La battaglia per il governo: chi vince e chi perde
Martedì, 26 marzo 2013
Diciamocelo con franchezza: la
battaglia per la formazione del nuovo governo si gioca tutta sull’ipotesi di
salvare dalla galera Silvio Berlusconi. La mano tesa del Caimano a Pierluigi
Bersani non è segno del «senso di
responsabilità verso il paese», ma l’ennesimo espediente per sottrarsi ai
giudici ed alla pena che con ogni probabilità gli affibbieranno in uno dei
processi attualmente in corso.
Se fosse consentito scherzare
sull’argomento, si potrebbe concludere che l’ipotesi di vedere seduti insieme
il cane Berlusconi e il gatto Bersani, non ha alcun fondamento né logico né
politico. Due blocchi che non si sono mai risparmiati chiari messaggi di
reciproca disistima e che, comunque si guardi alla storia dei rispettivi
partiti, hanno radici ideologiche talmente diverse da non consentire neppure
per un attimo d’immaginare un tavolo di colloqui composto da Brunetta e
Franceschini, da Alfano e Finocchiaro,
da Bersani e Berlusconi. Senza contare che mentre il trucco potrebbe anche
servire al centrodestra, avvezzo a saltare i fossi e poi inventare palle
micidiali per farsi assolvere dal proprio elettorato cartapecorito,
l’esperienza non sarebbe che l’atto formale di suicidio di massa per l’ex
partito operaio, che alla prima tornata elettorale farebbe una fine persino
peggiore di quella patita da Bertinotti e Diliberto.
Né c’è da chiedersi cosa si
nasconda dietro questa incredibile offerta di collaborazione berlusconiana al
nemico Bersani. Il movente è molto più evidente di quanto si possa
arzigogolare.
Il Cavaliere è chiaramente
all’amaro, avendo già da un pezzo superato la fase della frutta, e allora, carezzando
le ambizioni del nemico giurato, tenta alla disperata di offrire un ramoscello
d’ulivo sotto forma di una fiducia altrimenti quasi impossibile per Bersani, non
senza porre però condizioni. La prima è il suo maggiordomo, Angelino Alfano,
che dovrebbe in questo governo improbabile ricoprire la posizione di vice
presidente del consiglio. La seconda, ancora più irricevibile, è l’opzione per
una presidenza della repubblica di area “moderata”, che qualora non prevedesse persino
la sua candidatura, dovrebbe riguardare qualcuno che, all’occorrenza, strizzi
l’occhio agli interessi della sua fazione – che poi come insegna ormai la
storia non sono mai stati diversi dai suoi personali.
Certo, non devono essere notti
tranquille quelle che il Cavaliere trascorre, oppresso com’è dall’idea del sole
a scacchi e la promessa fattagli da Beppe Grillo che, non appena insediata la
giunta per le elezioni del senato, chiederà che venga messa ai voti la sua
decadenza per palese ineleggibilità. E anche questa è una bella gatta da pelare
per Bersani e i suoi: come farebbe mai a tirarsi indietro da un voto a favore
dell’ineleggibilità del Cavaliere senza perdere la faccia con l’elettorato,
dopo aver promesso mille volte in campagna elettorale che, un suo eventuale
governo, avrebbe immediatamente irrigidito le norme sull’incandidabilità ed il
conflitto d’interessi?
In questa trepidante attesa il
Cavaliere da una parte blandisce con un collaborazionismo sospetto e dall’altra
minaccia sfaceli se al suo partito non verrà riconosciuta la possibilità
d’indicare il presidente della repubblica: un’aspettativa bizzarra per un
personaggio che non ha esitato a trattare come insulsi zerbini le opposizioni
quando la maggioranza è stata dalla sua parte. Ma è cosa ormai ben nota che il
Cavaliere si ciba quotidianamente di veleno, rancore e insalate di minacce,
anche se ogni tanto a qualche sprovveduto è in grado di confondere le idee
ostentando un sorriso benevolo, sotto al quale malcela un odio arrogante e
irriducibile.
Proprio per dimostrare quanto
poco gli importi il destino dell’Italia al di là delle pompose dichiarazioni
ufficiali e sia piuttosto ossessionato dall’idea di fare la fine di un altro
dei suoi scagnozzi, Marcello Dell’Utri, ha scatenato l’ennesimo scherano, tal Raffaello Vignali, uomo di CL rieletto in Lombardia
nella lista del Popolo delle Libertà e già presidente della Compagnia delle
Opere, che ha presentato l’ennesima
proposta di legge che dovrebbe estendere la tutale dai processi penali ai
parlamentari, non più consentiti senza l’autorizzazione della camera d’appartenenza.
Un passo indietro lungo vent'anni, quando all'indomani di Tangentopoli fu
esclusa la possibilità che un deputato o un senatore venissero salvati sia dai
processi che dalle sentenze in via definitiva.
Come si evince, la ricerca di una
via di fuga è senza tregua al punto da suggerire di giocare su più fronti pur
di trovare una via d’uscita.
A scanso di ogni equivoco e
perché non si strumentalizzi la posizione di chi scrive, che non è affatto un
giacobino assetato di livorosa vendetta nei confronti di Silvio Berlusconi,
sarebbe il caso di chiedersi con serenità se è mai verosimile immaginare
falangi di magistrati variopinti inventarsi assurde trame per far fuori il
prode Cavaliere o, piuttosto, se piuttosto l’ex Unto del Signore non ne abbia
combinate così tante da essere diventato l’ovvio bersaglio di chi è preposto
all’amministrazione della giustizia.
E’ stupefacente come i tanti
elettori del Cavaliere siano talmente ottusi da non porsi domande sulle ragioni
per le quali un uomo del tutto innocente abbia sprecato così tanto tempo,
peraltro a danno del governo delle emergenze del paese, per far emanare leggi che
hanno cancellato il falso in bilancio, provvedimenti che hanno accorciato in
modo preoccupante i termini di prescrizione, lodi svariati per non presentarsi
nei tribunali e così via. Una persona onesta e specchiata, che non ha commesso
nulla d’illecito, che deve le sue fortune non alla compravendita di giudici ma
alla sua capacità imprenditoriale, non ha certo necessità di profondere energie
oltre ogni ragionevole impegno per dimostrare la propria illibatezza. I
tribunali potranno anche sbagliare, ma è statisticamente impossibile che
sbaglino sempre e sistematicamente con
lo stesso soggetto in sedi e procedimenti diversi. Né questa conclusione potrebbe
mai essere eccepita per dimostrare l’esistenza della congiura giudiziaria
reclamata dal Cavaliere, considerato che parecchi degli uomini a lui vicini,
coimputati nei processi che lo hanno riguardato, sono stati condannati solo
perché sprovvisti di quelle armi interdittive delle quali lui ha ampiamente
abusato.
Questa situazione personale del
Cavaliere, assai chiara a Bersani ed a tutte le forze politiche presenti nel
nuovo scenario politico emerso dalle urne, non lascia margini di manovra:
chiunque mostrasse segni di cedimento nei suoi confronti pur di poter
realizzare un governo commetterebbe un errore esiziale, difficilmente
perdonabile dall’elettorato. Ed è questa, allo stesso tempo, la ragione per la
quale non trova alcuna giustificazione plausibile il frontismo di Grillo e del
suo M5S, che con le sue chiusure sta di fatto offrendo solo opportunità
inammissibili al PdL ed al suo inquisito leader.
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