martedì, giugno 16, 2015

Renzexit

Dopo i magri risultati alle Regionali, Renzi incassa una dura sconfitta ai ballottaggi – Perduta la storica Venezia e Arezzo – La sconfitta segna la fine del Partito della Nazione e ridimensiona il sogno d’egemonia maturato dopo il 42% delle Europee – Ora un cambiamento di rotta
Martedì, 16 giugno 2015
Non c’è stata alcuna alluvione come a Tblisi , eppure gufi, corvi e tutto il campionario dei volatili del malaugurio è fuggito dalle gabbie ed ha invaso le città in cui in questo fine settimana si tenevano i ballottaggi, portando con sé la sfiga più nera ai candidati del PD che speravano in una  vittoria sull’avversario di turno.
Le sconfitte sono state durissime, a cominciare dalla perdita della roccaforte storica Venezia e di Arezzo, feudo del ministro Boschi. Poi come la replica di un cataclisma lo show down è continuato a Nuoro e s’è concluso in quella Sicilia che, stanca del pallone gonfiato Crocetta, non ha esitato ritornare a destra o votare M5S come atto di esasperata protesta per una classe politica nazionale non solo fatua, litigiosa e simile a quelle che l’avevano preceduta in quanto a incidenza effettiva nei problemi reali, quanto piena d’inquisiti dopo lo scoppio di mafia capitale.
Il premier, nonché segretario del partito di sedicente sinistra, nell’ammettere la cocente sconfitta, non ha avuto dubbi. La sconfitta è da attribuire al meccanismo delle primarie, attraverso le quali conquistano la candidatura personaggi nei fatti incapaci d’intercettare il voto popolare, e nel cambiamento di fisionomia e stile che avrebbe a suo dire connotato da qualche tempo il suo personale modo d’interpretare la politica, più incline al compromesso, alla mediazione e, dunque, in deficit di quel decisionismo che tanto piacerebbe alla gente.
Sarà, ognuno ha il diritto di illudersi inventando alibi e scusanti. Ma alla dissimulata ingenuità di Matteo Renzi è difficile credere, poiché il personaggio ha dimostrato in mille occasioni di avere tanto di quel pelo sullo stomaco da rendere difficile credere che non sia in grado di capire che il tonfo del suo partito non sia piuttosto dovuto agli errori marchiani compiuti da lui medesimo e dalla sua troupe nel gestire in quest’anno e mezzo di governo i problemi del paese.
Non vorremmo qui ristendere l’elenco delle fesserie propinate all’opinione pubblica dall’esecutivo Renzi, ma allo stesso tempo è difficile se non ipocrita non sospettare che la rapina ai pensionati concertata da Renzi e dal suo sodale Padoan non abbia influito sull’esito dei risultati elettorali. Allo stesso tempo è inammissibile pensare che la gravissima forzatura sull’articolo 18 dello statuto, peraltro non accompagnata da forti meccanismi impositivi di assunzione a tempo indeterminato, sia stata accolta dagli Italiani come una manna dal cielo. Forse il ministro del lavoro Poletti, autore appena qualche ora fa di un decreto attuativo del Jobs Act che prevede sì la scomparsa di parecchi contratti atipici, ma la loro diffusa sopravvivenza nell’ambito del lavoro intellettuale, qualche responsabilità deve averla sulla palese disaffezione popolare al PD ed alla partecipazione al voto. Con le orde di disoccupati tra i giovani, diplomati e laureati, come è possibile partorire un provvedimento che azzera i contratti di precarietà escludendo il lavoro in cui sia preminente l’apporto intellettuale? Che ne sarà dei tanti laureati in giurisprudenza, in fisica, in matematica, in ingegneria, dei giornalisti e dei tanti impegnati in un’attività in cui l’apporto di natura intellettuale è preponderante e che costituiscono il prototipo di uno sfruttamento selvaggio senza il barlume di una conclusione alla luce di queste cervellotiche iniziative della politica? E’ probabile che il ministro Poletti, formatosi professionalmente nella Lega delle Cooperative, abbia una visione del lavoro profondamente inquinata dalle professionalità di natura manuale: sguatteri, lavavetri, saldatori, muratori e così via, attività per le quali molto spesso le cooperative sono le prime ad impiegare manodopera terzomondista per tenere bassi i salari. Ovviamente anche queste categorie hanno diritto ad una loro tutela, ma ciò non giustifica un’esclusione che rischia di coinvolgere molti più aspiranti lavoratori di quanti al momento si creda.
Le divagazioni di cui s’è parlato non costituiscono un fuori tema rispetto alla questione risultati elettorali. Più semplicemente intendono richiamare le aree di malcontento crescenti che si annidano tra i cittadini, sempre più testimoniate dal pauroso e continuo calo di coloro che si recano alle urne e dai significativi successi messi a segno dal M5S particolarmente in Sicilia, dove la disoccupazione raggiunge percentuali vertiginose e la massa dello scontento è ormai un inarrestabile fiume in piena.
Volendo fare una sintesi si potrebbe concludere che Matteo Renzi, oltre ad aver messo in luce la sua profonda indole democristiana nel breve arco di tempo di diciotto mesi di governo, ha compiuto tanti di quegli errori irreparabili da essersi scavato con le proprie mani una buca sotto i piedi ed aver creato la condizioni per un Renzexit assai rapido. D’altra parte la storia politica del paese insegna che la débâcle alle amministrative è stata per tutti i governi l’anticamera dell’affondamento e per i partiti e le coalizioni il campanello d’allarme di un malcontento popolare montante e inarrestabile.
La circostanza mette in risalto un ulteriore errore dell’ex sindaco, un errore derivante da quel premio di lista che ha imposto contro quello di coalizione nella formulazione finale della nuova legge elettorale.
Cosa farà adesso lo Spaccone di Rignano sull’Arno per tentare di risalire la china? Per il momento c’è solo un avvertimento, che si condensa in un ritorno allo stile originario, contrassegnato da un decisionismo spinto e da una propensione a rullare nemici e oppositori, insomma il ritorno ad una sorta di Renzi 1.0 che magari metterà definitivamente in soffitta il chimerico Partito della Nazione e s’abbandonerà a qualche momento nostalgico pensando a quel 42% che non tornerà mai più.
Nella foto, Vladimiro Crisafulli, il grande collettore di voti di Enna in quota PD sconfitto al ballottagio da Maurizio Dipietro sostenuto dalle liste civiche.

 

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