La palude del governo Letta
Lo scontro sotterraneo tra Letta
e Renzi - L'immobilismo del governo, incapace di lanciare un programma che
guardi alla ripresa ed al lavoro - Sembra che il tempo della politica si sia
fermato al 2012, dopo l'inizio dei veti incrociati alle iniziative di Monti -
Intanto il malessere aumenta
Martedì, 11 febbraio
2014
Per chi avesse espresso profondi
giudizi negativi sull'ultimo esecutivo Berlusconi e, successivamente, sul
quello Monti, le cose non sembra siano cambiate con il nuovo governo Letta.
La palude in cui le tre
esperienze stanno sguazzando è sempre la stessa. Sono cambiati solo i
protagonisti di questo scenario dell'immobilismo, sebbene le motivazioni siano
profondamente diverse.
Il governo Berlusconi fu infatti
immobilizzato dall'incapacità di assumere decisioni coerenti con i diktat
provenienti dall'Europa, che qualora assunte avrebbero stravolto non solo
l'impianto dell'esecutivo berlusconiano, ma anche l'immagine di un leader che,
nonostante gli evidenti disastri economici del Paese, continuava a predicare
impossibili Eldorado: gli scontri tra il premier e il suo ministro
dell'economia Tremonti furono lo specchio di una battaglia senza possibili
vincitori tra uno schieramento recalcitrante al rigore e un'ala incline a
varare intiepidite misure di correzione con oneri da condividere in parte con
il resto dell'Unione.
Il governo Monti, nato sulle
macerie di uno scontro senza vincitori e vinti, sembrò la fine dello stallo,
grazie al decisionismo con il quale aggredì alcuni capitoli d'impopolare
riforma, che tutti avrebbero voluto realizzare, ma che nessuno aveva voluto
osare sotto la spinta di un dissenso popolare diffuso che avrebbe certamente
compromesso il rispettivo consenso elettorale. Non a caso riforme indigeribili
come quella delle pensioni o la reintroduzione dell'IMU furono varate con il
consenso di PD e PdL, sostenitori dell'esecutivo Monti, ostentando finti
mugugni e prese di distanza. Quando Monti, preso da sacro furore e
ringalluzzito dal facile successo degli esordienti, provò ad accelerare, nella convinzione di
poter mettere a segno l'ulteriore stangata, fu il PdL che dovette venire allo
scoperto e costringerlo con il ritiro dell'appoggio a gettare la spugna.
In virtù di quei tentennamenti
del centrodestra e delle decelerazioni imposte dal PD il consuntivo dell'era
Monti è rimasto assai modesto. Anzi le incompiute e parecchi de progetti varati
hanno generato turbolenze non ancora rientrate, di cui le misure per la riforma
del mercato del lavoro sono un palese esempio.
Il risultato delle elezioni dello
scorso anno non ha prodotto elementi di chiarezza nello scenario politico,
causa la netta separazione del corpo elettorale in tre tronconi di peso
pressoché equivalente, che, grazie ad una scellerata legge elettorale, ha di
fatto sancito un'ingovernabilità assoluta per ciascuno degli schieramenti ed ha
costretto all'ennesimo accordo tra forze del tutto incompatibile fra di loro,
perciò già nelle premesse incapaci di garantire quel processo riformista
essenziale per lo sviluppo economico e la ripresa del Paese.
Il governo di Enrico Letta nasce,
dunque, con tutte le premesse per il piccolo cabotaggio, essendo incapace di
garantire operazioni riformatrici di grande respiro per la composizione fragile
della sua maggioranza, frutto tra l'altro della scissione avvenuta all'interno
del PdL e del ritorno a FI voluto da Silvio Berlusconi.
Ma a complicare le cose vi è
stato il passaggio di consegne nella segreteria del PD, dove Guglielmo Epifani,
nominato pro tempore dopo le dimissioni di Pier Luigi Bersani, ha ceduto
l'incarico a Matteo Renzi, vincitore delle primarie indette proprio per la
scelta del nuovo segretario del più grande partito ex operaista d'occidente.
La nomina di Renzi alla guida del
PD si è rivelata dirompente e foriera di un processo di cambiamento per la
sinistra dagli esiti imprevedibili. E già i primi segnali di questa rivoluzione
si sono manifestati: una nuova segreteria, fatta di giovani, sconosciuti: una
presidenza affidata ad uno degli sfidanti, Gianni Cuperlo, durato lo spazio di
un mattino; una rivalutazione del condannato Silvio Berlusconi, promosso ad
interlocutore privilegiato dell'esaminanda nuova legge elettorale; la
costituzione informale di un'area menscevica all'interno del PD, foriera di una
scissione più volte ventilata e costantemente in fieri; attacchi costanti alla
presidenza del consiglio, per l'immobilismo in cui sonnecchia; voci alternanti
e smentite ricorrenti di un siluramento del premier e della nascita di un
esecutivo alla sua guida.
La situazione è tale da non
consentire di propendere all'ottimismo, non fosse per la mossa criticata da più
parti di rimettere in gioco Silvio Berlusconi, che sembrava avviato
sull'inesorabile viale del tramonto dopo la condanna subita e i prossimi
provvedimenti restrittivi cui sarà sottoposto in ragione di quella condanna, e
per la costante assenza di linee d'indirizzo chiare al governo medesimo,
prerogativa da sempre riconosciuta al segretario del partito del premier di
turno. Lo stesso schermirsi da ogni ventilata ipotesi di assumere la guida
dell'esecutivo al posto di Letta suona per tanti non come professione d'umiltà
o di rispetto verso il compagno di partito, quanto come l'escamotage per
esimersi dal dovere adempiere ai molti impegni assunti con i suoi elettori
nella campagna per le primarie, che certamente non gli perdonerebbero mai di
aver replicato l'ex Cavaliere di Arcore con
la propaganda dell'immaginifico.
Così tra scontri, polemiche,
risse in piena regola e contrapposizioni parlamentari ed interne di partito la
vita politica si trascina senza novità apprezzabili per i cittadini, che vedono
giorno dopo giorno peggiorare le loro condizioni di vita mentre i loro
rappresentanti discutono del vuoto o perdono il tempo impegnati in dibattiti
sui massimi sistemi.
La triste verità e che ormai ci
troviamo di fronte ad una politica profondamente incapace, inetta, indolente,
che non osa assumere alcuna iniziativa per il timore di compromettere il futuro
dei suoi guitti. Ecco dunque un governo che tira a campare, convinto che la
bonaccia finirà e che accadrà qualcosa che rimetterà in moto la nave dalla sua
inerzia. Ecco un segretario di partito che non risparmia critiche severe
all'espressione di governo del suo stesso partito e, nello stesso tempo, che
ammicca agli avversari di sempre, ma che rifiuta ogni ipotesi di coinvolgersi
in prima persona forse conscio che a determinarne l'insuccesso sarebbero non
solo l'irrealizzabilità delle promesse ma anche la fronda interna, che giorno
dopo giorno appare sempre più delinearsi: l'esperienza del regicidio perpetrato
ai danni di Prodi ad opera di D'Alema è un precedente che non può non aver
lasciato il segno.
Nel frattempo il Paese va, tra
lamentosi cori di disperazione che nessuno sembra in grado di raccogliere.
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