mercoledì, marzo 26, 2014

La rivolta dei dirigenti d'oro



Renzi annuncia il taglio delle retribuzioni dei manager pubblici ed è subito rivolta - Un manipolo di uomini ben pagati quanto di solito incapaci minaccia di lasciare l'Italia - Molti non se ne accorgeranno

Mercoledì, 26 marzo 2014
In quest'Italia sempre più balorda e a corto d'idee adesso è scoppiata anche la guerra degli stipendi dei dirigenti pubblici, dopo le sortite di Matteo Renzi a proposito degli interventi previsti anche in tema di retribuzioni nel settore pubblico.
Il primo ad aprire le ostilità, scoprendo la propria posizione, è stato Mauro Moretti, amministratore delle FF.SS., che male ha digerito l'ipotesi di un taglio sostanzioso al suo miliardario stipendio di boiardo di stato e che ha minacciato, facendosi interprete del pensiero di tanti suoi colleghi rimasti abbottonati, di lasciare l'Italia  per assumere incarichi all'estero.
Che il signor Moretti abbia così platealmente reagito ai tagli anticipati da Renzi si può anche comprendere, ma non certamente giustificare, non fosse perché è da anni alla guida di un'azienda pubblica parzialmente risanata, ma emblema di inefficienze endemiche sia nell'organizzazione del servizio ferroviario che nella gestione della rete. Ma quel che più rende debole le pretese del'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato è l'occupazione dal 2006 di una posizione di vertice in un'azienda di stato priva di qualunque termine di paragone concorrenziale in grado di giustificare gli oltre 850 mila euro di appannaggio annuo che gli sono erogati attingendo alle finanze pubbliche, il che porta a concludere che se il signor Moretti ritiene di possedere queste miracolose qualità manageriali ha già perso tempo a sgombrare la comoda poltrona che occupa e trovarsene un'altra in qualche munifico paese estero in cui poter dimostrare quanto effettivamente vale.
Il signor Moretti, d'altra parte, nel fare le sue indignate affermazioni dimentica di precisare che le qualità di un manager si misurano in relazione alle sfide che il mercato impone alle imprese presenti, in termini di prodotto, servizio, prezzo, redditività e via discorrendo, elementi del tutto ininfluenti, almeno nella nostra realtà, quando si parla di imprese pubbliche operanti peraltro anche in regime di monopolio. E poiché il mezzo di trasporto ferroviario è fruito da un'elevatissima quantità di cittadini, il sospetto che Moretti non legga i giornali o non ascolti i notiziari, che parlano costantemente di disservizi, o di tratte dimenticate dagli uomini oltre che da Dio o di sudiciume delle carrozze per il trasporto passeggeri non gli deve esser noto.
Ma la questione retribuzioni oltre ogni terrena logica di cui beneficiano i nostri valenti manager pubblici non riguarda solo l'AD di Ferrovie dello Stato. C'è in giro un campionario sconvolgente di superpagati che va da Massimo Sarmi, plenipotenziario di Poste Italiane, a Flavio Cattaneo, AD di Terna e compagno di merenda di quel Luigi Roth, presidente della società in questione, con il quale aveva già diviso un fortunato percorso in Fiera di Milano; da Paolo Scaroni, AD di Eni e ex tangentista per conto della Techint della famiglia Rocca, a Vito Riggio, presidente di Enac e con un'agenda infarcita di nomi d'amicizie discutibili che vanno da Lunardi ad Anemone.
Questa è tutta gente che ha sostanzialmente vissuto esperienze manageriali nell'orbita del pubblico e che difficilmente è stata valutata sulla base dei risultati che ha conseguito. Sovente il loro successo è stato dovuto alla capacità dimostrata di tutelare gli interessi degli sponsor politici, che non hanno effettivamente realizzato nei rispettivi posti di comando. D'altra parte nella cultura nostrana le aziende pubbliche non sono mai state considerate organizzazioni gestionali tese a realizzare profittabilità e l'interesse collettivo, quanto veri e propri feudi dei potenti per la gestione di voti o canalizzazioni di appalti o parcheggi più o meno duratura nei quali collocare politici trombati, amici, parenti ed altra umanità molto spesso persino incapace di amministrare il proprio bilancio familiare.
Dal dopoguerra ad oggi di esempi ne abbiamo collezionato a migliaia e i disastri prodotti qui e là da un management spregiudicato e incapace sono nella memoria comune: dall'Alitalia alla Telecom, dall'Italtel alla Finmare, dalla RAI e all'intero gruppo IRI, dal quale spiccò il volo il democristiano Romano Prodi per iniziare una brillante carriera politica.
Di questo disastro clientelare, di cui è affetta la nostra grottesca democrazia, non si salva nessuno. Neppure il sindacato, divenuto nel tempo un sorta di ufficio di collocamento in politica o nelle pubbliche istituzioni per i suoi leader: parecchi dei mali dell'INPS sono la causa delle allegre gestioni di sindacalisti passati ai suoi vertici e nei consigli d'amministrazione.
C'è purtroppo chi, in sospetta malafede, ha giustificato queste operazioni di collocazione di inetti vassalli in posti di grande responsabilità come una sorta di spoil system, cioè come il giustificato bisogno la classe politica dirigente in un dato momento storico di circondarsi di uomini di fiducia da collocare nei posti chiavi dell'amministrazione pubblica, così da poter avere un supporto alla loro azione legislativa. Nel fare questa considerazione, figlia della cultura democratica americana, si è probabilmente sottovalutato che il nostro è un Paese profondamente diverso non solo nella cultura, ma anche nei valori e, dunque, lo strumento più che un ausilio all'amministrazione quotidiana della cosa pubblica secondi canoni di buon governo è divenuto un potentissimo meccanismo clientelare , attraverso il quale distribuire incarichi e prebende. Ne è dimostrazione la diffusa incompetenza specifica dei tanti che occupano posizioni di comando sebbene privi delle conoscenze elementari per gestire il proprio ufficio.
Tornando al nostro Moretti, allora, non ci pare ci siano molte considerazioni da aggiungere: vada pure se in dissenso con le scelte del suo datore di lavoro, ma ci permetta di affrontare il nuovo viaggio in treno, chissà che non arrossisca magari tardivamente.


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