La democrazia dell'imbroglio
E' guerra senza quartiere sulle
preferenze - Da destra e sinistra emergono le quinte colonne di un sistema
truffaldino che per anni ha condizionato le scelte dei candidati - Tesi
bizzarre vorrebbero i cittadini incapaci di scegliere candidati onesti e
competenti, mentre i veri delinquenti sono stati cooptati nelle segreterie di
partito
Sabato, 25 gennaio 2014
La battaglia per la stesura della
nuova legge elettorale si fa sempre più dura ed il nodo centrale si palesa nel
meccanismo di individuazione dei candidati da proporre agli elettori quali loro
rappresentanti in seno al Parlamento.
La battaglia, già costata la
poltrona al neo eletto presidente del PD Gianni Cuperlo, era già stata
ampiamente prevista, e non già per lungimiranza, quanto perché si era tenuto
conto della forte spinta del corpo elettorale, - stomacato dall'esperienza di
quel Porcellum, con il quale ha avuto accesso alla Camera e in Senato un
bestiario inqualificabile imposto dai capi partito, - che ha rivendicato a gran
voce il ripristino del diritto di esprimere la preferenza sulla scheda
elettorale.
Ma la questione è di grande
importanza anche perché nello scontro tra favorevoli e contrari stanno venendo
alla luce posizioni a favore del sistema delle liste preconfezionate che mai si
sarebbero immaginate, a dimostrazione che l'arroganza, la protervia, la
concezione autoritaria della democrazia non è affatto manichea, ma ha cultori
della materia imboscati anche in quei partiti che si fregiano d'esser portatori
di un'essenza di democrazia antica. Questi partiti, che si vantano d'essere al
servizio dei cittadini, ma che in realtà non riescono ad immaginare se non un
popolo asservito al sacro potere di un'élite in cui risiederebbe la conoscenza
suprema, la giustizia più giusta, un senso dello stato sconosciuto alla massa e
da questa impenetrabile.
Potrà anche apparire esagerato
nel terzo millennio, ma nella sostanza ci troviamo di fronte a quella concezione
della politica che ha generato le più allucinanti aberrazioni nell'URSS di
inizio '900, nella Cina di Mao e nelle aree più miserabili del mondo, dove è
prevalso un comunismo spietato ed elitario, mascherato da governo del
proletariato, cioè della componente maggioritaria del popolo.
Spicca in questo zibaldone degli
orrori quanto dichiarato da personaggi come quel Dario Franceschini, ministro
per i Rapporti con il Parlamento, che da sempre brilla per una concezione della
democrazia "centralizzata" di stantia fattura, una democrazia nella
quale il cittadino è sostanzialmente chiamato a suggellare scelte effettuate da
chi s'è impossessato della delega rappresentativa e non intende più mollarla.
«Vedo che le preferenze sono diventate improvvisamente popolarissime,
- ha sottolineato il democratico Franceschini, parlando con i cronisti alla Camera - ma io, che ho iniziato a prenderle, e molte,
a vent’anni, sento il dovere morale di dire che oggi sarebbe un errore enorme
reintrodurle. Farebbero quasi certamente saltare l’intesa raggiunta» con il
pregiudicato Berlusconi, - aggiungiamo noi, - ma anche «per i danni al sistema politico e alla sua trasparenza» (sic!).
E le demenzialità del ministro
non si fermano a queste perle senza senso, perché, a suo incredibile parere, la
reintroduzione delle preferenze «farebbe
aumentare a dismisura i costi delle campagne elettorali dei singoli candidati,
con tutti i rischi connessi, e non sempre porterebbe in Parlamento i migliori. Comunque
lo priverebbero (il Parlamento, ndr) della
presenza di competenze e professionalità indispensabili. Io, da capogruppo, ho
conosciuto deputati indispensabili per competenze e lavoro che non
riuscirebbero mai ad essere eletti».
Non c'è che dire. Una concezione
della democrazia a dir poco aberrante, in cui un popolo di cialtroni o di
potenziali delinquenti e corrotti è, per ragioni evidenti, incapace d'esprimere
un voto attendibile; un voto che finisce per premiare quanto la grigia
nomenklatura di palazzo ha giudicato a suo insindacabile giudizio chi è stato
giudicato adeguato ad assumere il ruolo di rappresentante del popolo. Un
pensiero assai bizzarro, che la dice lunga sull'irrimediabile stato di
farneticazione che ha ormai infettato la materia grigia - se mai ne rimasta
traccia - dei nostri attuali governanti.
Naturalmente l'illuminato
ministro non si lascia minimamente sfiorare dall'idea che chi lo sente
proferire vere e proprie bestemmie è in grado di opporgli evidenze incontrovertibili:
Dell'Utri, Scilipoti, Razzi, De Gregorio, Minetti e quant'altri abbia offeso
con la propria presenza il tempio della democrazia del Paese è frutto di quei
criteri di imposizione di candidature e, pertanto, meglio un ladro o un fesso
scelto a furor di popolo che non un poco di buono o una nullità imposto solo perché
servo fedele.
A queste balzane idee di stato e
di partecipazione popolare alla democrazia, quasi a delineare il paradosso in
cui ormai ci si dibatte, fa eco uno dei più significativi ideologi della destra
storica nazionale, quel Marcello Veneziani, da cui tutto ci si potrebbe
attendere che una difesa lucida del sistema delle preferenze e della democrazia
vera.
Scrive, infatti, oggi Veneziani
sulle colonne de il Giornale: «Scusate,
ma qui siamo alla follia: se non possiamo permettere ai cittadini di scegliere
i propri rappresentanti, come prevede la Costituzione, perché con le preferenze
vincono le mafie e le clientele, allora a che serve la democrazia, cioè la
sovranità popolare? Se neghiamo l'esercizio del voto nel nome della sua
degenerazione, - continua Veneziani, - se
la libera scelta del cittadino sovrano si presume viziata dalla compravendita
del voto, a che pro votare? A che serve un Parlamento di mille replicanti
quando basterebbero i venti che decidono le liste? Non sostengo affatto chi
scopre ora le preferenze per meschine ragioni di bottega. So bene che gente è
venuta fuori con le preferenze: nel complesso non migliore, ma neanche peggiore,
in media, dei parlamentari nominati. Ma una democrazia che rinuncia a se stessa
per paura della malavita e della malapolitica ha cessato d'esistere».
Considerazioni dettate da una
logica talmente elementare che sarebbe impossibile non condividere. «Più si va avanti e più mi convinco che la
libertà è un bene insostituibile, ma il suffragio universale è un solenne
raggiro e la democrazia una finzione oscena, che non diventa dispotismo perché
i veti incrociati ne assicurano l'impotenza, oltre che l'inefficacia»,
conclude con evidente amarezza Veneziani, sebbene questa amarezza non possa
costituire il movente per deporre le armi e rinunciare a vincere una battaglia in cui la democrazia ed
i suoi meccanismi sono una posta irrinunciabile.
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