giovedì, novembre 02, 2017

La repubblica dei bonus



Arriva in parlamento la manovra finanziaria 2018, che quest’anno ingloba la cosiddetta mille proroghe – Orgia di bonus in piena tradizione renziana – Un’operazione da Superciuk: toglie ai poveri per dare ai ricchi – Le solite regalie alle imprese in cambio di impegni che non manterranno

Giovedì, 2 novembre 2017
E chi non ricorda la grande Mina con Alberto Lupo cantare Parole, Parole? C’era una passaggio in cui la Tigre di Cremona alle promesse di Lupo rispondeva “caramelle non ne voglio più”, ma non perché disdegnasse i bonbon, quanto per l’inaffidabilità di chi quelle promesse le proferiva.
Così se si guarda alla manovra di Gentiloni e Padoan sembrano ripetersi quel duetto e quelle promesse, con tante caramelle più virtuali che concrete, ma che servono da esca ai tanti elettori gonzi che andando a votare all’inizio del nuovo anno si sentiranno motivati a mettere la croce sotto al nome di qualche mandarino scelto tra i propri lacchè e imposto in lista da quel filantropo di Matteo Renzi e dai rispettivi boss di partito.
Tra l’altro la manovra, nota in passato con il nome di mille proroghe, ma che sarebbe ormai il caso di riclassificare in mille bonus, è già partita alla grande con i settanta articoli iniziali divenuti 120 a pochi minuti dal suo approdo in aula, visto che con l’imminenza dello scioglimento delle camere una vera e propria mille proroghe non ci sarà e, dunque, bisognava infarcire di mance, prebende, regalie e cotillon la manovra medesima, in modo da poter contentare ciascuno la propria fetta d’elettorato.
Peccato che i tanti bonus previsti non siano il frutto di soldi freschi, ma provengono come in passato dai tagli chirurgici effettuati ai danni di altre voci di spesa. E si badi, non di spese inutili o di vere e proprie ruberie istituzionali come i trattamenti autoreferenziali della casta, ma di tagli alla sanità principalmente che la Corte dei Conti ha stimato in circa 10,5 miliardi complessivi nel periodo 2015/2018, che penalizzeranno ancora una volta i contratti e le convenzioni ormai fermi da ben otto anni e che, finalmente, vedono al livello della Grecia la nostra spesa pubblica per la sanità.
Ma la penalizzazione di una categoria o di un settore dell’economia è cosa irrilevante rispetto al clamore che genera l’elargizione dei soliti 80 euro, confermati anche per il prossimo anno a beneficio delle retribuzioni non superiori a 26.800 euro annui. Poco importa che questa mancetta costerà ai percettori magari due o tre volte tanto in aumento di ticket o in riduzioni delle coperture mediche o nel degrado delle struttura sanitarie. Vale sempre il principio che le malattie vengono agli altri e non a noi, per cui un chi se ne frega è d’obbligo. Parimenti, mentre vengono confermati i 500 euro per la cultura ai diciottenni, l’esclusione dagli ottanta euro è stabilizzata per i cosiddetti incapienti, cioè per coloro che guadagnano da un lavoro precario o da quasi schiavi cifre da morti-di-fame e che, forse per agevolarne il rapido decesso da inedia, il bonus continueranno a non averlo.  
In compenso informa il fatto quotidiano tirano un sospiro di sollievo «le società d’intermediazione finanziaria, che vengono graziate dall’addizionale IRES, le Pmi che intendono quotarsi in borsa, gli avvocati, gli allevatori di bovini e suini, i giardinieri» – noti per il rilascio di documentazione fiscale ogni qual volta recidono un filo d’erba nel giardino dei loro clienti, - «le povere società calcistiche professionistiche e dilettanti» – altrettanto note per mettere in seria difficoltà economica i calciatori, gli allenatori e le loro rispettive famiglie con retribuzioni terzomondiste, - «gli scavatori di pozzi» (sic!), rappresentanti di una categoria lavoratrice diffusissima nel nostro sconcertante paese.
Altra categoria di baciati dalla fortuna sono i pendolari condannati all’uso dei mezzi pubblici, che potranno beneficiare del 19% di abbattimento dell’imposizione sul reddito per una spesa per abbonamento non superiore a 250 euro. Di migliorare il servizio, la puntualità di treni, autobus e tram non se ne parla neanche, anche perché in questo caso s’invaderebbe l’area d’intervento di comuni e regioni e in quel caso fare promesse equivarrebbe ad un vero e proprio sfottò.
Ma la panoramica della regalistica non s’esaurisce così, solo che dalle persone fisiche si passa alle aziende, per le quali viene confermato lo sgravio triennale per un massimo di 3.000 euro all’anno per le assunzioni a tempo indeterminato con il Jobs Act: ovviamente poco importa che nella passata edizione il meccanismo si sia rivelato un mezzo flop. Più ricchi gli incentivi agli investimenti ed all’innovazione sotto forma di ammortamento, pari al 140% del valore del bene nel caso d’investimento e al 250% in caso d’innovazione. Rimangono, pur se ridotti al 50%, gli incentivi alle ristrutturazioni e i bonus energia.
Come si può vedere una straordinaria abbuffata di variopinte promesse, che come in passato sarà estremamente complicato tradurre in benefici effettivi, in considerazione di iter burocratici molto spesso assai laboriosi. Né mancano già all’esordio le contestazioni. Alternativa Popolare ha già fatto sapere che deve essere riconfermato il bonus bebè e dovrà essere introdotta nella manovra qualche misura a sostegno delle famiglie, area d’intervento sociale che pare dimenticata nel provvedimento. Mdp ha già notificato il proprio voto contrario alla manovra, non condividendo il rinnovato provvedimento di rottamazione delle cartelle esattoriali, che giudica una sorta di condono mascherato, mentre non è ancora esplicita la richiesta di modifica o gli emendamenti che saranno presentati dalle destre di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, che non s’esclude possano presentarsi all’incasso del ticket staccato in occasione della fiducia accordata sulla legge elettorale.
Stranamente e forse per evitare nuove grane con la categoria, nella manovra non si parla né di pensioni né di pensionati, sebbene sia da scartare l’ipotesi che certi avidi furbetti, a cominciare da Boeri, abbiano rinunciato alla logica del bancomat con la quale hanno gestito la disgraziata categoria. Per costoro, come per gli incapienti, non è prevista alcuna provvidenza, anzi nei loro riguardi il desiderio malcelato che passino a miglior vita il più presto possibile è sempre vivo negli auspici sia della politica che dell’INPS. Nessuna misura è prevista per l’adeguamento delle pensioni minime, né per il blocco dell’innalzamento dell’età pensionabile in ragione dell’aumento delle aspettative di vita. Eppure è grazie ai pensionati ed alla loro sovente partecipazione con il loro reddito al sostentamento dei nuclei familiari d’appartenenza che con ogni probabilità ad oggi si sono evitati conflitti sociali dai risvolti imponderabili, ma che così continuando non può escludersi possano presto o tardi sfociare in tragici epiloghi. Ciononostante l’incommensurabile sfacciataggine della politica ha l’impudico coraggio di chiedere a questa gente un rinnovato voto di fiducia alla prossime elezioni.
 

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