Carne di porco
L’Ilva
di Taranto inaugura l’autunno delle lotte sindacali – Sciopero con
partecipazione massiccia in tutte le azienda del gruppo contro il tentativo di
stravolgere le retribuzioni dei dipendenti – La nuova proprietà si appella al
Jobs Act per tagliare i salari del 30/40% - Dichiarato un esubero di 4000
unità.
Martedì, 10 ottobre 2017
Un altro nodo è venuto al
pettine. Ed è un nodo molto difficile da sciogliere in quanto intricatissimo di
passaggi e complicato dall’assenza di chiare istruzioni per districarlo.
Certo è che il disastro epocale
determinato dal Jobs Act di Matteo Renzi e dalla sua squadra emerge con la
questione Ilva in tutta la sua drammaticità ed è la prova evidente di quanto
scellerate siano state le scelte –cervellotiche nella migliore delle ipotesi,
subalterne agli interessi del capitalismo avido e di sfruttamento, in quella
peggiore – in tema di politica del lavoro.
Nella vicenda Ilva va altresì
sottolineato che i problemi si originano anche dall’insufficiente chiarezza dei
protocolli d’intesa sottoscritti al Ministero dello sviluppo economico tra la proprietà
dell’azienda siderurgica, al tempo commissariata, e la cordata Arcelor
Mittal-Marcegaglia, protocolli in base ai quali si ridefiniva la produzione
annua ed il costo sostenibile per addetto a tempo pieno.
Secondo le dichiarazioni di Calenda la nuova proprietà si sarebbe
impegnata al mantenimento dell’occupazione per 10.000 unità tra Taranto e
Genova e a sostenere un costo del lavoro per addetto pari a 50mila euro per il
2018, in linea con il costo attuale, e di 52mila euro nel 2021. Al contrario
una nota del Arcelor Mittal precisa che l’intesa sull’acquisizione avrebbe
recitato «non vi sarà
continuità rispetto al rapporto di lavoro intrattenuto dai dipendenti con le
società, neanche in relazione al trattamento economico e all’anzianità,»
pur sottolineando la disponibilità «a
prendere in considerazione ulteriori elementi di natura retributiva riferibili
ad elementi costituenti l’attuale retribuzione a condizione che sia preservata
la sostenibilità del Piano industriale », recentemente approvato con un
decreto della Presidenza del consiglio.
In buona sostanza, dopo la
riduzione di 4000 dipendenti e con un ricorso agli strumenti del Jobs Act, tutto
il personale sarebbe licenziato e riassunto a mutate condizioni economiche e
contrattuali. L’Ilva sarebbe così a detta di Arcelor Mittal in grado di
affrontare in clima di maggiore sostenibilità il rilancio produttivo. In numeri
questa operazione sfrontatamente sostenuta dalla nuova proprietà a maggioranza
indiana implicherebbe un taglio delle attuali retribuzioni tra il 30 ed il 40%,
come se ci si trovasse a Mumbai o a Puna o a Madras.
Per contrastare questo disegno,
ieri i sindacati hanno dichiarato uno sciopero di tutte le unità produttive del
gruppo, a cui hanno aderito in massa le maestranze. Inoltre presso il Ministero
dello sviluppo economico si è aperto un tavolo di trattativa tra l’azienda ed i
rappresentanti dei lavoratori, al quale è intervenuto il ministro Calenda con
il compito di mediare la vertenza tra le parti e, nello stesso tempo, garantire
il rispetto delle intese sottoscritte al momento dell’acquisizione del gruppo
siderurgico da parte del gruppo industriale indiano.
L’incontro, in quest’ottica, s’è concluso rapidamente e con un
nulla di fatto, poiché, anche a detta di Calenda, la Arcelor Mittal,
rappresentata dalla finanziaria Am Investco cui fa capo, ha stravolto gli
impegni presi in fase di gara e confermati a luglio, in fase di contrattazione
esclusiva tra i commissari dell’Ilva e Am Investco medesima. Per questo il
titolare dello Sviluppo economico ha sbattuto la porta in faccia al management dei
futuri proprietari degli stabilimenti, e confermando le ragioni degli
scioperanti sulle questioni contrattuali e salariali, ha precisato che negli
incontri già avuti con i vertici della nuova proprietà «nelle precedenti settimane
parlando anche di salari, nulla era emerso sulle intenzioni di modificarne né il regime né la normativa contrattuale
ad oggi applicata».
In una parola, un pasticcio probabilmente dovuto alla forzatura messa in
atto dalla Arcelor Mittal, che denota come grazie al Jobs Act ed alla
approssimazione delle dichiarazioni d’intesa si va sempre più verso una realtà
in cui, come si suole dire con terminologia truce ma efficace, la classe
operaia e l’intera categoria dei dipendenti sarà sempre più carne di porco con
la quale ingrassare i padroni.
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