Il ladro di diritti
Scoop di
Matteo Renzi alla tv pubblica – La sentenza della Consulta sarà applicata con
la corresponsione di una mancia da 500 euro – Le pensioni sopra i 3000 euro
lordi non avranno nulla – L’arrogantello pensa di farla franca facendo perno
sulla guerra tra pensionati nababbi e giovani senza futuro – Quando si è privi
di morale e di senso del rispetto delle istituzioni
Lunedì, 18 maggio 2015
Che il capo
del governo abbia ormai sbarellato è un dato di fatto. Il Rottamatore, che ha
palesato la sua indole arrogante e proterva, ha superato ogni limite ed ogni
giorno che passa sta dimostrando quanto sia diventata pericolosa la sua
permanenza al governo del paese, ai vertici delle istituzioni un tempo
democratiche.
Già, perché
dopo aver annientato il dissenso persino del suo partito defenestrando gli
oppositori nelle commissioni parlamentari, sconvolto le regole del dibattito con
l’imposizione di fiducie a raffica, offeso gli avversari con battute al
vetriolo, adesso s’avventa persino sulla democrazia eludendo le disposizioni
della Corte Costituzionale, ultimo baluardo di tutela democratica.
Questo è in
sintesi il quadro allarmante che emerge dall’operato di Matteo Renzi, che al
culmine di un delirio d’onnipotenza sconosciuto persino al suo predecessore
Silvio Berlusconi, si permette di svillaneggiare il disposto della Consulta in
materia di pensioni e, contrariamente a quanto sancito nella sentenza 70/2015,
preannuncia che nel mese di agosto ai pensionati verrà elargita una mancetta di
500 euro a compensazione di ogni loro aspettativa di rivalutazione dell’assegno
di quiescenza. In più, quest’obolo non riguarderà i “nababbi” con pensioni
superiori ai tremila euro lordi, per i quali il capo dell’esecutivo ritiene
niente sia dovuto.
Che Renzi
abbia una concezione a dir poco confusa di ciò che significa senso del dovere e
rispetto delle istituzioni a questo punto non crediamo ci siano dubbi. E
sebbene si possa comprendere il disagio in cui il governo si è venuto a trovare
dopo la sentenza della Corte, a causa di una crisi economica che rende assai
difficoltoso il reperimento delle risorse necessarie ad onorare il dispositivo,
non è affatto ammissibile poter immaginare di liquidare con imbrogli, elusioni
e sotterfugi un ordine chiaro e perentorio: l’articolo 24, comma 25, del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,
l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214,
nella parte in cui prevede che «In
considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione
automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito
dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta,
per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di
importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura
del 100 per cento» è abolito per effetto di palese illegittimità
costituzionale e, pertanto, l’Inps deve procedere al ricalcolo delle pensioni
indebitamente decurtate per effetto di quella norma.
Ma il
novello Arsenio Lupin di Firenze, nonostante le intellegibili conclusioni
dell’organo di tutela della Costituzione repubblicana, ritiene di poter fare il
furbo e prelude soluzioni raffazzonate, che nei fatti intendono deliberatamente
disattendere il dispositivo.
Non indugeremo
ad entrare ancora una volta nei meccanismi cui si potrebbe ricorrere per fare
giustizia ed alleggerire i danni per le finanze pubbliche con un atto sensato
di giustizia verso i pensionati. Qui ci interessa mettere in risalto il
lapalissiano tradimento da parte di Renzi della Costituzione sulla quale ha
giurato al momento della sua nomina alla presidenza del Consiglio dei ministri,
per la quale se fossimo dotati di un parlamento meno pavido si procederebbe con
la messa in stato d’accusa. Come ha scritto Michele Ainis sulle pagine del Corriere della Sera alcuni giorni or sono
a proposito della scellerata fiducia sulla legge elettorale: «Più che la
fiducia, ormai serve la fede. Un atto religioso, non politico. Un giuramento,
non un voto. Ieri il governo ha chiesto (e ottenuto) la fiducia dai
parlamentari; ma è come se l’avesse chiesta a tutti gli italiani, separando gli
infedeli dai fedeli. Noi crediamo alle buone intenzioni del presidente del
Consiglio. Ne ammiriamo l’energia, ne appoggiamo il progetto d’innovare norme e
procedure. Ma quando l’impeto riformatore investe le stesse istituzioni occorre
la ragione, non la fede. E il costituzionalismo alleva una ragione scettica,
diffidente nei confronti del potere. Perché ha esperienza dell’abuso, sa che
l’uomo troppo potente diventa prepotente». E che Renzi nello spazio di un mattino sia divenuto un prepotente è cosa
palmare. Un prepotente alla stregua di quei dittatorelli di cui è zeppa la
storia, pervaso dall’idea malsana che i diritti siano carta straccia e che la
saldezza del polso – in altri tempi, la durezza del bastone – possono piegare a
proprio piacimento norme, leggi e sentenze.
C’è da credere comunque che dopo questo preannunciato
colpo di mano le aule dei tribunali si intaseranno di cause contro l’Inps, che
non è escluso obbligheranno parecchi magistrati a rimettere alla Corte
Costituzionale l’emanando provvedimento con il quale sarà elargita la mancia in
sanatoria. D’altra parte procedere ottusamente su una strada negazionista dei
diritti, senza tenere in considerazione che negare ad una fetta dei cittadini
il risarcimento previsto dalla sentenza 70/2015 senza rischiare di violare l’articolo
53 della Costituzione è del tutto idiota. Infatti, se l’articolo 53 della
Costituzione ha previsto il concorso alle spese dello stato secondo capacità e
in modo progressivo, negare la rivalutazione illegittimamente cancellata
equivale caricare di un ulteriore gravame i redditi già tartassati in forza
delle gravose aliquote Irpef, determinando una condizione di sperequazione
contributiva di tutta evidenza.
Non sappiamo quanto ancora durerà Renzi e se mai arriverà
alla tornata elettorale del 2018. Noi ci augureremmo che questo bulletto
nostalgico di fez e camicia nera si togliesse di torno al più presto insieme
con la sua squadraccia di pupe e imbonitori senza valore e al suo posto, dopo
una lunghissima pausa democratica durata oltre un ventennio, tornasse nel paese
a regnare qualche elementare principio democratico di certezza del diritto e di
moralità.
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