Il ventilatore dello sterco
Mercoledì, 30 gennaio
2013
Sarà pure una campagna elettorale
difficile, tra le più complicate della storia repubblicana, ma ciò che sta
accadendo nel confronto in corso tra i partiti e le coalizioni in lizza appare
sempre più il frutto di un paradosso tutto nazionale, nel quale la cosiddetta
politica ha un terreno di coltura a dir poco singolare nell’esperienza del
mondo occidentale.
Le competizioni elettorali non
sono mai state basate su tranquille discussioni salottiere, su scambi di
opinioni divergenti fondate sul fair play dei competitori, ma come nelle
partite di calcio lo scontro è sempre stato maschio e, talvolta, contrassegnato
da qualche fallo ai limiti del regolamento, episodi che fanno parte dell’agonismo
avvertito dai giocatori, consapevoli della posta in gioco. Ma nel calcio il
gioco è ciò che conta, è il confronto atletico tra attaccanti e difensori delle
due squadre avversarie che determina il risultato finale, è la preparazione
atletica dei giocatori e le tecniche di gioco che fanno lo spettacolo, non sono
certo i gossip più o meno veritieri sui singoli giocatori che consentono la
vittoria sul campo di uno dei due contendenti.
In politica, dunque, dove le
forze in campo stilano programmi e progetti di governo, ci si dovrebbe
aspettare che lo scontro anche acceso tra i contendenti fosse basato su quei
programmi e sull’emersione di divergenze che dovrebbero consentire all’elettorato
di preferire un modello di governo piuttosto che un altro.
Qui, invece, scattano le prime
anomalie. In primo luogo, è parecchio tempo che nel nostro Paese i
programmi sono trattati dalle forze
politiche alla stregua di accessori ed il confronto vero si è spostato sull’immagine
degli uomini che rappresentano le forze politiche in campo – la personalizzazione
dei simboli elettorali è l’indicatore immediato di questa tendenza – e al bagaglio
di malefatte che ciascuno di loro si porta dietro. Il risultato sovente non si
determina in virtù della supremazia del migliore, quanto di chi apparirà il
meno peggio in un quadro di farabutti veri o sospetti, che sembrano avere il
solo obiettivo di concorrere per occupare le istituzioni, continuare ad
arricchirsi a spese del popolo degli allocchi e garantirsi il salvacondotto per
le ribalderie di cui sono accusati.
Se si guardano le liste
elettorali delle diverse forze in campo ci si rende conto che le considerazioni
sin qui espresse non sono poi così arbitrarie come certamente tenterebbe di
dimostrare qualche sdegnato opportunista. Né la presenza più massiccia di
disonesti conclamati in qualche partito, - ancorché non condannati in via
definitiva e comunque ricandidati in nome di un garantismo ipocrita, - assolve
chi di cosiddetti impresentabili in apparenza ne ha minore quantità. Molto
spesso si tratta di fortunose coincidenze o di sviste degli inquirenti, ma
basta sfogliare qualche quotidiano per rendersi conto che i metodi criminali
sono comuni e trasversali e che chi dichiara che nel proprio partito non si
ruba qualche scheletro in armadi di periferia lo nasconde di certo.
Ciò che rende unica la nostra
campagna elettorale, tuttavia, non è tanto la presenza dei manigoldi in corsa, –
cosa che in altre realtà non sarebbe certamente ammessa, non tanto in forza di
legge quanto per un rifiuto generalizzato della pubblica opinione, – ma è la
singolare modalità con la quale ci si è inventati un metodo tutto nostrano di
spostare il confronto dai contenuti dei programmi all’immagine di chi li porta
avanti. Ecco allora che straordinari alchimisti dell’ultim’ora scendono in
campo al fianco dei vari leader per mettere in moto potenti ventilatori con i
quali spruzzare fetido sterco sugli avversari del proprio capo bastone,
trasformando così il confronto elettorale in una guerra senza quartiere fatta
di contumelie, accuse, offese da codice penale, sospetti e porcherie varie,
tese semplicemente a mettere in cattiva luce la credibilità personale dell’avversario
e non tanto le idee di cui è portatore.
A ben guardare il metodo non è
solo meschino, ma evidenzia uno straordinario paradosso, essendo una scelta cui
s’affida prevalentemente chi meno avrebbe da recriminare per la disonestà
altrui. Così, anziché fare pulizia in casa propria, si mette in moto il
ventilatore e si spara alla cieca sugli avversari, avendo però cura di non
parlare mai dei propri misfatti. Anzi, quando da carnefici si diviene vittime,
s’ostenta il disprezzo più profondo per l’impiego di metodi qualificati senza
indugio e pudore pura spazzatura.
Così i misfatti più spregevoli
perpetrati a danno della fede pubblica, - l’utilizzo improprio dei rimborsi
elettorali, le dotazioni ai partiti per attività politica impiegati per spese
personali, le tangenti percepite per autorizzazioni e concessione di appalti,
la distrazione di fondi pubblici ed altri atti criminali degni della più
variopinta fantasia delinquenziale, - vengono utilizzati per screditare le
compagini avversarie, quasi che gli stessi reati non abbiano coinvolto propri
rappresentanti in seno alle istituzioni. Anziché fare pubblica ammenda e
prendere le distanze dai delinquenti allevati in casa, si finge d’essere
candidi gigli e, incuranti d’essere accusati di truffe miliardarie, s’attiva il
ventilatore dello sterco su chi ha magari rubato un pacchetto di caramelle, con
una sicumera straordinaria.
Ci sono partiti politici che in
quest’arte brillano in modo particolare, quasi fosse una sorta di dotazione
genetica. Così poco importa che tal Scajola si sia ritrovato proprietario a sua
insaputa di una casa milionaria, o che tal Bossi e prole impiegassero i soldi
pubblici per saldare la parcella dell’idraulico chiamato a sgorgare un
lavandino della loro casa di Gemona. C’è persino chi s’è comprato mutande e
calzini o lecca-lecca con i soldi dei contribuenti e qualcun altro che ha
chiuso un occhio su appalti e mazzette nel settore della sanità in Lombardia in
cambio di una gita in motoscafo. Un capo partito è persino condannato per frode
fiscale e sospettato di frequentazioni mafiose, ma questo per l’addetto al ventilatore
dello sterco non rileva. C’è da credere che l’obiettivo non sia solo quello di
screditare gli avversari, ma quello di far credere al cittadino che s’è tutti
sulla stessa barca traballante; turarsi il naso sia ormai un imperativo
categorico come per gli abitanti di Pechino per non restare stecchiti a causa
dell’elevato inquinamento e dell’aria e scegliere sia solo un’operazione da basare sulla sensazione
di minore colpevolezza dei brutti ceffi stampati sui cartelloni elettorali.
Ma si può pensare di rendersi
credibili dichiarando d’esser vittime d’una giustizia che perseguita solo i
galantuomini? Ma i Bertolaso, gli Scajola, i Previti, i Formigoni, i Dell’Utri,
i Mills, i Cosentino, i Romano, i Verdini - l’elenco è chilometrico - erano per
caso frequentazioni di Vendola o di Bersani? Può una questione come quella di
MPS, ancora tutta da chiarire nei dettagli e nelle responsabilità,
rappresentare la vicenda di per sé torbida che pareggia reati come l’induzione
alla prostituzione di minore? Allo stesso tempo, il PD, che ora prende le
distanze da Mussari e dai guai che stanno coinvolgendo MPS, può chiamarsi fuori
da una vicenda nella quale i suoi uomini non hanno certo giocato un ruolo
secondario? I consiglieri regionali lombardi
delle sinistre sono “compagni che sbagliano” come diceva qualche tempo fa di
qualche brigatista Lotta Continua, o non sono piuttosto anch’essi organici al
sistema di mangiuglia radicato e ramificato nel Paese? Chi ha la coscienza
limpida al punto di potersi permettere d’azionare il ventilatore dello sterco?
Le domande sono ovviamente
retoriche e sicuramente non riceveranno mai riscontro, ma una campagna
elettorale, questa campagna elettorale, basata su questi meccanismi non lascia
ben sperare al di là di chi vincerà il confronto. Di certo chi ha creduto di
rifarsi il look, magari togliendo un po’ di polvere e nascondendone il grosso
sotto al tappeto, convinto di aver alzato la cortina fumogena dietro la quale
mascherarsi da candido cherubino e poter così sparare a zero sugli avversari
dando lezioni d’onestà, forse stavolta s’è fatto male i conti.
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