Le beghe condominiali della politica
Venerdì, 5 aprile 2013
Ma questo Renzi, questo
neosaccentello salvatore della patria
che ormai da lungo tempo non fa che gettare scompiglio tra le fila del suo PD,
cosa vuole e dove intende arrivare?
Questo giovanotto del 1975, la
cui carriera politica comincia nel Partito Popolare di Buttiglione, Marini e
Castagnetti, ha un passato nella Margherita con la quale nel 2004 diventa presidente
della Provincia di Firenze e dalla cui posizione spicca il salto per la
poltrona di Sindaco della stessa città nel 2009. Nel frattempo la Margherita di
Rutelli e Franceschini è confluita nel PD e così il giovanotto, anche grazie al
successo elettorale per l’elezione del sindaco di Firenze, dove al ballottaggio
riporta quasi il 60% dei voti, viene
cooptato nella segreteria nazionale del maggior partito della sinistra
italiana.
Il giovane è ambizioso e
presuntuoso quanto basta per farsi strada anche sgomitando tra i leader storici
del suo partito, aiutato da un verve affabulatrice che gli permette di divenire
gettonato protagonista di talk show ed eventi mediatici, è in prima fila tra
coloro che sollecitano il rinnovamento della sinistra sino al punto di fondare
alla fine dell’estate del 2010 un movimento per la “rottamazione senza
incentivi” dei dirigenti di lungo corso del PD. In questa iniziativa, fondata
sulla Carta di Firenze, vero e
proprio manifesto del renzismo si
troverà al fianco parecchi esponenti del dissenso della sinistra, tra i quali Pippo
Civati, Debora Serracchiani, Pietro Ichino, Ermete Realacci, Andrea Marcucci,
Francesco Ferrante e tanti altri, convinti che un fresco alito di liberismo
possa costituire il fattore di successo in grado di sdoganare il PD e
conferirgli un’immagine di modernismo, senza per questo rinunciare ai principi
d’equità sociale ispiratori dell’identità della sinistra.
Dopo una fase contrassegnata da
forti tensioni e polemici scontri all’interno del partito, in particolare con Stefano
Fassina, responsabile economico del PD, e con l’ala ortodossa i clamori sulla
cosiddetta rottamazione si sono sostanzialmente spenti, sebbene l’apoteosi sia
raggiunta con la candidatura di Renzi contro Bersani alle primarie del partito
poco prima delle elezioni politiche e la sconfitta del Sindaco di Firenze.
Sebbene Matteo Renzi dopo quella
sconfitta abbia dichiarato che la contesa abbia dimostrato quale sia il senso
della democrazia nella sinistra italiana e che, nel prendere atto del verdetto
delle urne, egli avrebbe continuato a garantire una piena collaborazione con il
segretario del PD, le recente vicende che hanno visto Pierluigi Bersani impegnato
nel vano tentativo di formare un governo hanno riacceso le polemiche.
C’è d’altra parte chi sostiene da
sempre che Matteo Renzi non è certo un uomo di sinistra, considerato che da
tempo ammicca al PdL di Silvio Berlusconi, concedendo ipotesi di disponibilità
al dialogo che non rispecchiano le posizioni del PD. «Sei fuori linea», «Ragioni
come Berlusconi», e via di questo passo sono le accuse che vengono mosse a
Renzi, che risponde: «Sono ridicoli»,
ma sa che la partita riapertasi dopo il mezzo fallimento di Bersani è
difficile. E’ difficile alla luce dei movimenti sotterranei che si percepiscono
nel partito. Sembra infatti in programma un incontro tra il segretario del PD e
Berlusconi sul tema del nome del prossimo Presidente della Repubblica. Ciò
consentirebbe a Bersani di portare a casa il consenso del PdL ad un governo a
tempo da lui guidato, che però resterebbe in vita per il disbrigo dell’attività
corrente anche in caso di ritorno alle urne a breve termine: ciò stroncherebbe
ogni velleità al giovane Renzi di reclamare nuove primarie, visto che dalla
posizione di presidente del consiglio Bersani non avrebbe da temere alcun
attacco alla sua leadership.
In questo complesso gioco,
foriero di una scissione già annunciata dall’ala ortodossa – D’Alema in testa -
qualora in futuro fosse Matteo Renzi a prevalere
in un’eventuale corsa per la segreteria del partito, il giovane sindaco
continua a parlare un linguaggio di rottura, sostenendo posizioni che in una
certa misura lo rendono prossimo alle posizioni del PdL, sebbene poi alla luce
dei movimenti sotterranei di cui si diceva tenti di riconquistare una posizione
oltranzista, che lo contrappone a qualunque tentazione di inciucio con il
nemico giurato : «Ho detto quello che
pensa il 95% degli italiani. Ho solo
detto: giocate come vi pare, ma giocate». Invece di «aspettare un mese» come sta accadendo, «alcune cose si potrebbero fare subito», e c'è «una situazione di difficoltà economica su cui qualcosa si potrebbe fare»,
per cui «prima si mettono in condizione
di far funzionare il Parlamento e meglio è». Dunque, una negazione di
volere un’alleanza con il PdL e, nello stesso tempo, l’accettazione di un’eventuale
intesa come dato di fatto per uscire in ogni caso dallo stallo in cui la
politica è precipitata difronte alle reali emergenze del paese.
A sostenere l’equivoca linea di
Renzi ci pensa uno dei suoi fedelissimi, Matteo Richetti, che si scaglia contro
il titolo de l'Unità: «”No di
Renzi al governo Bersani” è esattamente il contrario della verità. E' cioè del
fatto che Matteo Renzi ha sostenuto e sostiene lealmente la decisione che
Bersani sia la nostra indicazione a premier. Renzi ha solo precisato che occorre fare in fretta. Voler dare di Renzi
l'idea della persona inaffidabile e che sotto sotto non pensa quel che dice, ci
rigetta nella propaganda. Di parte, nemmeno di partito». Poi arriva a
chiedere le dimissioni del direttore, Claudio Sardo, reo a suo giudizio di
essere uno di quei giornalisti che antepongono la notizia alla storia
contrariamente a quanto aveva fatto sino ad ora. A lui replica Stefano Di
Traglia, portavoce di Pier Luigi Bersani che, pur non entrando nel merito delle
dichiarazioni del compagno di partito e di Renzi, afferma deciso: «Chiedere le dimissioni di un direttore
perché non si concorda con un titolo è un atto grave. Sì a critiche, no a
censure».
Così mentre l’Italia langue e
continua nella consumazione dei suoi drammi, nella segreterie politiche la
battaglia è in corso e la guerra è lungi dalla conclusione, anche se gli esiti
non è prevedibile possano essere positivi, chiunque dovesse risultare
vincitore.
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