Gioco al massacro
Il PD nel caos – Si dimettono Bersani e Bindi - Rodotà inspiegabilmente inviso ad una parte del partito di cui è stato presidente – E sotto pesano gli inconfessabili inciuci con il PdL
Sabato, 20 aprile 2013
Siamo già alla quinta votazione
per l’elezione del Capo dello Stato, due nomi sono stati definitivamente
bruciati, quello di Franco Marini e quello di Romano Prodi, e nulla lascia
prevedere quando quella che con il passare delle ore assume l’aspetto di un’incredibile
buffonata arriverà alla conclusione.
Che Beppe Grillo avesse già
lanciato il suo anatema contro la vecchia classe politica, definita di zombie da
mandare a casa, è cosa arcinota, ma che i sepolcri imbiancati che, piaccia o
meno, stanno dimostrando d’occupare abusivamente un posto in Parlamento
decidessero così in fretta il suicidio di massa, francamente, non se lo sarebbe
mai aspettato nessuno.
A guardare questa pulp fiction in
corso, in cui sono cadute le teste anche di Anna Finocchiaro e quella di D’Alema
oltre a quelle dei sopra menzionati candidati ufficiali del PD, ci si rende
conto della squallida pochezza dell’intero partito democratico, gruppo
dirigente in testa, che con i veti incrociati, le imboscate, i tradimenti nel
segreto dell’urna e le defezioni ha dimostrato in modo inequivoco come le
porcherie, i giochi sporchi, gli accordi sottobanco e quant’altro di esecrabile
fosse pratica usuale anche all’interno del partito leader della sinistra
italiana.
Le dimissioni di Rosi Bindi dalla
presidenza del partito e quelle di Pierluigi Bersani dalla segreteria, sebbene
segno evidente del disfacimento mortale del partito, non fanno certo giustizia
del reato di altissimo tradimento perpetrato da questa miserabile nomenklatura ai
danni della base elettorale, che pur per pochi voti aveva fatto vincere le
elezioni al PD ed aveva sperato che fosse in grado di imprimere alla marcia
politica nazionale, ammorbata da ventennio berlusconista, una svolta nuova e di riscatto.
Non si comprende in questo
sciagurato quadro la ragione per la quale un nome come quello di Stefano
Rodotà, insigne costituzionalista, ex parlamentare nazionale ed europeo, ex presidente
dell’Autorità garante della privacy e, se mai non bastasse, ex presidente del
PD, sembri risultare persino inviso al partito di Bersani, che ben s’è guardato
d’inserirlo nel mazzo delle candidature possibili per il Colle, sapendo altresì
che il suo nome era largamente condiviso dai “cittadini” di Grillo e che il
convergervi avrebbe aperto un ampio spiraglio ad un possibile dialogo con l’M5S.
Tutto ci si poteva attendere dal
PD e da un Bersani che alla vigilia dell’inizio delle votazioni per l’elezione
del Presidente della Repubblica aveva dichiarato tronfio che le elezioni si
sarebbero concluse in breve, dato che il carnet dei nomi proponibili era “ampio
e condiviso”, tranne che nell’arco di 48 ore, cioè nel giro di quattro tornate
di votazioni, distruggesse definitivamente il partito. L’aria puzza talmente di
morte al punto da far stimare agli addetti ai lavori una perdita di oltre il
10% per il PD qualora s’andasse a nuove elezioni nazionali. Un risultato
pazzesco se si pensa che sino ad una ventina di giorni or sono Pierluigi Bersani,
nonostante le nubi fosche all’orizzonte, aveva ricevuto un incarico per tentare
la formazione di un governo per il paese e ancora parlava di “smacchiare i
giaguari”.
Se queste sono le tragiche ed
amare conclusioni, allora non resta che chiedersi quale sia il grado di dignità
residuo rimasto a questa gente. Molto poco, a quanto si può dedurre, visto che
nonostante abbia ricevuto sollecitazioni di ogni sorta, accompagnate da
contestazioni infarcite da insulti dalla piazza, ha testardamente proceduto per
la sua strada in modo sprezzante. Se poi si guardano le immagini strabilianti
mandateci da tutti i canali televisivi del moratale abbraccio tra Bersani e
Alfano nell’emiciclo di Montecitorio, si afferra il senso sconcertante delle
connivenze tra il PD e il PdL, due movimenti politici antagonisti per
definizione almeno in pubblico, pronti ad un collaborazionismo abominevole
nelle stanze dei bottoni.
E di questi minuti la notizia che
diverse delegazioni di partito hanno chiesto udienza a Napolitano per sollecitargli di rendersi disponibile ad un
nuovo mandato in considerazione del gravissimo caos in atto nell’elezione del
suo successore.
Non è chiaro cosa potrà rispondere
il Presidente in carica, ma è indubbio il suo imbarazzo dovuto da una parte all’alto
senso di responsabilità per la situazione e, dall’altro, al doversi misurare
con un personaggio come Stefano Rodotà, amico e collaboratore, sostenuto ancora
dai grillini, che hanno fatto sapere di non voler far convergere il loro voto
sull’attuale inquilino del Quirinale.
La mossa, pertanto, potrebbe
essere la seguente. Accettare la rielezione dopo aver parlato con Rodotà e
preannunciargli che a lui sarà affidato l’incarico di formare il nuovo governo,
in modo da metterlo in condizione di ritirare la propria canditura al Colle.
Tale mossa metterebbe in grosse difficoltà i grillini, che perderebbero il
candidato di bandiera ritrovandoselo poi come presidente incaricato, al quale difficilmente
potrebbero negare la loro collaborazione. Nello stesso tempo, Napolitano
potrebbe accettare di ricandidarsi con l’impegno dei partiti a varare quelle
riforme urgentissime, come la legge elettorale, al varo della quale indire
nuove elezioni per poi dimettersi e lasciare ad un nuovo parlamento, questa
volta eletto con una legge decente, il compito di insediare un Presidente della
Repubblica.
Certo è che, comunque vadano le
cose, questa volta di cadaveri al suolo ne resteranno tanti.
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