Ingiustizia è fatta
Vergognosa sentenza
della Consulta sulle perequazioni delle pensioni – La Corte Costituzionale
smentisce se stessa e dichiara legittimo il provvedimento Poletti-Renzi – Uno schiaffo
senza precedenti alla decina di tribunali che avevano sollevato i sospetti di
incostituzionalità delle una tantum in applicazione del dispositivo 70/2015 –
Un Paese in cui i diritti sono calpestati dall’opportunismo – Pensionati scippati
Giovedì, 26 ottobre 2017
All’ingiustizia nel paese del
diritto siamo ormai più che abituati, al punto che qualche anno fa un noto
giurista dichiarò in un aula di tribunale che nonostante legge e giustizia
siano parenti strettissimi chissà per quale ragione quando s’incontrano neanche
si salutano.
L’acuta constatazione è stata
confermata alcune ore or sono da una sbalorditiva sentenza della Corte
Costituzionale, che ha bocciato i ricorsi di numerosi tribunali e di sezioni
regionali della Corte dei Conti in materia di perequazione delle pensioni,
negate per effetto del decreto legge 65/2015 meglio noto come decreto Poletti e
rimesse all’esame di costituzionalità.
Tutto inizia nel marzo del 2015,
quando la Consulta è chiamata a pronunciarsi in merito al provvedimento Fornero
sul blocco dell’incremento annuo delle pensioni in ragione della variazione
dell’indice del costo della vita. La Consulta non ha dubbi e stabilisce con la
sentenza n. 70 che i provvedimenti di blocco o cancellazione dell’adeguamento
annuo ledono il disposto degli articoli 36 e 38 della Costituzione e pertanto le
norme di legge varate dal governo Monti, quantunque motivate dall’esigenza di
comprimere la spesa pubblica, sono da ritenersi illegittime ab origine e dunque il meccanismo di
perequazione va ripristinato.
Naturalmente la sentenza illustra
con dovizia di motivazioni le ragioni d’incostituzionalità delle norme in
questione, chiarendo che l’assegno di pensione costituisce retribuzione
differita, cioè direttamente connessa al trascorso rapporto di lavoro nel corso
del quale è maturato, con la variante che mentre il salario e lo stipendio sono
soggetti a variazioni in aumento nel corso del tempo l’assegno pensionistico,
senza un adeguamento al costo della vita, finirebbe per peggiorare le
condizioni economiche del percettore. Quindi, in tutta evidenza la perequazione
assolve il compito di tutelare nel tempo il potere d’acquisto della pensione medesima.
A questa sentenza chiara e
ineludibile il governo di Matteo Renzi, per brillante ingegno del suo ministro
del lavoro, Giuliano Poletti, s’inventa un meccanismo per rendere il maltolto a
milioni di pensionati, che consiste in una ridicola una tantum, graduata d’importo
tra 278 e 750 euro, da erogare ai percettori di pensioni sino a 3200 euro,
mentre non un solo centesimo viene erogato a coloro che percepiscono un assegno
superiore al limite arbitrariamente fissato. Il risultato di questa cervellotica
trovata è di scontentare tutti i pensionati, in particolare i circa 6 milioni
di percettori di pensione che, superando il limite dei 3200 euro mensili, non
ricevono neanche un misero centesimo di risarcimento.
Com’era facilmente prevedibile, da
quel momento s’apre una nuova guerra delle carte bollate, con ricorsi in decine
di tribunali nei quali si sottolinea la palese illegittimità costituzionale del
decreto Poletti.
La guerra si conclude il 24
ottobre, con una decisione della Corte Costituzionale a dir poco incredibile,
con la quale, smentendo largamente se stessa, si riconosce piena legittimità al
decreto Poletti e si rigettano come infondate le istanze dei numerosi tribunali
che alla Consulta avevano rimesso gli atti dei processi instaurati. E fin qui
non ci sarebbe nulla di strano, poiché l’accoglimento o il rigetto di un’istanza
di sospetta illegittimità costituzionale di un provvedimento rientra nelle
prerogative della Consulta, cui spetta l’esclusivo compito di garante della
corrispondenza delle leggi alla Carta costituzionale. La stranezza e la
discutibilità del provvedimento di rigetto in questione risiede nell’altissimo
numero di tribunali che hanno sollevato i dubi di costituzionalità del decreto
Poletti, numero talmente elevato da ingenerare il sospetto che la Consulta,
venendo meno ai suoi principi d’indipendenza dalla politica e di fedeltà
assoluta a quelli giuridici, abbia rilasciato un giudizio privo della dovuta
serenità ed inquinato da valutazioni che nulla hanno a che vedere con la tutela
suprema della legge e della giustizia.
Se così non fosse, d’altra parte,
sarebbe legittimo sospettare che il nostro sistema giudiziario ordinario sia
affidato ad un orda d’incompetenti incapaci di valutare la correttezza
costituzionale delle norme chiamata ad applicare e che per questa incapacità
preferiscono rimettere il parere di adeguatezza normativa ad un ente terzo
anziché responsabilmente assumersi l’onere di decisioni coerenti con le norme
in essere.
In ogni caso, alla luce della
decisione di questa Corte Costituzionale, non v’è dubbio che la sentenza abbia
assestato un poderoso colpo di maglio alle legittime speranze di giustizia di
milioni di pensionati, che in nome di un populismo becero e volgare sono ormai
considerati alla stregua di un bancomat dal quale attingere impunemente per
risolvere i problemi di insufficienti fondi di approvvigionamento per la
gestione di bislacche esigenze di finanza pubblica. E che il mondo delle
pensioni sia divenuto quello in cui compiere le più meschine scorribande è
pensiero consolidato, dato che i pensionati sono additati alla pubblica
opinione come la rovina delle nuove generazioni, i percettori di assegni
principeschi e indebiti, i ladri del futuro dei loro figli, mondo nel quale è
dunque lecito operare gli espropri più vili e delinquenziali, con la copertura
delle istituzioni.
Non è al momento possibile
immaginare cosa succederà con il deposito e la pubblicazione delle motivazioni
della sentenza della Consulta, visto che i promotori dell’azione giudiziale
contro il decreto Poletti avevano già preannunciato che una decisione contraria
alle proprie istanze da parte della Corte non avrebbe potuto escludere un
ricorso alla tribunale di Strasburgo. Certo è che questa sortita sentenza ha
definitivamente rotto il rapporto fiduciario con quell’istituzione ritenuta da
sempre il baluardo alla giustizia per i cittadini ed all’equità delle leggi
dello stato.
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