, novelli Savonarola in credito di lucidità, lasciano il tempo che trovano e sono relegati al ruolo di megafoni rochi  dell’integralismo più becero e reazionario fine a se stesso.