Pensioni, la consulta smentisce il governo
Parla il
presidente della Corte Costituzionale – Lo sblocco delle indicizzazioni vale
per tutte le pensioni, a prescindere dall’ammontare – Il governo non può
chiedere ai giudici costituzionali sentenze politiche
Lunedì, 25 maggio 2015
Se non fosse
grave, la polemica potrebbe annoverarsi tra le comiche. Sì, perché il duo Renzi-
Padoan, complice dell’esproprio forzoso ai danni dei pensionati, il duo che in
un paese civile dalla democrazia professata e non solamente dichiarata dovrebbe
essere incriminato per alto tradimento, non contento di aver violato le
disposizioni di una sentenza, ha avuto persino la temerarietà di aprire una
polemica con la Corte Costituzionale, colpevole a suo avviso di aver emesso un
dispositivo che non ha tenuto conto dell’onere complessivo che si sarebbe
scaricato sulle finanza pubblica, onere che ha costretto l’accoppiata ad
inventarsi trucchetti da bari professionisti per fregare i pensionati, privarli
del diritto di riscuotere quanto loro rubato e presentare scuse meschine sul
fatto che l’imbroglio era stato opera d’altri.
Una
esemplare lezione di rispetto delle regole e di correttezza verso il paese la
loro, come dei maldestri ricettatori, che scoperti si schermiscono asserendo
che il furto l’ha commesso qualcun altro e che avendo speso tutto il ricavato
dalla rivendita del grisbi non sono in grado che di restituire le briciole.
Ma la farsa
criminale non finisce qui. Ci pensa Piercarlo Padoan, ministro dell’Economia, che
manifesta indignazione verso una sentenza del supremo organo costituzionale di
tutela dei diritti e di corrispondenza delle leggi alla Carta, che a suo avviso
nel suo giudizio non avrebbe tenuto conto dell’impatto che la sentenza avrebbe
avuto sull’economia del paese e la tenuta delle finanze pubbliche. E che il
poveretto abbia dato di matto è fuori discussione, visto che chiedere alla Consulta di abdicare al proprio
ruolo di tutore della conformità delle leggi ai dettami costituzionali ed
emanare non più sentenze tecniche ma politiche è del tutto aberrante. Non ha
valutato il confuso ministro che le sue parole qualora divenissero l’elemento d’ispirazione
della Corte configurerebbero a carico di quell’organo costituzionale il reato
di abuso d’ufficio, dato che non spetta a quei giudici manipolare l’illegittimità
di una norma a favore di un interesse d’equilibrio dei conti pubblici. In altri
termini l’equilibrio del sistema economico e finanziario del paese spetta al
governo ed ai suoi atti politici, mentre la Corte Costituzionale ha il solo
dovere di accertare che le misure legislative attraverso le quali si realizza
quell’equilibrio non siano lesive dei principi costituzionali.
D’altra
parte Alessandro Criscuolo, presidente della Corte, ha tenuto a precisare: «Consulta ineccepibile
sulle pensioni: non poteva attendere dati che erano di parte e che a tuttora mi
sembrano incerti».
Il sospetto è
che le critiche di Padoan e la decisione
di Renzi di applicare la sentenza con criteri del tutto arbitrari fanno
emergere il desiderio inconfessabile che vorrebbe una Corte Costituzionale asservita
agli interessi dell’esecutivo, quasi una camera di ridondanza in cui
legittimare qualunque scempio dei diritti in nome della governabilità. E’ prova
di questo recondito desiderio l’applicazione che della sentenza di sblocco dell’indicizzazione
è stata decisa, decisone che ha escluso non solo del rimborso totale del
maltolto alla generalità dei pensionati, ma che ha anche imposta la limitazione
del rimborso sotto forma di una tantum
agli assegni sino a 3.000 euro. Su questo punto Criscuolo è stato assolutamente
chiaro: «Il principio dovrebbe valere per tutte le pensioni, ma specialmente per
quelle più basse», degradando così l’iniziativa
dell’esecutivo al libello della boutade e spalancando le porte a migliaia di
ricorsi che si abbatteranno sull’iniqua decisione. Naturalmente i ricorsi finiranno
per ingolfare ulteriormente la giustizia e di fatto saranno serviti solo a rimandare
nel tempo la resa dei conti.
La questione
è dunque grave, non è tanto per la querelle
inopportuna, quanto per la sciente volontà di aggirare un dispositivo che non
lasciava alcun margine di discrezionalità. Di questo, se non fossimo al
cospetto di una democrazia corrotta e pavida, gli artefici sarebbero stati
chiamati a rispondere, poiché non è affatto concepibile che un qualunque organo
costituzionale dello stato si arroghi il diritto di contravvenire ad un’ingiunzione
della Consulta. Nel suo piccolo l’atto di disobbedienza di Renzi, ancorché
giustificato con riferimento all’articolo 81 della Costituzione, che ha recepito
e reso obbligatorio il pareggio di bilancio, non ha precedenti e costituisce l’ulteriore
segnale che ormai la nostra è una democrazia limitata sia dagli abusi dell’esecutivo
che dai diktat di un Europa sempre più invasiva nel condizionare le regole
interne del paese. Come precisato dal Presidente della Corte a proposito dei
vincoli imposti dall’articolo 81 richiamati da Renzi: «Questo principio
effettivamente è stato costituzionalizzato, ma non spetta alla Corte
garantirlo, bensì ad altri organi dello Stato», come dire
che le scelte politiche sui metodi con i quali realizzare e garantire il
pareggio devono intervenire gli organi dello stato preposti alla gestione
politica e in nessun modo è ammissibile che tale risultato possa essere
conseguito violando le leggi ed i principi costituzionali di eguaglianza dei
diritti dei cittadini. «Io sono d'accordo sul fatto che tra poteri dello Stato, e comunque tra
le istituzioni dello Stato, ci debba essere collaborazione – conclude Criscuolo -. Ma noi
qui stiamo parlando di un'attività di carattere giurisdizionale, sia pure con
profili specifici», pertanto non sarebbe stato possibile
far collidere interessi di finanza pubblica con illegittime lesioni di diritti.
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