venerdì, maggio 01, 2015

La Consulta boccia il blocco della perequazione delle pensioni



Finalmente giustizia è fatta – Fornero bocciata sul blocco delle pensioni superiori a tre volte il minimo – Lo stato tramite l’INPS deve rendere 5 miliardi ai pensionati illegittimamente penalizzati – Una beffa per Renzi, che prevedeva di contenere il disavanzo pubblico e che deve invece reperire le risorse necessarie


Venerdì, 1 maggio 2015
Lo avevamo scritto a suo tempo ed avevamo previsto che la Corte Costituzionale non avrebbe potuto che bocciare l’atto di esemplare protervia con il quale l’esecutivo Monti, per mano del ministro Elsa Fornero, aveva decretato la cancellazione della perequazione automatica delle pensioni superiori a 1.250 euro, cioè tre volte quelle minime.
Alla luce della decisione della Corte verrebbe da chiedersi se le lacrime del ministro, versate in diretta all’annuncio in televisione, fossero per la vergogna di dover proporre un provvedimento che puzzava palesemente di illegittimità o per la disperazione di dover sottostare al diktat di un azzeccagarbugli messo a capo del governo, che le aveva imposto di inventarsi qualsiasi balorderia pur di portare al mulino dell’esecutivo qualcosa per far quadrare i disastrati conti pubblici.
E’ certo che in base ai risultati di legittimità cui è pervenuta la Consulta che il nostro giudizio espresso su Monti e la sua squadra di professorini trova conferma. Si trattò di un governo tecnico incapace di fantasia e di coraggio, che scelse la strada più facile ed allo stesso tempo brutale, quella di colpire i redditi impossibilitati a sfuggire a qualunque forma di evasione, per scongiurare il default del Paese. Un governo all’insegna dell’arroganza nei confronti delle classi lavoratrici e dei pensionati e dell’incapacità di assumere misure adeguate nei confronti della finanza speculatrice e della rendita. D’altra parte da un esecutivo formato baroni dell’università e da banchieri in libera uscita, cioè dal gotha del neoliberismo più sfrenato non era pensabile si potessero assumere iniziative atte a riequilibrare la curva della distribuzione della ricchezza a favore delle categorie più bisognose e a danno degli speculatori che avevano disinvoltamente creato le condizioni per un tracollo del sistema economico nazionale e internazionale. Anzi, fu quella l’epoca in cui con l’alibi di proteggere il risparmio si iniziarono le politiche di sostegno alla banche, quelle banche che avevano spudoratamente guadagnato immettendo sul mercato tonnellate di titoli spazzatura o si erano imbarcate in operazioni di finanza funambolica, pompando denaro a squali già indebitati sino al collo nel cui fallimento si sarebbero trovate coinvolte.
E allora per drenare risorse la strada più facile fu quella di intervenire sulle pensioni, di cui il blocco della perequazione per quelle oltre il triplo del minimo non fu che la ciliegina sulla torta: ancora oggi c’è una schiera di diseredati che piange disperata la mancanza di lavoro e l’impossibilità di accedere alla pensione, a causa di un’età anagrafica che li emargina sul mercato del lavoro e non consente loro di fruire di un reddito da quiescenza.
Ma l’attitudine maramalda di quel governo non si manifestò solo in materia pensionistica, ma sconfinò persino nella manomissione delle regole di funzionamento del marcato del lavoro, adducendo motivazioni allucinanti come “gli investitori stranieri non vengono nel nostro paese a causa dell’impossibilità di licenziare”, falsa affermazione che servì per infliggere le prime picconate alla stabilità dell’impiego e al baluardo rappresentato dall’articolo 18 dello statuto. Ovviamente il far west del neoliberismo finse di non capire che il problema degli investimenti non era certo legato alla contrattualistica del lavoro, già sufficientemente massacrata dallo sfruttamento schiavistico della moltitudine dei contratti di precariato, quanto ad un sistema bancario refrattario a sostenere le nuove iniziative e, ancor più grave, un sistema giudiziario medievale che impone ancora oggi tempi biblici per la riscossione di un credito e la solvibilità della pubblica amministrazione, il tutto condito da una corruzione a tutti i livelli che vede l’Italia addirittura in coda a tanti Paesi africani.
Adesso, dove peraltro le cose sono cambiate in peggio o non sono state affatto risolte con l’avvento di Renzi, ci si dispera perché non si sa dove trovare il denaro per risarcire i pensionati indebitamente colpiti dall’efferato provvedimento Fornero. E c’è già al lavoro qualche mente fina che sta studiando quale misura assumere per minimizzare se non vanificare la decisione della Corte; e questo non perché manchino i riferimenti sui quali intervenire per reperire le risorse, ma perché in questo Paese la regola è sempre stata quella di dare poco con una mano e di profittare, con l’altra mano, delle sbornia cui s’abbandona lo stupito beneficiario delle misere donazioni ricevute per scipparlo del doppio che gli è stato dato. Renzi, che si muove sull’onda lunga di chi l’ha preceduto e che ha già dimostrato quanto sia succube delle imposizioni di Bruxelles, non mancherà di certo di presentarsi con il cappello in mano dall’amica Merkel e chiedere lumi sul daffare per risolvere la questione che, a detta degli esperti, pare valga ben 5 miliardi di euro.
Comunque sarà bene non far conti senza la presenza del classico oste. Dalla lettura del dispositivo della Consulta sapremo quali sono state le motivazioni che hanno portato alla dichiarazione di illegittimità costituzionale del provvedimento Fornero e non può escludersi possano acquisirsi lumi sui modi con i quali il governo dovrà procedere alla restituzione del grisbi.


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