La repubblica dei bonus
Arriva in parlamento la manovra finanziaria 2018, che quest’anno
ingloba la cosiddetta mille proroghe – Orgia di bonus in piena tradizione
renziana – Un’operazione da Superciuk: toglie ai poveri per dare ai ricchi – Le
solite regalie alle imprese in cambio di impegni che non manterranno
Giovedì, 2 novembre 2017
E chi non ricorda la grande Mina con Alberto Lupo cantare Parole, Parole? C’era una passaggio in
cui la Tigre di Cremona alle promesse di Lupo rispondeva “caramelle non ne voglio più”, ma non perché disdegnasse i bonbon,
quanto per l’inaffidabilità di chi quelle promesse le proferiva.
Così se si guarda alla manovra di Gentiloni e Padoan sembrano
ripetersi quel duetto e quelle promesse, con tante caramelle più virtuali che
concrete, ma che servono da esca ai tanti elettori gonzi che andando a votare
all’inizio del nuovo anno si sentiranno motivati a mettere la croce sotto al
nome di qualche mandarino scelto tra i propri lacchè e imposto in lista da quel
filantropo di Matteo Renzi e dai rispettivi boss di partito.
Tra l’altro la manovra, nota in passato con il nome di mille proroghe,
ma che sarebbe ormai il caso di riclassificare in mille bonus, è già partita
alla grande con i settanta articoli iniziali divenuti 120 a pochi minuti dal
suo approdo in aula, visto che con l’imminenza dello scioglimento delle camere
una vera e propria mille proroghe non ci sarà e, dunque, bisognava infarcire di
mance, prebende, regalie e cotillon la manovra medesima, in modo da poter contentare
ciascuno la propria fetta d’elettorato.
Peccato che i tanti bonus previsti non siano il frutto di soldi
freschi, ma provengono come in passato dai tagli chirurgici effettuati ai danni
di altre voci di spesa. E si badi, non di spese inutili o di vere e proprie
ruberie istituzionali come i trattamenti autoreferenziali della casta, ma di
tagli alla sanità principalmente che la Corte dei Conti ha stimato in circa
10,5 miliardi complessivi nel periodo 2015/2018, che penalizzeranno ancora una
volta i contratti e le convenzioni ormai fermi da ben otto anni e che,
finalmente, vedono al livello della Grecia la nostra spesa pubblica per la sanità.
Ma la penalizzazione di una categoria o di un settore dell’economia è
cosa irrilevante rispetto al clamore che genera l’elargizione dei soliti 80
euro, confermati anche per il prossimo anno a beneficio delle retribuzioni non
superiori a 26.800 euro annui. Poco importa che questa mancetta costerà ai
percettori magari due o tre volte tanto in aumento di ticket o in riduzioni
delle coperture mediche o nel degrado delle struttura sanitarie. Vale sempre il
principio che le malattie vengono agli altri e non a noi, per cui un chi se ne
frega è d’obbligo. Parimenti, mentre vengono confermati i 500 euro per la
cultura ai diciottenni, l’esclusione dagli ottanta euro è stabilizzata per i
cosiddetti incapienti, cioè per coloro che guadagnano da un lavoro precario o
da quasi schiavi cifre da morti-di-fame e che, forse per agevolarne il rapido
decesso da inedia, il bonus continueranno a non averlo.
In compenso informa il fatto
quotidiano tirano un sospiro di sollievo «le società d’intermediazione finanziaria, che vengono graziate dall’addizionale
IRES, le Pmi che intendono quotarsi in borsa, gli avvocati, gli allevatori di
bovini e suini, i giardinieri» – noti per il rilascio di documentazione
fiscale ogni qual volta recidono un filo d’erba nel giardino dei loro clienti,
- «le povere società calcistiche
professionistiche e dilettanti» – altrettanto note per mettere in seria
difficoltà economica i calciatori, gli allenatori e le loro rispettive famiglie
con retribuzioni terzomondiste, - «gli
scavatori di pozzi» (sic!),
rappresentanti di una categoria lavoratrice diffusissima nel nostro
sconcertante paese.
Altra categoria di baciati dalla fortuna sono i pendolari condannati
all’uso dei mezzi pubblici, che potranno beneficiare del 19% di abbattimento
dell’imposizione sul reddito per una spesa per abbonamento non superiore a 250
euro. Di migliorare il servizio, la puntualità di treni, autobus e tram non se
ne parla neanche, anche perché in questo caso s’invaderebbe l’area d’intervento
di comuni e regioni e in quel caso fare promesse equivarrebbe ad un vero e
proprio sfottò.
Ma la panoramica della regalistica non s’esaurisce così, solo che
dalle persone fisiche si passa alle aziende, per le quali viene confermato lo
sgravio triennale per un massimo di 3.000 euro all’anno per le assunzioni a
tempo indeterminato con il Jobs Act: ovviamente poco importa che nella passata
edizione il meccanismo si sia rivelato un mezzo flop. Più ricchi gli incentivi
agli investimenti ed all’innovazione sotto forma di ammortamento, pari al 140%
del valore del bene nel caso d’investimento e al 250% in caso d’innovazione. Rimangono,
pur se ridotti al 50%, gli incentivi alle ristrutturazioni e i bonus energia.
Come si può vedere una straordinaria abbuffata di variopinte promesse,
che come in passato sarà estremamente complicato tradurre in benefici
effettivi, in considerazione di iter burocratici molto spesso assai laboriosi.
Né mancano già all’esordio le contestazioni. Alternativa Popolare ha già fatto
sapere che deve essere riconfermato il bonus bebè e dovrà essere introdotta
nella manovra qualche misura a sostegno delle famiglie, area d’intervento
sociale che pare dimenticata nel provvedimento. Mdp ha già notificato il
proprio voto contrario alla manovra, non condividendo il rinnovato provvedimento
di rottamazione delle cartelle esattoriali, che giudica una sorta di condono
mascherato, mentre non è ancora esplicita la richiesta di modifica o gli
emendamenti che saranno presentati dalle destre di Forza Italia, Lega e
Fratelli d’Italia, che non s’esclude possano presentarsi all’incasso del ticket
staccato in occasione della fiducia accordata sulla legge elettorale.
Stranamente e forse per evitare nuove grane con la categoria, nella
manovra non si parla né di pensioni né di pensionati, sebbene sia da scartare l’ipotesi
che certi avidi furbetti, a cominciare da Boeri, abbiano rinunciato alla logica
del bancomat con la quale hanno gestito la disgraziata categoria. Per costoro,
come per gli incapienti, non è prevista alcuna provvidenza, anzi nei loro
riguardi il desiderio malcelato che passino a miglior vita il più presto
possibile è sempre vivo negli auspici sia della politica che dell’INPS. Nessuna
misura è prevista per l’adeguamento delle pensioni minime, né per il blocco
dell’innalzamento dell’età pensionabile in ragione dell’aumento delle
aspettative di vita. Eppure è grazie ai pensionati ed alla loro sovente
partecipazione con il loro reddito al sostentamento dei nuclei familiari d’appartenenza
che con ogni probabilità ad oggi si sono evitati conflitti sociali dai risvolti
imponderabili, ma che così continuando non può escludersi possano presto o
tardi sfociare in tragici epiloghi. Ciononostante l’incommensurabile sfacciataggine
della politica ha l’impudico coraggio di chiedere a questa gente un rinnovato
voto di fiducia alla prossime elezioni.
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