giovedì, ottobre 26, 2017

Ingiustizia è fatta



Vergognosa sentenza della Consulta sulle perequazioni delle pensioni – La Corte Costituzionale smentisce se stessa e dichiara legittimo il provvedimento Poletti-Renzi – Uno schiaffo senza precedenti alla decina di tribunali che avevano sollevato i sospetti di incostituzionalità delle una tantum in applicazione del dispositivo 70/2015 – Un Paese in cui i diritti sono calpestati dall’opportunismo – Pensionati scippati

Giovedì, 26 ottobre 2017
All’ingiustizia nel paese del diritto siamo ormai più che abituati, al punto che qualche anno fa un noto giurista dichiarò in un aula di tribunale che nonostante legge e giustizia siano parenti strettissimi chissà per quale ragione quando s’incontrano neanche si salutano.
L’acuta constatazione è stata confermata alcune ore or sono da una sbalorditiva sentenza della Corte Costituzionale, che ha bocciato i ricorsi di numerosi tribunali e di sezioni regionali della Corte dei Conti in materia di perequazione delle pensioni, negate per effetto del decreto legge 65/2015 meglio noto come decreto Poletti e rimesse all’esame di costituzionalità.
Tutto inizia nel marzo del 2015, quando la Consulta è chiamata a pronunciarsi in merito al provvedimento Fornero sul blocco dell’incremento annuo delle pensioni in ragione della variazione dell’indice del costo della vita. La Consulta non ha dubbi e stabilisce con la sentenza n. 70 che i provvedimenti di blocco o cancellazione dell’adeguamento annuo ledono il disposto degli articoli 36 e 38 della Costituzione e pertanto le norme di legge varate dal governo Monti, quantunque motivate dall’esigenza di comprimere la spesa pubblica, sono da ritenersi illegittime ab origine e dunque il meccanismo di perequazione va ripristinato.
Naturalmente la sentenza illustra con dovizia di motivazioni le ragioni d’incostituzionalità delle norme in questione, chiarendo che l’assegno di pensione costituisce retribuzione differita, cioè direttamente connessa al trascorso rapporto di lavoro nel corso del quale è maturato, con la variante che mentre il salario e lo stipendio sono soggetti a variazioni in aumento nel corso del tempo l’assegno pensionistico, senza un adeguamento al costo della vita, finirebbe per peggiorare le condizioni economiche del percettore. Quindi, in tutta evidenza la perequazione assolve il compito di tutelare nel tempo il potere d’acquisto della pensione medesima.
A questa sentenza chiara e ineludibile il governo di Matteo Renzi, per brillante ingegno del suo ministro del lavoro, Giuliano Poletti, s’inventa un meccanismo per rendere il maltolto a milioni di pensionati, che consiste in una ridicola una tantum, graduata d’importo tra 278 e 750 euro, da erogare ai percettori di pensioni sino a 3200 euro, mentre non un solo centesimo viene erogato a coloro che percepiscono un assegno superiore al limite arbitrariamente fissato. Il risultato di questa cervellotica trovata è di scontentare tutti i pensionati, in particolare i circa 6 milioni di percettori di pensione che, superando il limite dei 3200 euro mensili, non ricevono neanche un misero centesimo di risarcimento.
Com’era facilmente prevedibile, da quel momento s’apre una nuova guerra delle carte bollate, con ricorsi in decine di tribunali nei quali si sottolinea la palese illegittimità costituzionale del decreto Poletti.
La guerra si conclude il 24 ottobre, con una decisione della Corte Costituzionale a dir poco incredibile, con la quale, smentendo largamente se stessa, si riconosce piena legittimità al decreto Poletti e si rigettano come infondate le istanze dei numerosi tribunali che alla Consulta avevano rimesso gli atti dei processi instaurati. E fin qui non ci sarebbe nulla di strano, poiché l’accoglimento o il rigetto di un’istanza di sospetta illegittimità costituzionale di un provvedimento rientra nelle prerogative della Consulta, cui spetta l’esclusivo compito di garante della corrispondenza delle leggi alla Carta costituzionale. La stranezza e la discutibilità del provvedimento di rigetto in questione risiede nell’altissimo numero di tribunali che hanno sollevato i dubi di costituzionalità del decreto Poletti, numero talmente elevato da ingenerare il sospetto che la Consulta, venendo meno ai suoi principi d’indipendenza dalla politica e di fedeltà assoluta a quelli giuridici, abbia rilasciato un giudizio privo della dovuta serenità ed inquinato da valutazioni che nulla hanno a che vedere con la tutela suprema della legge e della giustizia.
Se così non fosse, d’altra parte, sarebbe legittimo sospettare che il nostro sistema giudiziario ordinario sia affidato ad un orda d’incompetenti incapaci di valutare la correttezza costituzionale delle norme chiamata ad applicare e che per questa incapacità preferiscono rimettere il parere di adeguatezza normativa ad un ente terzo anziché responsabilmente assumersi l’onere di decisioni coerenti con le norme in essere.
In ogni caso, alla luce della decisione di questa Corte Costituzionale, non v’è dubbio che la sentenza abbia assestato un poderoso colpo di maglio alle legittime speranze di giustizia di milioni di pensionati, che in nome di un populismo becero e volgare sono ormai considerati alla stregua di un bancomat dal quale attingere impunemente per risolvere i problemi di insufficienti fondi di approvvigionamento per la gestione di bislacche esigenze di finanza pubblica. E che il mondo delle pensioni sia divenuto quello in cui compiere le più meschine scorribande è pensiero consolidato, dato che i pensionati sono additati alla pubblica opinione come la rovina delle nuove generazioni, i percettori di assegni principeschi e indebiti, i ladri del futuro dei loro figli, mondo nel quale è dunque lecito operare gli espropri più vili e delinquenziali, con la copertura delle istituzioni.
Non è al momento possibile immaginare cosa succederà con il deposito e la pubblicazione delle motivazioni della sentenza della Consulta, visto che i promotori dell’azione giudiziale contro il decreto Poletti avevano già preannunciato che una decisione contraria alle proprie istanze da parte della Corte non avrebbe potuto escludere un ricorso alla tribunale di Strasburgo. Certo è che questa sortita sentenza ha definitivamente rotto il rapporto fiduciario con quell’istituzione ritenuta da sempre il baluardo alla giustizia per i cittadini ed all’equità delle leggi dello stato.
 

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