Risanare i conti con il ruba mazzetto
Nuove nubi temporalesche nel futuro dei pensionati – Tito Boeri,
presidente INPS, novello Robin Hood lancia l’ipotesi di ricalcolare le pensioni
retributive con il contributivo – La differenza da devolvere agli
ultracinquantenni senza lavoro – Il governo boccia la proposta
Sabato, 7 novembre
2015
C’è chi parla di persecuzione e chi addirittura, come Franco
Abruzzo, già presidente dell’Ordine dei giornalisti lombardi e attuale
presidente dell’UNPIT, di stalking. In realtà la lettura di certi comportamenti
è più semplicemente un’altra delle strategie del rinvigorito capitalismo
planetario messe in campo per attaccare con inaudita ferocia le solite
categorie sociali più deboli, alle quali sistematicamente si addossano le
ragioni delle crisi economiche, in modo da individuare un capro espiatorio e tacitare
il malcontento diffuso.
Ci riferiamo alla annosa e ormai stantia polemica sulle
pensioni, oggetto di attacchi giunti sull’orlo del fanatismo mediatico, che
sistematicamente torna alla ribalta ogni qual volta si parla di conti pubblici,
di politiche occupazionali, di dramma della disoccupazione giovanile, di futuro
e sostenibilità del sistema previdenziale. Ogni qual volta uno di questi temi
diviene oggetto di discussione nei salotti televisivi e nella valutazione della
politica, quest’ultima palesemente incapace di trovare soluzioni impopolari per
il gotha della speculazione economica e finanziaria, ecco che si scatena la
caccia al colpevole, con la consapevolezza che quel colpevole è nel sistema
pensionistico eccessivamente sprecone. Eppure per i guru della politica e dell’economia
è ben noto che le questioni potrebbero risolversi se solo fossero attuate
misure di calmierazione della voracità di un capitalismo insaziabile, sempre
più proteso a spremere la povertà e, attraverso il ricatto di quello spettro,
ridurre in crescente schiavitù fette oceaniche d’umanità.
Non a caso, se si parla d’occupazione, il problema scivola
sulla questione salari e produttività, sul costo del lavoro e sull’indecenza
delle pretese delle organizzazioni rappresentative del lavoro. E’ irrilevante,
per esempio, che ci siano organizzazioni economiche disposte persino ad
uccidere, pronte allo sterminio di massa, pur di aumentare i profitti del
capitalismo finanziario che le governa. Il caso Volkswagen, - comunque si
voglia leggere la gravissima vicenda che sta coinvolgendo la casa
automobilistica a livello planetario, - è un esempio lampante di un modo
disumano per arricchire pochi privilegiati, che non hanno esitato a ricorrere a
trucchi assassini pur di veder gonfiare i propri profitti.
E a pagare in questo caso non sarà certo un management
eticamente corrotto, magari da liquidare in fretta e furia con benserviti
faraonici per salvare la faccia a chi nell’ombra tira le fila di certe
diaboliche invenzioni. A pagare se le cose dovessero precipitare e mettere in
ginocchio un’organizzazione con migliaia di dipendenti saranno i lavoratori,
rimettendoci il posto di lavoro e, dunque, il mezzo privilegiato per il
sostentamento di se stessi, delle loro famiglie e, di fondo, il requisito
basilare della loro dignità di uomini.
L’Italia, ovviamente nel processo di globalizzazione
mondiale dell’economia, non è diversa. Anzi è un paese in cui le contraddizioni
sociali e le fratture profonde tra ricchezza e povertà si ampliano ogni giorno
e mettono a nudo verminai di malaffare e corruzione politica, mentre si
consumano tragedie umane senza fine, nell’indifferenza di chi finge con il
classico cerchiobottismo ad illudere che il potere è sensibile, ma nei fatti
vara misure atte a garantire un qualche ulteriore vantaggio al proprio
azionariato a danno del resto dei cittadini. Per far ciò per queste operazioni
di sensibilità non esita possibilmente a ricorre a roboanti nomi di tecnocrati,
apparentemente indipendenti dai condizionamenti dei santuari occulti del
potere, ma in realtà quinte colonne di quelle organizzazioni
affaristico-speculative propense a qualsiasi misfatto pur di salvaguardare i
propri interessi.
Un caso di scuola è quello rappresentato da Tito Boeri,
presidente plenipotenziario dell’INPS nonché membro del corpo docente della più
rinomata scuola universitaria del Paese, quella scuola universitaria
dichiaratamente finanziata dalla crema del capitalismo più significativo e
spregiudicato di casa nostra. E per quanti potessero nutrire dubbi su questa
considerazione va ricordato che “il salvatore della patria” Mario Monti, il
dante causa di Elsa Fornero, dell’intrepido ex-banchiere e ministro dello
Sviluppo Economico Corrado Passera e dell’altro pluridecorato esponente del
capitalismo nostrano Francesco Profumo, è stato magnifico rettore della
benemerita Bocconi di Milano, e sul suo operato di governo non occorrono certo
commenti.
Ebbene, l’esimio professore Tito Boeri, emulo di Colombo nel
consentire all’uovo di assumere posizione verticale, alcune ore fa ha
presentato la sua miracolosa ricetta per risolvere la questione dell’equilibrio
delle pensioni italiote e dare soluzione alla drammatica condizione di chi,
ultracinquantenne, non può andare in pensione perché troppo giovane e non
riesce a trovare un lavoro che gli dia un reddito per campare perché troppo
vecchio. L’esimio professore , - udite!, udite!, - s’è inventato una ricetta
che prevede il ricalcolo con il metodo contributivo delle pensioni già in
essere con il sistema retributivo, così da defalcarne la differenza e
devolverla sotto forma di sussidio di sopravvivenza ai predetti
ultracinquantenni.
Come ha scritto Franco Abruzzo in proposito, «Tito Boeri è un nemico dichiarato dei pensionati con un
assegno mensile dai 2mila euro in su. Basta leggere l’articolo “Pensioni:
l’equità possibile” scritto con Fabrizio e Stefano Patriarca e pubblicato
il 14.1.2014. I tre propongono di chiedere un “contributo di equità” ai
pensionati, basato sulla differenza tra pensioni percepite e contributi
versati. Ricostruendo le storie dei contribuenti attraverso il cosiddetto
“forfettone” (un metodo indicato in un decreto del 1997) calcolano lo
scostamento tra pensione effettiva e contributivo. Da tale scostamento
propongono di ricavare il contributo sulla base di un’aliquota progressiva pari
al 20, 30 e 50% rispettivamente per pensioni tra 2 e 3 mila euro, 3 e 5 mila
euro e superiori a 5 mila euro. Secondo le loro stime si ricaverebbe un
risparmio di spesa pari a circa 4,2 miliardi di euro». Ovviamente, una bomba ad alta deflagrazione in un area sociale che,
proprio perché ormai fuori dal mercato del lavoro, non ha più alcuna speranza
di vedere il proprio reddito incrementarsi per effetto di una contrattazione,
di un avanzamento di carriera, di u merito professionale. Inoltre, non va
affatto dimenticato, che la platea in questione, che nulla ha impropriamente
percepito se non in forza dei contributi versati e le regole vigenti al tempo in
cui esercitavano un’attività lavorativa, è già stata vilmente penalizzata dalle
decisioni di Matteo Renzi di svillaneggiare la sentenza della Corte
Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco della perequazione annuale
sulle pensioni in questione. Inoltre, continua Abruzzo, «Nelle stesse ore esplode la notizia che in Sicilia sono 285mila i
lavoratori in nero con una evasione da 4 miliardi (esattamente la cifra che il
presidente dell’Inps pensa di recuperare con la sua operazione sugli assegni dei
presunti “ricchi”). Boeri dovrebbe recuperare questi 4 miliardi, smettendola di
criminalizzare i cittadini, che hanno costruito la loro pensione
con il lavoro, versando contributi d’oro».
Fin qui l’ennesimo scampolo di polemica su una proposta
indecente che il governo sembra aver deciso di cestinare, ma che nonostante
tutto rappresenta il sintomo della dissimulata miopia con cui si affrontano i
gravi problemi che travagliano il paese: anziché sferrare una lotta durissima
contro l’evasione e l’elusione, possibilmente schiaffando in galera gli evasori
come si fa in altri paesi civili, da noi risulte più facile pretendere il pizzo
da chi la pensione se l’è guadagnata pagando profumatamente, non fosse perché i
nominativi dei polli da spennare sono certi e l’incasso è facile e garantito.
Che questo poi sia del tutto illegittimo, poco importa: ci sarà sempre un
opinione pubblica fatta di meschini e invidiosi che condividerà la manovra e
griderà ad un’opera di giustizia sociale.
Eppure per risolvere radicalmente le questioni spinose
basterebbe mettere mano a provvedimenti, magari impopolari per il solito gotha,
ma di sicura efficacia per la comunità: abolizione delle smisurate flessibilità
d’ingresso nel mercato del lavoro, sussidi certi a sostegno dell’occupazione, reintroduzione
della quiescenza per anzianità per favorire il ricambio occupazionale, piano
pluriennale d’investimenti pubblici per il recupero del territorio, correttivi
fiscali sui redditi per il rilancio dei consumi compensati da analoghi
interventi di recupero a carico delle rendite finanziarie e dei patrimoni; in
pratica una serie di misure che favorirebbero l’occupazione diretta ed indotta
e provvedimenti a ripristino dell’equità sociale, senza scadere in operazioni
di volgare rapina.
Già, ma probabilmente quando si parla di queste cose
occorrerebbe interloquire con una politica di vera sinistra e non con chi ha
trasformato quella sinistra in un lacchè pedissequo dei poteri forti che
tramano nell’ombra.
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