Un’ordinaria storia di spreco
Come butto via i soldi pubblici - Il costo di un apparato che non serve a niente - Quando il ritardo tecnologico genera mostri e inefficienza
Giovedì, 6 giugno 2013
Che lo stato costituisca un
esempio di sperpero del pubblico denaro non è certo una novità ed è tra l’altro
cosa ampiamente risaputa. Ciò che infastidisce, tuttavia, non è tanto il sapere
che i soldi sprecati provengono dalle tasche dei cittadini – cosa che di per sé
sarebbe più che sufficiente per mandare a casa con ignominia chi si fa autore di queste vere e proprie stoltezze
- quanto l’atteggiamento della politica
che non solo con il suo atteggiamento elusivo di questi fenomeni ma con
altezzosa protervia si permette con dichiarazioni e impegni vari di inviare
messaggi ai cittadini sull’improbabile pulizia che sarà fatta.
Questo, peraltro, è comportamento
comune a sinistra e destra, che da una parte si dichiarano costrette a misure
d’austerità e dall’altra perpetuano la destinazione di fondi, finanziamenti,
provvidenze e quant’altro possibile per tenere in vita apparati del tutto
inutili con il segreto scopo di imboscare in quegli apparati amici, clienti e
trombati di turno.
Per intendere di cosa si sta parlando
basterà citare uno dei mille uffici inutili presenti nel territorio di questa
sventurata Repubblica, che certamente non è l’unico a vivere una situazione
palesemente parassitaria e che, ahinoi!, non può ritenersi di certo la punta
dell’iceberg del fenomeno di cui intendiamo parlare.
Siracusa, ridente città del Sud,
dove la disoccupazione dopo gli anni aurei del petrolchimico è una piaga
infetta. In questa città, come in ogni provincia d’Italia, ha sede una
dependance statale che risponde al nome di Archivio di Stato. In quest’ufficio
vengono raccolti documenti d’epoca di varia natura – sentenze, antichi atti
notarili, papelli, atti testamentari, ecc., - messi a disposizione di un
pubblico, prevalentemente di storici, per consultazione e studio.
L’ufficio, dotato di un organico
di una ventina d’anime, è aperto al pubblico cinque giorni alla settimana per
consentire l’accesso ai visitatori e per il disbrigo delle incombenze
amministrative che ovviamente gravano su qualunque organizzazione produttiva o erogatrice
di servizi.
Fin qui, nulla di anomalo o
censurabile, considerato che anche le scartoffie costituiscono cultura e,
dunque, è apprezzabile che esista un luogo in cui viene conservata la
storia cartacea del nostro passato, su
cui indagare o risalire all’origine di fatti e cose che in qualche misura
influenzano anche il vivere presente.
L’anomalia salta subito
all’occhio allor quando si vanno a consultare i registri dei visitatori e, con
indicibile stupore, si scopre che quell’apparato fatto di 2000 metri quadri, 20
addetti, di centinaia di migliaia di euro per affitti, spese varie e personale,
eroga un servizio mensile ad un drappello di 10/15 teste d’uovo che sono use
frequentare quella che appare solo una polverosa ed esclusiva biblioteca per
pochi intimi.
Ma a ben analizzare, le sorprese
non finiscono qui, perché l’Archivio siracusano qualche anno fa si è inventato
per ragioni intuibili ma mai confessate
una ulteriore dependance in quel di Noto, piccolo centro di poco meno di 12000
abitanti, culla del barocco e meta di turismo mordi e fuggi.
Qui, in un antico palazzo
nobiliare in affitto ben otto dipendenti distaccati dalla sede presidiano una
raccolta di documentazione di natura del tutto simile a quella presente a Siracusa,
ma in quanto a visitatori non se ne vedono che di sporadici e comunque in
numero di gran lunga inferiore ai frequentatori della “casa madre”. Il
risultato è che per questo personale, comunque pagato alla stregua dell’altro,
la giornata non passa mai e si trascina fiacca sino a pomeriggio inoltrato,
quando, stremato dal duro lavoro espletato, finalmente, ciascuno può
raggiungere casa e ritemprarsi per affrontare una nuova frenetica giornata il
giorno appresso.
Va sottolineato, inoltre, che, in
considerazione dei dati d’affluenza, la dirigenza dell’esemplare ufficio
pubblico ha ritenuto da anni d’imporre turni d’orario prolungato, che nei fatti
servono solo a limare al rialzo le retribuzioni mensili dei dipendenti, senza
alcun tangibile vantaggio di ritorno per il servizio pubblico erogato.
In base a questo quadro, che
chiunque volesse sarebbe in grado di constatare di persona, si pongono alcuni
quesiti cui sarebbe auspicabile che la politica, quella che decide, quella che
impone i sacrifici ai cittadini per far fronte alle spese inderogabili
dell’apparato pubblico, desse risposte precise.
In primo luogo sarebbe doveroso
spiegare ai contribuenti le ragioni per le quali è necessario avere un Archivio
di Stato in ogni provincia della Penisola, quando invece si potrebbe
rapidamente procedere ad un accorpamento di questi uffici, assegnandogli sede
là dove il servizio è in grado di garantire una remunerazione significativa. In
secondo luogo, sarebbe più che doveroso motivare l’esistenza di “delegazioni”
sul territorio, assolutamente improduttive, poiché è molto probabile che il
caso di Noto non sia l’unico esempio esistente di sperpero di pubblico denaro
oltre ogni tolleranza. Infine, occorrerebbe spiegare le ragioni per le quali
non si sia già proceduto da tempo all’ammodernamento tecnologico di questi
uffici, magari con la microfilmatura della documentazione, così da renderla
fruibile in via telematica e salvaguardare l’integrità della documentazione
cartacea originale, sottoposta ad evidente usura per effetto della
consultazione.
Ma siamo certi che le risposte
non arriveranno mai, e non perché i quesiti possano giudicarsi inopportuni,
quanto per l’ignavia e l’insipienza di una spudorata classe politica che
ritiene d’avere il diritto di fare quel che le par, al di sopra di qualunque
critica e censura.
Dimenticavamo: non va trascurato
che apparati di questo tipo, così polverizzati sul territorio e organizzati in
modo arcaico, sono utili per sistemare qualche cliente e, alla bisogna,
convogliare un po’ di voti.
E pensare che per mantenere queste
realtà scandalose non ci sono poi i soldi per la cassa integrazione o per
finanziare progetti per l’occupazione giovanile!
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