Monti – Renzi, la guerra dei morti viventi
Scontro durissimo tra i due ex capi di
governo sulla richiesta di Renzi di mutare il fiscal compact voluto da Monti – Nella
tenzone i danni prodotti dalle politiche dei due diventano motivi di orgogliosa
vanteria – Un dibattito che non appassiona più nessuno
Martedì, 18 luglio 2017
Un duello in piena regola. Come
definire diversamente lo scontro in atto tra Mario Monti e Matteo Renzi, il velenoso
scambio d’accuse tra le due menti fine che in questo scorcio di millennio hanno
ridotto allo stremo un Paese già sull’orlo del baratro dopo l’incredibile
ventennio berlusconiano.
Uno scontro poco interessante,
potrebbero pensare in tanti, visto che uno in quelle rare occasioni in cui
dichiara qualcosa non fa che parlare di minestra riscaldata, mentre l’altro
sembra aprir bocca solo per amplificare l’antipatia profonda di chi è costretto
ad ascoltarlo e che da tempo l’accompagna. Eppure lo scontro in sé ha un
nonsoché di esilarante, non fosse perché il tenzone oppone due pavoni sognatori
ormai spennacchiati – qualcuno persino spernacchiato, - che si beccano
ferocemente per orgoglio. Entrambi sono accecati da una smisurata auto
considerazione, al punto che le fallimentari politiche messe in atto durante il
loro improvvido governo di cui non mostrano pentimento alcuno, sono da loro additate
quali prove della straordinaria efficacia con la quale hanno rispettivamente gestito
il mandato.
Così il primo
magnifica d’aver traghettato il Paese fuori da una fase comatosa, di cui lo
spread era il sintomo evidente, grazie a misure tali da far impallidire persino
Quintino Sella. Il secondo rivendica i successi in tema di lavoro e occupazione
realizzati con il Jobs Act – giusto per citare uno dei provvedimenti più
inutili e perversi partorito dal suo fervido talento, - i cui risultati, a
dispetto dei ridicoli ed arroganti proclami con i quali ammorba le platee, sono
sotto gli occhi di tutti gli Italiani: tasso di disoccupazione totale vicino al
12%, di cui giovanile prossimo al 40%.
Eppure a ben
guardare e a dispetto delle dichiarate divergenze i duellanti qualcosa in
comune ce l’hanno. Chi non ha impresse nella mente le allucinanti motivazioni
con le quali il prode accademico nonché senatore Mario Monti sosteneva la
necessità di cancellare l’articolo 18 dello Statuto: “Ciò che blocca gli investimenti stranieri nel nostro Paese è la
presenza di un sistema di tutele del lavoro ormai anacronistico.” – aveva
proclamato con severa competenza – “L’abolizione
dell’articolo 18 consentirà l’ingresso di nuovi capitali e, dunque, la crescita
dell’occupazione”. Ma lui, nonostante la buona volontà, non riuscì
nell’impresa. La raccomandazione invece fu raccolta al volo dal talentuoso
Matteo Renzi, che in quattro e quattr’otto si liberò del fastidiosissimo
lacciuolo, certo degli effetti prodigiosi che si sarebbero prodotti con quel
miracoloso specifico di Dulcamara.
E’ superfluo
commentare che la cancellazione di quell’articolo dello Statuto dei Lavoratori
si è rivelata una delle più esecrande iniziative della storia della sinistra
italiana, in primo luogo perché in palese collisione con la sua missione
ideologica di tutelare gli interessi della classe operaia o – in chiave più
moderna – delle categorie dei prestatori di lavoro. In secondo luogo, perché i
fiumi di investimenti attesi non sono mai arrivati – stupisce che la fervida
fantasia renziana non abbia attribuito la colpa alla siccità ed ai cambiamenti
climatici – e di nuovi posti di lavoro e di calo della disoccupazione,
specialmente giovanile, non s’è sentito manco l’odore e sebbene gli effetti del
Chianti non siano diversi dal Bordeaux, neanche da sbronzi s’è vista la corsa
all’impiego promessa da Renzi.
Ma il professor
Monti non rimprovera a Renzi di certo questa iniziativa. S’è imbufalito per le
critiche che il Guappo di Rignano gli muove a proposito del fiscal compact, -
quel provvedimento comunitario che impone stretti vincoli di pareggio di
bilancio agli stati membri, da realizzare attraverso il rigoroso rispetto del
rapporto deficit/PIL e debito/PIL, al quale l’Italia aderì al tempo del governo
Monti. Il geniale segretario del PD vorrebbe adesso stravolgerne i termini, che
a suo avviso consentirebbero di destinare maggiori risorse allo sviluppo ed al
sostegno della debole ripresa che s’intravvede. Ecco allora che un Monti
indignato accusa Renzi di essere come “un
disco rotto, che ripete senza fine i suoi slogan e le sue accuse, senza
rispetto alcuno per gli interlocutori e la realtà”. Ovviamente Matteo Renzi
non si lascia intimidire dalle critiche durissime di Monti, anzi incalza e
dichiara con l’usuale spocchioso disprezzo verso quelli che considera intralci
al suo pensiero che “la cultura
dell’austerity ha visto aumentare il numero delle famiglie in povertà, crescere
le diseguaglianze ed il rapporto debito/PIL. Tutto ciò è da addebitare al
grazioso regalino fattoci da Monti con il fiscal compact”. La stoccata
velenosa del professore però non si fa attendere e si condensa in un lapidario:
“Renzi è sempre lo stesso: fa precedere
gli annunci, troppi, alla riflessione”.
Certo, il
professore non sbaglia quando definisce Renzi un malato affetto da
cortocircuitosi tra terminale audio e sistema centrale d’elaborazione dati,
sebbene si covi il sospetto che la patologia gli sia così nota per familiarità,
dato che non è possibile spiegare altrimenti - ad esser magnanimi - quali
folgorazioni scientifiche lo abbiano colpito al tempo in cui la sua fida Sancho
Panza, Elsa Fornero, partoriva con la sua accademica benedizione quell’infamante
obbrobrio spacciato per riforma delle pensioni.
Certo si può anche
capire che la previdenza del Paese vive una gravissima crisi di solvibilità e
che è necessario, come lo sarebbe stato ai tempi della Fornero, una riforma
radicale del sistema. Tuttavia se per combattere la fame nel mondo la soluzione
fosse individuata nella soppressione degli affamati nessuno potrebbe negare che
più che di terapia si parla di sterminio di massa.
Si potrà anche
obiettare che l’esempio è un po’ esagerato, ma a questi chiosatori, ipocriti
perbenisti, bisognerebbe chiedere quale sia la differenza con la decisione di
lasciar morire d’inedia lenta e di disperazione chi il cibo non può comprarselo
perché gli si nega il diritto di acquisire un mezzo di sostentamento per acquistarlo.
Non parliamo
poi dei giovani e del gravissimo problema occupazionale che li affligge. Pur
prendendo atto che ad autorevole giudizio di Elsa Fornero la generazione
corrente e costituita da choosy ,
cioè esigenti fannulloni difficili da accontentare, il signor Monti ed il suo
sodalizio di geniali tecnocrati non si è fatto minimamente sfiorare dal dubbio
che la precarietà del lavoro è un cancro che si deve combattere con misure
straordinarie. In un Paese in cui l’obbligo scolastico e il miraggio di
un’occupazione meglio retribuita hanno creato eserciti di diplomati e di
laureati, comunque manodopera intellettuale ad alta qualificazione, non è
pensabile varare provvedimenti che, come antidoto allo sfruttamento, pongono solo
ridicoli divieti di novazione contrattuale o che escludono dai benefici della
stabilizzazione quanti, per lavorare, debbono essere iscritti ad un albo
professionale. Ciò ha significato truffare intere generazioni, poiché avvocati,
ingegneri, architetti, biologi, geometri, ragionieri, commercialisti,
giornalisti, medici potranno continuare ad essere precarizzati sine die, avendo per loro previsto la liceità
della procrastinazione dei contratti a termine.
Al contrario,
Renzi, che non a caso è uomo di elevato talento, prima abbocca alla panzana
montiana dell’effetto miracoloso dell’abolizione dell’articolo 18, poi
s’inventa la scemenza del Jobs Act e, in fine, dopo anni in cui una certa
Gelmini ha fatto strage d’insegnanti per tagliare i costi dell’istruzione e
trasferirne l’onere alla previdenza sotto forma di pensioni, sbalordisce il
mondo con il progetto della “buona scuola”, che in un colpo solo imbarca oltre
centomila nuovi insegnanti e disintegra migliaia di famiglie, spedendo madri ad
insegnare a mille chilometri dalla propria casa ed i rispettivi mariti ad altrettanti
chilometri in direzione opposta.
E così, lo
scontro tra i due pavoni continua tra triccheballacche e improbabili
rivendicazioni, non rendendosi conto entrambi di aver abbondantemente percorso
il viale del tramonto e della credibilità. In questo duello inutile c’è da
sperare, in ogni caso, che entrambi mettano a segno la stoccata decisiva, così,
come avviene per tutti i personaggi che scompaiono definitivamente dalla scena,
anche loro forse nella memoria degli ignari potranno passare per eroi.
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