giovedì, aprile 18, 2013

Presidenziali sinistra alla resa dei conti

I forti dissensi tra Renzi e Bersani  -  Un quarto  del PD contro le decisioni della Direzione Nazionale  La candidatura di Franco Marini tacciata come  il frutto dell'ennesimo inciucio con Berlusconi e PdL





Giovedì, 18 aprile 2013
Sembra la riedizione del mitico duello di Per un pugno di dollari lo scontro in atto all’interno del PD. Da una parte Pierluigi Bersani e i suoi pistolero, dall’altra Matteo Renzi, forte dei suoi cinquanta aficionados, che hanno già fatto sapere che mai voteranno Franco Marini alla presidenza della Repubblica.
Un duello che, se mai ci fosse stato bisogno di conferme, pare aver spaccato i democratici e la stessa coalizione di centrosinistra, visto che i dissidenti alle risoluzioni della direzione nazionale di ieri sono saliti a novanta e che ha costretto lo stesso Nichi Vendola, segretario del SEL e preziosissimo alleato del PD nella tornata elettorale, ha prendere le distanze dal nome di Marini. Se poi si valutano i “si dice” che soggiacerebbero dietro all’intesa PD-PdL sul nome di Marini, - l’accordo prevedrebbe la cooptazione di Gianni Letta  alla segreteria generale del Quirinale – la frittata è fatta. Anzi, è l’intero cartone con le uova che sarebbe caduto a terra, provocando lo splash  tipico dei sottili gusci rotti.
La candidatura di Marini al Colle da parte del segretario del Pd è stata già ufficializzata mercoledì sera al teatro Capranica a Roma, dove si era svolta l'assemblea di deputati, senatori e grande elettori di Sel e Pd, - informa il Corriere della Sera. «Marini è una personalità di esperienza con il carattere per reggere le difficoltà, sarà in grado di assicurare convergenza di forze di centrodestra e sinistra, ha un profilo dal tratto popolare e sociale», aveva detto il leader democratico Bersani. Ma il nome dell'ex sindacalista non ha convinto tutti. Dentro e fuori dal Capranica non sono mancate le tensioni: i rappresentanti di Sinistra e libertà hanno abbandonato l'assemblea mentre un gruppo di sostenitori del Pd protestava fuori dal teatro, al grido di “non lo votate” verso i deputati che avevano preannunciato il dissenso ed insulti più o meno coloriti all’indirizzo del segretario “traditore”. I palesi dissensi tra i democratici portano  alla fine l'assemblea ad approvare a maggioranza la candidatura di Marini proposta da Bersani: 222 i voti favorevoli, 90 quelli contrari e 21 astenuti. Ma i numeri del dissenso sono talmente pesanti da lasciare intendere non solo che il percorso parlamentare di Marini sarà zeppo di ostacoli, ma che la sua candidatura possa nei fatti rivelarsi solo un contentino di facciata al PdL di Silvio Berlusconi, che, arrendendosi all’evidenza, dovrà necessariamente prendere atto del fallimento dell’intesa con il segretario PD e della convergenza dei voti della maggioranza dei 1007 delegati verso un nome anche a lui non del tutto gradito. Come dire: non ne abbiamo colpa, ci abbiamo tentato, ma il candidato non era così forte come si pensava. Adesso beccati D’Alema o Prodi o Rodotà.
A ben guardare e a parte il nome di Romano Prodi, su D’Alema il PdL non s’è mai espresso in modo netto, quasi a far intendere che come seconda scelta il personaggio potrebbe anche non risultare sgradito. Men che meno sono stati espressi giudizi su Stefano Rodotà, costituzionalista, professore di diritto, ex presidente del PD ed ex presidente dell’Autorità per la tutela della privacy, che, come ha sottolineato Grillo, è sempre rimasto lontano dai giochi di palazzo e, nonostante i suoi ottant’anni denota una freschezza, un equilibrio e una vitalità invidiabili.
In effetti, Stefano Rodotà potrebbe essere il catalizzatore di quell’unitarietà del paese invocata da più parti, avendo dalla sua un trascorso cristallino, un’equidistanza esemplare ed una competenza fuori discussione. Inoltre, proprio perché graditissimo all’M5S, la sua elezione potrebbe rappresentare la chiave per sbloccare definitivamente l’oltranzismo grillino e dare il via all’evacuazione dell’Aventino sul quale Crimi, Lombardi ed i loro 138 parlamentari si sono da tempo arroccati. Insomma un’opportunità da non trascurare per avviare un percorso di governabilità non più procrastinabile.
Nello stesso tempo, il nome di Rodotà potrebbe rappresentare quell’elemento di riserraggio delle file pidiessine, la cui unità sta registrando ormai da troppo tempo pericolosissime incrinature. Pensare, d’altra parte, che le fratture determinatesi con la candidatura di Marini e la sua mancata elezione possano ricucirsi grazie al nome jolly di D’Alema è pura fantasia. Renzi ha già fatto sapere che il nome dell’ex presidente del partito rientra nella black list  dei personaggi da rottamare e lo stesso D’Alema ha già fatto sapere che un ruolo maggiormente preminente nel partito del sindaco di Firenze non gli sarebbe gradito, al punto da fargli ventilare una scissione con tanto di nuovo partito insieme con gli uomini di Vendola.
Nel frattempo alcuni minuti fa in Parlamento è iniziata la prima votazione per l’elezione del Capo dello Stato: cosa ne verrà fuori?
Difficile fare previsioni in questo momento, anche se parecchi osservatori non escludono la vittoria di Marini già al primo turno.
Certo è che, comunque vadano le votazioni, il solco profondo che s’è aperto all’interno della sinistra è talmente profondo da far presagire che questa volta non ci si limiterà a contare il numero dei vincitori e dei vinti, ma il risultato sarà prodromo di imprevedibili sommovimenti che ne sconvolgeranno i connotati futuri.

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