La lenta agonia dell'Europa
Trionfano in Spagna i movimenti anti austerità e gli euroscettici – La Grecia sempre più vicina al default, minaccia di non pagare i creditori – La Gran Bretagna presto chiamata a pronunciarsi sulla permanenza in Europa – Il disfacimento dell’Unione Europea si fa sempre più prossimo
Martedì, 26 maggio 2015
Italia schiava di Roma recita un passo dell’inno nazionale. Ma a ben considerare oggigiorno la strofa andrebbe cambiata o meglio ammodernata, perché con l’ingresso nell’Europa della moneta comune l’egemonia della Germania è diventata sempre più preponderante, al punto che non sarebbe sacrilego ammettere che l’Italia – e non solo il nostro paese – è nei fatti schiava di Berlino. Per assurdo, ciò che non riuscì alla follia hitleriana, con una guerra che avrebbe dovuto condurre alla realizzazione di uno stato-continente dall’Atlantico agli Urali, sembra ora in fase di realizzazione ad opera di Angela Merkel e a Wolfgang Schäuble, che appaiono sempre più in grado di imporre il loro punto di vista ad un Unione Europea in lento e progressivo disfacimento.
L’egemonia tedesca è nei fatti e non comincia almeno per il nostro paese nel 2011, quando la BCE invia un diktat circostanziato al governo Berlusconi con il quale gli ingiunge di intervenire senza indugio per riequilibrare gli sconquassati conti pubblici. La storia è recente ed è nota: Berlusconi è costretto a lasciare e al suo posto viene nominato il mastino Monti, che al guinzaglio della Merkel e di Schäuble, di Draghi e la compartecipazione del FMI di Christine Lagarde, fa scempio di pensioni e lavoro e riversa tasse e tagli sull’economia del paese al punto da portarlo sull’orlo del collasso sociale.
Non diverse erano state le misure di enorme sacrificio imposte all’Irlanda, al Portogallo, alla Spagna, a Cipro e alla Grecia, quest’ultima ridotta ad una larva incapace di reagire ed ancora in crisi profondissima al punto da non potersi escludere il suo default e l’uscita dall’Euro.
Ma se nella maggioranza dei casi le medicine imposte da Bruxelles e
prodotte in Germania hanno prodotto il risultato di riallineare i conti di
parecchi di questi paesi, con gran sollievo del duo crucco che ha visto allontanarsi
l’ipotesi di doversi accollare debiti e inefficienze non proprie per continuare
a sostenere la baracca, il prezzo del risanamento imposto, il cui termine
austerity non è che un riduttivo eufemismo, ha generato un progressivo
disfacimento della centralità dell’ideale europeo. Anzi, le forze centrifughe
rappresentate da movimenti politici ribelli alle politiche di reale
impoverimento e di ghettizzazione di intere classi sociali, la contrazione
imponente dei consumi e la conseguente caduta verticale della produzione
industriale, l’imponente disoccupazione a tutti i livelli e la scomparsa del
lavoro per le nuove generazioni, il livello pazzesco di tassazione sui redditi
da lavoro e su quelli da quiescenza, il soccorso massiccio di risorse
finanziarie a beneficio dei santuari finanziari
speculativi e l’azzeramento dello stato sociale, hanno determinato l’esplosione
di una rivolta silenziosa che in Italia si chiama M5S, in Spagna è
rappresentata da Podemos e da Ciudadanos e in Grecia si è coagulata sotto l’ala
di Syriza, con i quali i rappresentanti servili della politica imposta da
Bruxelles devono cominciare a pensare di dover fare i conti.
Né va sottovalutato il peso dei movimenti ispirati alla destra
reazionaria e nichilista, La lega di Matteo Salvini in Italia ed il Front
National di Marie Le Pen in Francia, che hanno saputo convogliare lo scontento
crescente e propugnano un ritorno a nazionalismi vecchio stampo, nei quali
vengano riedificate le monete nazionali, le barriere protettive all’invasione
dei prodotti realizzati nei paesi che praticano il dumping sociale, la chiusura
all’immigrazione di massa e politiche di salvaguardia dell’identità nazionale.
In questo progetto questi movimenti sono indirettamente sostenuti da alcuni
paesi oggi nell’Unione, come l’Ungheria, che non brilla certo per metodi
democratici, dalla Polonia, la cui virata nazionalista delle ultime ore lascia
preludere a nuovi problemi nell’ambito comunitario, e alla Gran Bretagna di
Cameron, che, forte di una recente conferma elettorale conquistata sul fil di
lana, ha preannunciato un referendum per l’uscita dall’UE e dar così voce al
crescente dissenso popolare su un’integrazione comunitaria sempre più invisa e
problematica.
Se da un lato non può non riconoscersi alla Germania il diritto di
difendere la propria economia e di dettare regole di equilibrio comune, forte
della propria solidità, è altresì vero che la tutela di questi interessi
legittimi non può passare attraverso la negazione assoluta di un principio di
solidarietà alla base di qualunque sodalizio. Da questo punto di vista è
inconcepibile che il prezzo di politiche sbagliate e persino truffaldine delle
oligarchie di potere che si sono succedute nel tempo sia stato scaricato sulla
testa di undici milioni di Greci incolpevoli, senza lavoro, senza assistenza
sanitaria, costretti al mercato dell’usato persino delle medicine, in poche
parole ridotti in condizioni terzomondiste. Parimenti, non è concepibile che
all’Italia siano state imposte politiche che hanno azzerato il lavoro, che
hanno ridotto al di sotto della soglia di povertà oltre dieci milioni di
cittadini, che hanno distrutto una generazione e per le quali non si intravvede una speranza di
riscatto.
Che l’Unione Europea sia nata sotto una cattiva stella lo si può desumere
dal tasso di cambio imposto alla moneta comune, quel 1836,27 vicino al valore
del Marco, che fece immediatamente profetizzare come paesi quali l’Italia
avrebbero ben presto importato un’inflazione che avrebbe stravolto non solo gli
equilibri del mercato ma il rapporto tra retribuzioni e prezzi dei beni. I
primi, infatti, rimasero fermi e tradotti nel corrispondente controvalore in
euro; i secondi, completamente esenti da qualunque controllo pubblico,
iniziarono un’inarrestabile ascesa, che determinò in breve l’equivalenza delle
vecchie mille lire con un euro: ciò significo un raddoppio dei prezzi a cui non
seguì a compensazione un raddoppio dei salari.
Le conseguenze di questa improvvida scelta sono storia recente e mettono
a nudo la cecità con la quale si è considerato lo squilibrio endemico tra le
economie nazionali. Oggi, sotto il peso della disillusione e dei gravissimi
sacrifici imposti il sogno europeo fatto di opportunità e di crescita vacilla e
inizia a mostrare crepe difficilmente sanabili. D’altra parte pretendere che in
un’economia continentale integrata milioni di cittadini possano accettare una classifica
di serie B e di dover tirare la carretta a beneficio dei più ricchi è del tutto
utopico. Non aver capito l’errore è grave e il perseverarvi obbligherà molto
presto a rivedere i fondamenti di un unione più sulla carta che non nei fatti,
pena il rapido dissolvimento dell’Europa.
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