Pensioni: la montagna partorisce l’ennesimo topolino
Come
previsto Renzi aggira la sentenza della Consulta e infligge l’ennesima
fregatura ai pensionati – Lo sblocco della perequazione si rivela un’offensiva
mancia – Esclusi i pensionati che incassano oltre 3.000 euro mensili, i nuovi
nababbi del terzo millennio - Il signor Rossi, grazie alle rivelazioni di
Renzi, scopre di godere di un reddito
equivalente a quello di Berlusconi o di un ex parlamentare
Mercoledì, 20 maggio 2015
Belloccio,
allegro, spavaldo, pronto a divagare e alla battuta spiritosa. Così è apparso
ieri nella conferenza stampa successiva al Consiglio dei ministri il bulletto
fiorentino Matteo Renzi, accompagnato dai suoi mummificati ministri Padoan e
Poletti. Il tema della conferenza era la presentazione del provvedimento di
applicazione del dispositivo della Consulta, che aveva dichiarato la settimana
precedente illegittimo il blocco della rivalutazione delle pensioni, dal quale
in parecchi si attendevano pur con qualche scetticismo un atto coraggioso di
giustizia sociale.
Nei fatti,
invece, non è successo niente, salvo lanciare sul tavolo della conferenza
stampa un topolino mezzo ammaccato, utile per far credere che in qualche modo l’innovatore
governo Renzi ha ottemperato alla sentenza del massimo organo costituzionale
del paese: una mancia in media di circa 500 euro lordi, che in buona parte
rientreranno nelle casse dello stato per effetto della tassazione, e un ulteriore
pacchetto di canditi ad incrementare l’assegno mensile dei pensionati a partire
dal 2016. Ovviamente, il poderoso pacchetto di misure, che il capo dell’esecutivo
ha tenuto a precisare esclude tutti i pensionati nababbi che percepiscono oltre
tre mila euro lordi al mese, è stato presentato come il risultato di uno sforzo
immane, di un salasso per la finanza pubblica che così non potrà nel breve
termine farsi carico di provvedimenti mirati per alleviare la povertà.
Fuor di
metafora il signor Renzi ha comunicato alla nazione che in forza di un provvedimento
balordo voluto da un consesso di balordi, è stato costretto ad inventarsi una
redistribuzione di risorse per ingrassare quattro miserabili vecchietti egoisti
ed insensibili ai problemi dei giovani, dei disoccupati e delle categorie più
povere. A questi egoisti, d’altra parte, sarebbe stato impensabile dare tutto
ciò che reclamavano e che la Corte Costituzionale aveva stabilito dovesse esser
dato, poiché l’ammontare sarebbe stato tale da non consentire la spesa prevista
per gli asili e le assunzioni di nuovi docenti, per le infrastrutture ed altre
iniziative urgenti. Infine, il baldo premier ha tenuto a precisare che la causa
di questo sfacelo sui conti pubblici non è certo da attribuire al suo governo,
ma ai tanti che l’hanno preceduto e che adesso richiedono a gran voce che tutto
il dovuto dovrebbe essere reso.
Fin qui la
cronaca di una giornata in cui Matteo Renzi ha dato un ulteriore dimostrazione
di protervia e di demagogia da marciapiede, poiché da un lato per chi
rappresenta la conduzione del paese non è lecito si ricorra a discorsi
lamentosi e ricattatori per giustificare l’inadempienza ad una sentenza del
massimo organo di tutela democratica dello stato; dall’altro non è altrettanto
lecito che si imbroglino intere categorie di cittadini che, come ha
sottolineato la Corte, non hanno più alcuno strumento per adeguare all’inflazione
ed alla limatura del potere d’acquisto del loro reddito che fare affidamento
sul modesto meccanismo legislativo di indicizzazione. Non si intende qui negare
che le condizioni economiche e finanziarie del paese non necessitino di misure
generalizzate di sacrificio atte a riequilibrare la distribuzione delle
risorse. Ciò che risulta inaccettabile è che queste misure siano pervicacemente
limitate al lavoro dipendente ed alle pensioni, che rappresentano quasi il 90%
della fonte di introito della tassazione pubblica, mentre è noto che un
altrettanto 90% della ricchezza nazionale è concentrata nelle mani di un
risicato 10% di cittadini che sfuggono all’imposizione di misure di vera
solidarietà.
Parimenti,
non va dimenticato che l’evasione ed il malaffare in questo paese capace di
partorire governi populisti ammontano a circa 200 miliardi all’anno e che
misure di lotta basate su una spesa sostenibile, a fronte dei redditi
dichiarati per l’acquisto di beni futili come pentolame o abbigliamento intimo
o gite fuori porta, sono ridicoli pannicelli caldi su spaventose ferite
infette. Sono ormai anni che l’Istat certifica redditi da fame per alcune
categorie professionali o per i proprietari di certe attività commerciali, dove
si riscontra il paradosso che i padroni denunciano redditi di gran lunga
inferiori a quelli dei loro dipendenti. E’ del tutto noto che le sacche di
evasione si concentrano tra i tanti esercenti lavori artigiani o tra i tanti operatori
del cosiddetto terziario, ma la politica fiscale anziché favorire una cultura
della trasparenza incentivando la diffusione della documentazione fiscale con
la deducibilità della spesa, preferisce il kamasutra dell’indagine deduttiva
casuale, che ha il potere finale di scatenare contenziosi molto spesso fondati
solo sulle illazioni dei funzionari del fisco.
Ecco, far
perno su una seria lotta all’evasione fiscale sarebbe un valido atout
attraverso il quale riequilibrare il sistema finanziario del paese e così
evitare l’assurda guerra tra pensionati, oltre che fruire dei fondi per
combattere la povertà dilagante. Ma la pavidità della politica – sempre che di
pavidità si tratti e non si tratti piuttosto di “debolezze” più maligne –
preferisce da sempre le scorciatoie, le operazioni demagogiche intrise della
velenosa invidia tra le categorie sociali. E così il governo di Renzi,
costantemente in bilico tra le metodologie di una destra autoritaria e di una
sinistra nostalgica di politburo, ammanta di equità sociale ciò che in realtà
con le sue proterve scelte mira alla perpetuazione di una società fortemente
divisa orizzontalmente: da una parte l’élite, i mandarini della politica, i
grossi imprenditori, i capitalisti vecchia maniera, la finanza delle camarille;
dall’altra la massa, fortemente mescolata tra il neo-proletariato, l’ex classe
media, gli immigrati e i disperati, tra i quali si esercita una sciente
diffusione di invidie, odi, concorrenze e sulla quale si fa pesare il mantenimento
parassitario dello stato.
Per restare
nel tema, non si può non condividere le conclusioni di Michele Carugi, che su il Fatto Quotidiano del 18 scorso
scrive: «L’uscita di Renzi circa il suo
dispiacere nel dover concedere una tantum alle pensioni sopra
1.486 euro lordi così non potendo pensare a chi ha assegno da
700 euro, rappresenta un punto basso di populismo, perché prescinde da
qualsiasi analisi su che cosa sia sottostante a quelle due pensioni e lascia
credere che per qualche maligno scherzo del destino due individui con una
storia lavorativa identica alle spalle possano avere pensioni così diverse,
mentre scavando anche poco nelle storie lavorative si comprenderebbe, eccome,
la differenza». Infine, Carugi nel
commentare la sortita di Renzi divergente dagli indirizzi della Corte lancia un
monito ed allo stesso tempo un allarme: «Per ultimo, ma non il meno importante, la
separazione dei poteri: la Consulta deve ”vegliare” sulla
Costituzione; gli effetti delle sue sentenze possono piacere o meno, creare
grattacapi o risolverli, ma metterne in discussione intenti e modalità di
lavoro e pensare a modi di aggirarne
i deliberati e
controllarne gli orientamenti è una china pericolosa, perché mina alla base la
credibilità di chi ha la responsabilità enorme di vigilare che nessun potere
dello Stato si prenda delle libertà nei confronti della Carta».
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