martedì, marzo 18, 2014

Renzi e la politica degli annunci


Nuovi provvedimenti per il lavoro e nuove regole per il precariato - Il presidente del Consiglio lancia la sua campagna d'immagine - Nel frattempo ha sdoganato Berlusconi e vara una legge elettorale ridicola - Dal ventennio delle illusioni alla politica della fantasia




Martedì, 18 marzo 2014
Che chi scrive non nutra grande simpatia e stima per Matteo Renzo è fuori discussione, sebbene questi non sia un siano sentimenti apodittici, frutto di sensazioni epidermiche del tutto immotivate. In verità dell'uomo non apprezziamo la spocchia al confine della sbruffoneria, mascherata dal piglio del secchione con le idee molto chiare e una volontà di ferro.
Renzi è un furbetto pieno di risorse, immagine del nostro tempo, cinico e affabile contemporaneamente, che assomma in sé  l'entusiasmo del fare e, nello stesso tempo, l'iperbole degli obiettivi, di cui sovente sottovaluta la complessità  di realizzazione. Questo menu caratteriale lo ha ben messo in evidenza nel corso della sua rapida ascesa al potere, prima alla segreteria del PD e dopo, con rapidità sconcertante, al governo del Paese, percorso durante il quale non ha esitato a far fuori senza troppi complimenti quell'Enrico Letta al quale a ventiquattro ore dal ribaltone ordito dalla sua segreteria aveva inviato melliflui e rassicuranti messaggi di fiducia.
Non parliamo poi dell'inaudita intesa sulla legge elettorale raggiunta con Silvio Berlusconi, intesa con la quale il condannato di Arcore è sembrato poter uscire dall'angolo in cui l'aveva costretto la sentenza di condanna per evasione fiscale, prima, e l'espulsione per indegnità dal Senato, poi. 
Dunque, credere di poter stabilire un nuovo ordine in virtù del cinismo con il quale si approcciano i cancrenosi problemi della politica e di un Italia in balia di una crisi economica, finanziaria e  soprattutto sociale, ci sembra una modalità velleitaria, che nel medio termine non potrà che manifestare le profonde contraddizioni dell'uomo Renzi e gli errori in cui è incappato.
E le contraddizioni si sono manifestate immediatamente, a cominciare dalla discutibile legge elettorale che ha imposto al suo partito, una legge che ignora il ritorno all'espressione delle preferenze; che ignora l'annoso problema della subalternità femminile in politica; che contiene norme compromissorie tese a garantire l'accesso in parlamento di partiti in evidente declino di consenso, come la Lega Nord; che consente di perpetuare gli ignobili giochini delle candidature multiple per favorire l'eleggibilità di personaggi impresentabili; che si applicherà per le elezioni alla Camera e non al Senato. Su tale legge, approvata tra polemiche e forti frizioni anche all'interno del PD, non può escludersi affatto uno scontro dagli esiti incerti allorché subirà l'esame del Senato per la definitiva trasfomazione in legge dello stato.
Ma se la questione legge elettorale interferisce principalmente nella più ampia problematica della tenuta degli equilibri politici e non è stata di certo vissuta come una priorità della gente comune, molto più interessata  dai problemi della scarsità di lavoro e dell'insufficienza del reddito, diversamente deve rilevarsi a proposito delle recenti misura per l'occupazione varate in questi ultimi giorni.
Il mitico jobs act, atteso oramai come un evento straordinario, s'è rivelato un provvedimento ai limiti del buon senso, che nulla risolve in via immediata nella tristissima questione della disoccupazione giovanile. Anzi, per certi versi e com'è stato osservato, i flebili elementi di psudostabilità introdotti dall'aborrita Fornero sono scomparsi per lasciare posto ad una recrudescenza selvaggia del precariato: contratti temporanei per un triennio, rinnovabili qualora stipulati per periodi inferiori, senza obbligo di apposizione di motivazione e senza alcuna garanzia di stabilità alla fine del periodo massimo di durata. Il tutto condito dall'assenza assoluta di obbligo di retribuzione minima e dall'innalzamento della percentuale ammessa di contratti di precariato rispetto alla forza lavoro impiegata nella singola azienda a tempo indeterminato.
Se questo può chiamarsi provvedimento innovativo a favore dell'occupazione, allora ci dev'essere qualcosa che ci sfugge. Non crediamo ci sia alcun illuso in grado di attendersi che a un "sano" e continuato sfruttamento legalizzato possa seguire un'assunzione a tempo indeterminato, salvo qualche eccezione.
Né meno stupore provoca il provvedimento con il quale si è deliberato l'incremento di ben 80 euro mensili dello stipendio di quanti percepiscono un salario complessivo annuo inferiore ai 25 mila euro. E lo stupore non deriva certo dall'inattesa magnanimità del governo, quanto dall'effetto annuncio che s'è inteso conseguire con il provvedimento medesimo, non essendo stato definito il criterio con il quale tale cospicuo aumento sarà erogato: se con aumento netto a carico delle aziende, che a loro volta detrarranno l'ammontare dalle trattenute fiscali da riversare all'erario, o con una detrazione dal reddito del singolo lavoratore.
Premesso che non è chiaro comprendere la ragione per la quale non si sia preferito rimodulare gli scaglioni fiscali per ottenere lo stesso risultato, salvo non voler deliberatamente penalizzare i ricchissimi pensionati da 500/1000 euro mensili - che nulla avranno in effetti, - sarà interessante verificare dove lo stato attingerà le coperture, assunto che gli impegni demagogici hanno riguardato anche il pagamento dei debiti arretrati della pubblica amministrazione, il cui ammontare non è affatto certo.
Stupisce in questo quadro il plauso che sino ad ora è stato riservato a Renzi ed alla sua falange di giovani leoni e, con sincera onestà, ci auguriamo di sbagliarci nell'evidenziare i dubbi sulla sua credibilità sin qui espressi. D'altra parte chi si potrebbe dimenticare in pochi giorni e con la stessa politica degli annunci che per un ventennio abbiamo dovuto subire la presenza del grande illusionista di Arcore?

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