Le tentazioni autoritarie della sinistra
Matteo Renzi, a qualche mese dal
suo insediamento, mette a nudo le sue caratteristiche - Promesse e proclami, ma
d'arrosto neanche l'ombra - Intanto i 5 Stelle cavalcano la protesta e sognano
l'alternativa
Domenica, 4 maggio
2014
Nella visioni dei nostri
governanti ed in particolare in quella dei diversi leader di governo che si
sono succeduti nell'ultimo ventennio si ha l'impressione vi sia una dominante
comune, siano stati governi e leader di sinistra o di destra. Ci riferiamo alla
tendenza all'autoritarismo che ormai si manifesta sempre più evidente
nell'assunzione delle decisioni che riguardano la gestione della cosa pubblica,
decisioni che giungono non come frutto e sintesi di un dibattito politico
normale nelle sedi istituzionali, ma come vere e proprie imposizioni della compagine di governo ai cittadini e al
parlamento. Sintomo chiaro di questa deriva democratica è il ricorso sempre più
frequente alla decretazione d'urgenza, seguita in sede parlamentare
dall'apposizione della fiducia nella fase di conversione in legge di quei sui
provvedimenti.
Naturalmente nulla consente di
escludere che tale tendenza sia da sempre radicata all'esercizio del potere,
sebbene nell'esperienza precedente l'ingresso in politica di Berlusconi l'atteggiamento
della politica apparisse meno direttivo e più incline al dialogo compromissorio
tra le forze di maggioranza e d'opposizione.
E' evidente, dunque, che come
stile Berlusconi ha fatto scuola ed ha generato una schiera di giovani politici
rampanti, schiera alla quale appartiene Matteo Renzi, che hanno una visione
della politica assai particolare, incentrata sulla convinzione che occorra
mostrare i muscoli e digrignare i denti per far passare la propria linea ed
affermare il proprio punto di vista.
In questa prospettiva non c'è più
molto spazio per la discussione, per la critica, per il confronto o per le
soluzioni di compromesso. E' come se si fosse radicata la convinzione che il
potere non possa essere più messo in discussione, ma trovi esso stesso la sua
legittimazione nel suo esercizio quotidiano.
Che questo approccio al potere
avulso dal confronto sia, per certi versi, un retaggio delle ideologie di
destra è storicamente consolidato, sebbene al tarlo dell'autoritarismo non
siano sfuggiti regimi nati sotto la spinta di movimenti rivoluzionari di
sinistra, trasformatosi in breve in opprimenti dittature abusanti del falso
imprinting proletario.
Tuttavia è assai strano, - sino
al punto da costituire una vera anomalia, se non addirittura una devianza
ideologica, - che questa visione autoritaria e quasi autarchica abbia infettato
in maniera visibilmente grave anche la sinistra, almeno quella moderata e
progressista così distante dalla concezione ideologica del totalitarismo e del centralismo democratico.
In questa anomalia rientra certamente
Matteo Renzi, assurto a leader del Partito democratico dopo una consultazione
popolare tra iscritti e simpatizzanti del PD e, grazie alle preferenze
ottenute, a scalzare Enrico Letta da palazzo Chigi. Infatti, se è
incontestabile che nel referendum tra i democratici l'ex Sindaco di Firenze
abbia conseguito la maggioranza delle preferenze dei votanti, non va certo
sottovalutato che quei votanti hanno rappresentato una percentuale risibile del
corpo elettorale complessivo. Ciò significa che se la sua ascesa a capo del PD
è più che legittima, non può che considerarsi oltremodo dubbia la sua
legittimazione alla guida del governo nazionale, guida per la quale nessuno ha
espresso un voto di preferenza. Ciononostante Matteo Renzi s'è insediato
sbandierando la realizzazione di un programma certamente ambizioso, ma con
connotazioni temerarie oltre ogni aspettativa.
Dalla legge elettorale, ancora
lungi dall'aver trovato una definitiva fisionomia, alla riforma delle
amministrazioni periferiche dello stato, alla rivoluzione dell'assetto
istituzionale, che prevede la cancellazione dell'attuale Senato, al tanto
sbandierato Job's Act, sino al momento s'è assistito a chiacchiere sterili, a
promosse roboanti, a minacce di gettare la spugna in caso d'insuccesso, ma a nulla
di incisivo e tangibile.
Ma pur volendo prescindere da una
valutazione sul senso delle tante promesse proferite dall'ex sindaco
fiorentino, abituati come siamo ad uno stile della politica tutta italiana
fatta da incantatore di serpenti e di venditori di tappeti, ciò che più
sconcerta del metodo del personaggio è l'ostinata reiterazione di voler
realizzare progetti e programmi, corredati da scadenziari spesso puntigliosi, che
sembrano non tener conto né di minoranze di diversa opinione né del dissenso
che si genera tra i suoi alleati e tra i suoi sostenitori esterni, verso i
quali improvvidamente ostenta un ingiustificato quanto ironico disprezzo.
Se non fossimo in un Paese ormai
costantemente in bilico tra la tragedia del fallimento economico e
l'ottimistica volontà di volercela fare, ci sarebbe da concludere che Matteo
Renzi è nei fatti una sorta di gigionesco Scaramacai affetto da manie di
grandezza e da una delirante iperconsiderazione di sé, peraltro incapace di
valutare con il giusto peso le scelte con le quali ha fatto precedere alcune
delle sue iniziative.
Alludiamo agli accordi stipulati
con Silvio Berlusconi in materia di legge elettorale e di riforme
istituzionali, che se è tecnicamente corretto debbano trovare una coincidenza
di interessi di maggioranza ed opposizione, non possono presentarsi come il
frutto di un accordo tra una componente politica al governo e un pregiudicato
imposto come rappresentante dell'opposizione. Analogamente - e per quanto sia
condivisibile la pochezza del sindacato in un Paese allo sfascio - non è
pensabile varare riforme del mercato del lavoro senza un coinvolgimento di
forze comunque rappresentative delle categorie che nell'ambito di quelle
riforme dovranno poi confrontarsi nelle sedi aziendali. Né il recente
provvedimento di incrementare il salario dei lavoratori subordinati di 80 euro
mensili può ritenersi un'inversione di tendenza di annose politiche di
spremitura dei redditi dei dipendenti. Mentre la misura ha veramente il
significato di una mancia propagandistica in vista delle prossime elezioni
europee. Aver escluso da questo provvedimento categorie sociali come quella dei
pensionati, che maggiormente hanno sentito il grave peso della crisi economica,
appare ai più come un'ingiustizia senza precedenti, tesa solo a frammentare
l'area della disperazione in base a biechi calcoli elettoralistici.
Difficile prevedere quale sarà il
futuro di Matteo Renzi e quale sarà la durata del suo governo, ma il processo
di logoramento a cui è sottoposto ed a cui deliberatamente ha scelto di soggiacere
a causa delle sue esuberanze non lasciano prevedere lunghe e gloriose percorrenze.
Con il rischio che il suo fallimento questa volta decreterà il definivo
sdoganamento di quell'M5S velleitario e populista completamente privo di una
visione alternativa di governo. Come dire, via dalla padella per piombare
direttamente nella brace.
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