Napolitano rieletto Capo dello Stato
Giorgio
il domatore frusta le belve spelacchiate al Barnum di Montecitorio – Le parole
durissime del neo Presidente - Gli applausi liberatori dei cazziati – L’M5S nell’angolo
e Grillo sempre più vaneggiante che grida al golpe e lancia la profezia di un’apocalisse in autunno
Martedì, 23 aprile 2013
C’è chi l’ha descritto come
Daniele nella fossa dei leoni, se non fosse che ci si trovava di fronte ad un
vecchio, un vecchio con gli attributi però, e la fossa non ospitava leoni, ma
solo disgraziati irresponsabili, oltre a qualche lenone – l’assonanza è salva –
e qualche troia, - così per confermare il Battiato pensiero. C’è chi l’ha
descritto come un domatore, intento a frustare le belve ribelli di un circo
immaginario. A dire il vero in questa veste il vecchio con gli attributi è
apparso sì in un circo sgangherato, ma le belve erano più randagi spelacchiati
che non felini d’alto rango.
Il vecchio è quel Giorgio
Napolitano che è già stato Presidente di questa repubblica farsa per sette anni
e che adesso, alla veneranda età di quasi 88 primavere, davanti all’impossibilità
di trovare una quadra sul nome del suo successore, è stato implorato di restare
al suo posto per un altro settennato e continuare a guidare la baracca, più che
pericolante, palesemente sfasciata.
«Non prevedevo di tornare in quest'Aula: è un fatto legittimo ma eccezionale» dichiara visibilmente commosso
il vegliardo, anche se nella voce si coglie una certa contrarietà; tuttavia «bisognava offrire al mondo un'immagine di
fiducia e di coesione nazionale. Per questo non potevo declinare, ero preoccupato per le sorti del Paese. V’è
l’esigenza di dare un segno di normalità e continuità istituzionale», - ha
detto Giorgio Napolitano – esigenza che alla fine lo ha convinto ad accettare,
non senza sacrificio, un compito sicuramente duro.
Dopo i ringraziamenti a chi ha
voluto accordagli la fiducia, però, è iniziato il discorso che in tanti temevano,
quello di forte rimprovero ai partiti politici, che hanno dimostrato con «contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa
le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi»
una profonda incapacità di dare «soluzioni
soddisfacenti» alle richieste di riforma e di rinnovamento provenienti
dalla società civile.
Agli applausi scrosciati che sono
seguiti a queste dichiarazioni d’esordio – grotteschi, se si considera che lo
stato di degrado in cui versa il Paese è certamente il frutto dell’ignavia di
coloro che adesso si spellano le mani, - Napolitano mostra quasi irritazione e
ammonisce di non lasciarsi andare con quell’applauso ad «alcuna autoindulgenza», poiché certi comportamenti sono stati «corresponsabili
del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e
dell'amministrazione e di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme», a
cominciare dalla legge elettorale, la cui «mancata
revisione ha prodotto una gara accanita per la conquista, sul filo del rasoio,
di quell'abnorme premio, il cui vincitore ha finito per non riuscire a
governare». Insomma, una cosa è certa, avverte Napolitano: se dovesse
trovarsi di nuovo di fronte a «sordità
come quelle contro cui ho cozzato nel passato», lui non esisterà «a trarne le conseguenze dinanzi al Paese».
Se questo è stato il messaggio
chiaro e forte ai partiti tradizionali, non è certo mancata la rampogna a
Grillo e ai sui sanculotti dell’M5S, che ben si son guardati dal partecipare all’applauso
ripetuto a Napolitano. Il capo dello Stato rivolgendosi ai grillini dice di
apprezzare il loro impegno per il cambiamento, ma indica loro la giusta via,
che è quella di una «feconda, anche se
aspra, dialettica democratica e non quella, avventurosa e deviante, della
contrapposizione tra piazza, rete e Parlamento».
Un monito generale poi a prestare
grande attenzione alle pulsioni eversive, alimentate dal clima di profonda
sfiducia che serpeggia nel Paese. Occorre ricreare un clima di stabilità in Paese
stremato dalla crisi e dall’angoscia della disoccupazione, condizioni che
favoriscono l'affermarsi di «nuove pulsioni
criminali ed eversive e fenomeni di tensione e disordine nei rapporti tra
diversi poteri dello Stato».
In questo quadro è imperativo
indicare un percorso: preso atto dei fallimenti della classe politica, è tempo
di passare ai fatti. Per Napolitano quelli dei “saggi” sono «documenti di cui non si può negare, se non
per gusto di polemica intellettuale, la serietà e concretezza». Ed è da
quei documenti che bisogna ripartire per un governo basato «tassativamente sull'intesa tra forze diverse.
Sulla base dei risultati elettorali, di cui non si può non prendere atto,
piacciano oppur no, non c'è partito o coalizione che abbia chiesto voti per
governare e ne abbia avuti a sufficienza per poterlo fare con le sole sue
forze. Qualunque prospettiva si sia presentata agli elettori, o qualunque patto
- se si preferisce questa espressione - si sia stretto con i propri elettori,
non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni».
Per Napolitano non v’è dubbio alcuno che i risultati elettorali «indicano tassativamente la necessità di
intese tra forze diverse per far nascere e per far vivere un governo oggi in
Italia, non trascurando, su un altro piano, la esigenza di intese più ampie, e
cioè anche tra maggioranza e opposizione, per dare soluzioni condivise a
problemi di comune responsabilità istituzionale». Per il capo dello Stato «che si sia diffusa una sorta di orrore per
ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche
diverse, è segno di una regressione della democrazia, di un diffondersi
dell'idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse
problematiche del governare la cosa pubblica».
Infine il commiato dal Parlamento
e il reinsediamento al Colle, non senza aver osservato il protocollo di rito,
con l’omaggio al milite ignoto e l’ingresso al Quirinale con il saluto delle
forze armate e l’alzo della bandiera presidenziale.
Di questa giornata storica, in
cui per la prima volta l’Italia ha assistito alla rielezione di un Presidente
uscente, rimangono le immagini dei leader politici dei maggiori partiti con le
orecchie basse e con in volto la rassegnazione a dover intraprendere da domani
la strada in salita di intese che ridiano al Paese la governabilità mancante da
troppo tempo. Sullo sfondo, l’immagine di un Grillo, che ottusamente continua a
gridare al golpe per la scelta effettuata dal Parlamento di rieleggere
Napolitano, ma che, in fondo, con le sue sciocche proteste rivela solo la
pochezza del suo movimento e la sterilità di una protesta emotiva, capace solo
di proclami senza senso – l’ultima è di un fallimento del Paese nel prossimo
autunno - e completamente priva di propositività.
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