martedì, luglio 02, 2013

I pagliacci che non fanno più ridere



Breve bilancio del governo Letta, tra veti incrociati e tanti rinvii - Ma non era il governo del fare? - In cantiere misure che sembrano voler colpire i soli noti - A che punto è la nuova legge elettorale? - Come al solito sembra mancare il coraggio e la fantasia

Martedì, 2 luglio 2013
Sono pochi coloro che hanno dubbi sulla disperazione profonda che affligge come un cancro chi ci governa. Gente incapace di fantasia e, soprattutto, di coraggio, che s'inventa ogni giorno un cervellotico provvedimento per tentare di far quadrare i conti con interventi sempre su gli stessi soggetti e, quel che è peggio, sulle stesse voci di prelievo.
Si passa così dai carburanti, con ritocchi alle accise, ai tabacchi, con limature alle imposte di fabbricazione, alle tasse locali, all'energia elettrica e così via, con l'intento di far cassa a spese dei consumatori, colpiti alla cieca non solo dai rincari specifici ma anche dall'effetto indotto: si pensi al trascinamento sul prezzo dei trasporti e delle merci determinato dal rincaro dei carburanti.
Questa assurda mancanza di fantasia evidenzia sintomi ancora più gravi quando dall'imposizione indiretta si passa a quella diretta, a quella tassazione sui redditi che ha costantemente nel mirino coloro che già rappresentano l'80% dei contribuenti delle finanze pubbliche, grazie al prelievo forzoso su retribuzioni e pensioni. Quando si stringe ulteriormente la morsa su queste voci di introito fiscale si sa d'andare a colpo sicuro: non c'è pensionato o lavoratore dipendente che possa sfuggire alle manovre sulla pressione fiscale, usufruendo di un reddito, ancorché magro, certificato dall'ente previdenziale erogatore o dal datore di lavoro, su cui incombe l'onere di effettuare la trattenuta e di versarne l'importo allo stato.
Sull'altro versante, l'assenza di coraggio è più che palese. La viltà storica dei nostri governi, vittime delle potentissime lobby capitalistiche e finanziarie, non ha mai consentito di assumere quei provvedimenti reclamati a gran voce dalla stragrande maggioranza della gente, quella che soffre e paga sulla propria pelle ogni movimento nell'equilibrio dei conti pubblici. Quella gente sulla quale ricade anche l'onere dell'iniquità contributiva e del mancato gettito conseguente l'evasione. A niente servono gli scoop periodici degli istituti di statistica o dell'agenzia delle entrate che dimostrano come professionisti, commercianti, imprenditori e quanti appartenenti alle cosiddette categorie di lavoratori autonomi evadano massicciamente gli obblighi fiscali rispetto ai loro dipendenti. Queste evidenze drammatiche sono oramai solo dati di colore, la fotografia squallida di un Paese incapace di giustizia e rassegnato a subire mostruose storture per sopravvivere, in cui governanti ignavi, pur di assicurarsi la continuità della poltrona, sono disposti a qualunque scempio dell'equità e a qualunque cedimento nei confronti del potere economico: a questa regola non scritta, ma ampiamente osservata nella prassi, non sfugge alcun governo, qualunque sia la sua estrazione politica.
Trovare conferme di queste prassi non è difficile. Basta osservare quanto di recente ha messo in campo l'esecutivo Monti, quello dei professori, con la riforma delle pensioni e del mercato del lavoro di Elsa Fornero, - che passerà alla storia come uno dei peggiori  ministri della storia della Repubblica. Provvedimenti come l'innalzamento dell'età pensionabile di ben 7 anni nel corso di una notte, mentre il Paese pullulava di disoccupati e di esodati sull'orlo del suicidio per mancanza di qualunque alternativa per tirare a campare, è stato un vero e proprio crimine contro l'umanità. E pensare di risolvere i gravi problemi di pubblico bilancio per raggranellare qualche spicciolo speculando sui pensionati, a cui è stata bloccata la perequazione automatica, è stata un'operazione ai confini della volgarità, un'operazione che, se fosse stata compiuta in un paese dove la democrazia ha ancora un senso e le forze politiche presenti in parlamento non fossero costituite da orde di delinquenti impuniti dediti a curare solo i loro interessi, non avrebbe dovuto essere messa neanche in discussione per palese violazione di quei principi d'eguaglianza e di equa capacità contributiva sanciti dalla Carta costituzionale.
Né si possono dimenticare le cialtronerie ostentate per scienza accademica a proposito dello Statuto dei lavoratori, le cui norme sulla non licenziabilità, secondo il saccente di turno, avrebbero costituito un ostacolo al flusso d'investimenti consono alla creazione di nuova occupazione, fingendo d'ignorare che il vero problema per un corretto funzionamento del processo economico non è la stabilità d'impiego quanto la certezza di poter portare a casa in tempi certi il controvalore di una vendita o di una fornitura di servizio, senza dover subire i tempi biblici di un ricorso ad un tribunale, che condanni l'insolvente a procedere al pagamento di quanto dovuto.
Migliore sorte non ha avuto il pacchetto di provvedimenti per la riforma del mercato del lavoro e il rilancio dell'occupazione: pensare di creare nuova occupazione manovrando la tempistica della contrattualistica di precariato s'è rivelato un palliativo semplicemente idiota, un'iniziativa da sprovveduti, incapaci di comprendere che l'azione delittuosa non sta nei meccanismi del precariato, quanto nel precariato in sé e nell'assenza di misure tangibili atte ad alleviare gli insostenibili costi d'impresa per singolo dipendente, sia esso a termine che a tempo indeterminato.
In buona sostanza, alla fine abbiamo assistito solo ad una sceneggiata macabra, nella quale una compagnia di pagliacci bolsi, ancorché protervi e pieni di sé, in contrapposizione logica con le finalità imposte dal ruolo, non è riuscita a strappare uno straccio di sorriso, ma lacrime amare.
E sulla stessa strada sembra avviato anche il governo Letta, con i suoi tentennamenti e le sue incertezze; con i suoi continui rimandare ad un improbabile autunno le reclamate urgenze su misure per l'occupazione, revisione dei criteri pensionistici, modifica dei meccanismi IMU e TARES, adeguamento delle aliquote IVA, rimodulazione della pressione fiscale sui redditi, varo di un'imposizione straordinaria a carico dei grandi patrimoni, pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese e, cosa di rilevantissima importanza, una legge elettorale degna di questo nome.
Certo ci si rende conto che un esecutivo frutto di un immondo accordo con chi ha contribuito a condurre l'Italia in questo stato di cose non renda il percorso agevole di Letta o di chiunque fosse al suo posto, ma è altrettanto vero che nessuno ha obbligato né lui né la sua parte politica ad una soluzione come quella nella quale ha ritenuto d'imbarcarsi, sebbene il diffuso dissenso dell'elettorato del PD. Ciò in ogni caso non può costituire un alibi assolutorio, ed è anche ora di dire basta a questa melensa tiritera sul senso di responsabilità verso il Paese che motiva tante aberranti scelte, poiché non è più possibile sguazzare nella palude delle incertezze a causa di veti incrociati tendenti esclusivamente a perpetuare l'immobilismo o al più, quando l'acqua giunge pericolosamente alla bocca, a spacciare per necessari provvedimenti vessatori per i soliti cristi, mentre, chi ha sempre goduto, continua a sollazzarsi in piena impunità.
 

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