domenica, dicembre 31, 2017

Il festival dei venditori di fumo



La campagna elettorale è partita – Giornali e tv invase da venditori di fumo e da ciarlatani che promettono cose surreali – E’ la fiera della bufala e del pacco – Ognuno la spara grossa nella speranza di calamitare il voto degli sprovveduti – Ma il rischio è la crescita dell’astensione


Domenica, 31 dicembre 2017
Venghino siori, venghino” è la grida più abusata in questo warm-up di campagna elettorale. La grida seguita da promesse di programmi di governo mirabolanti con le quali accalappiare citrulli, gonzi, grulli, stupidi e scemotti e qualche pentito del non-voto.
Eppure «è normale che in campagna elettorale ogni partito sia spinto ad esasperare il proprio profilo e a ingigantire i propri programmi», segnala Claudio Tito sulle pagine de La Repubblica. Anzi «in questa fase il mercato della propaganda viene fisiologicamente dopato. Portato a radicalizzare le proposte e ad esasperare le differenze. Ma questa volta il campo del confronto sta assumendo dei tratti affatto diversi. Lo scontro si sta trasfigurando e sta diventando una corsa cieca al colpo ad effetto. Le forze politiche si stanno trasformando in veri e propri partiti dell’irrealtà».
Quest’istantanea della campagna elettorale appena cominciata ben descrive il clima clownistico in cui si sono calati vecchi e nuovi ciarlatani, imbonitori e affabulatori più o meno professionali per cercare di spostare qualche zero virgola d’elettorato a proprio favore, convinti oramai che l’antipolitica va combattuta con le luci psichedeliche, le promesse surreali, la droga verbale che ottunde i cervelli e rende credibile un Renzi che promette attenzione ai problemi dei lavoratori, - dopo avergli tolto l’art. 18, chissà cos’altro trama, - Berlusconi al capezzale dei poveri in canna, - vista l’età c’è da credere che parli di capezzale e non d’altro, - Di Maio nel bancomat di chi non ha né un lavoro né il becco d’un quattrino, ma va in giro con il pedigree italico attaccato al collo. Né nel festival della boutade poteva mancare il buon Salvini, che, nei panni di novello Charles Bronson, promette una profonda pulizia etnica della Penisola: sembra che in via Bellerio a Milano, sede della Lega, sia in corso la stampa di migliaia di fogli di via in bianco, pronti per rimpatriare gli immigrati che negli ultimi cinque o sei lustri si sono insediati sul sacro suolo patrio. Nello stesso tempo ha promesso di nazionalizzare la Beretta, affinché lo stato possa distribuire a tutti i cittadini un revolver da utilizzare per legittima difesa.
Ma le grida non s’esauriscono qui, essendo quelle appena dette solo le principali balle spaziali bandite per strade e piazze. L’indomabile Renzi insiste per una nuova regalia oppiacea da ottanta euro, sebbene non abbia ancora chiaro a chi devolverli. La scuola di psichiatria italiana sta studiando quale sindrome si nasconda dietro quel numero magico, a nominare il quale il segretario del PD immediatamente si trasforma in una sorta di slot machine e inizia a vomitare banconote da venti euro.
Berlusconi, il vecchio reprobo al capezzale dei poveri in canna, annuncia il ritocco a mille euro delle pensioni minime e non solo di quelle, giusto per non discriminare, l’abolizione della tassa di proprietà sull’auto e – meraviglia delle meraviglie! – un reddito di dignità d’importo non precisato ma garantito ad ogni cittadino e il taglio delle tasse attraverso l’introduzione della flat tax. Interrogato su quest’ultima proposta, ha candidamente ammesso di aver ultimamente letto un trattato di economia del nobel Milton Friedman, di cui però rimangono seri dubbi su ciò che ha capito.
Di Maio alla promessa di un reddito di cittadinanza ha aggiunto la cancellazione della legge Fornero sulle pensioni, secondo lui superabile grazie al taglio delle pensioni d’oro e alla redistribuzione di quest’avanzo: ad Avellino, dov’è nato, giurano d’averlo visto circolare truccato da Robin Hood, con tanto di balestra in mano, intento a minacciare se non avesse posato il malloppo un anziano medico in pensione.
Ma il più prolifico rimane Salvini, i cui atout sono il salario minimo, l’abolizione della legge Fornero, corredata da esilio per la professoressa, e l’uscita dall’euro o dall’UE, qualora Bruxelles avesse da ridire sulle decisioni del suo governo.
Come si vede, siamo alla follia più sfrenata, visto che nessuno dei comprovati statisti ha fatto menzione delle fonti cui attingere le risorse necessarie per la realizzazione dei rispettivi programmi. Né parliamo di bruscolini, dato che per il solo reddito di cittadinanza, o di dignità che dir si voglia, occorrerebbero almeno dodici miliardi di euro, senza contare i miliardi necessari per aumentare le pensioni minime o sopprimere il bollo auto in presenza di una flat tax che limerebbe significativamente le entrate pubbliche.
Davanti a questa apoteosi del populismo e della demagogia c’è da chiedersi quali siano le speranze per l’Italia di ritrovarsi con un parlamento lungi dalle illusioni surreali. I partiti dovrebbero rappresentare l’élite dell’intelligenza del paese, del realismo e della moderazione, mentre alla stregua di ciò che stiamo vivendo stanno rivelandosi l’innesco per la deflagrazione della delusione e della rabbia, rabbia e delusione che possono facilmente condurre ad un ulteriore allontanamento dal voto a causa dell’infima credibilità della stessa politica.
Nel quadro allucinante di chimere svendute come fondi di magazzino, bisognerebbe credere che i cittadini siano in larga maggioranza sprovveduti boccaloni, a cui è lecito somministrare qualunque idiota baggianata per averli in pugno. Certo, è innegabile che in buona misura questi soggetti ammorbino effettivamente la nostra realtà e correranno a dare il loro voto a questi banditori della politica, così come lo faranno quanti molto furbescamente avranno valutato che è con i governi dei cialtroni che si possono materializzare tante opportunità, illecite, amorali, ma comunque opportunità.
La campagna elettorale è comunque appena cominciata ed è lunga. Chissà a quanti colpi di scena dovremo ancora assistere, anche se c’è da augurarsi che siano di scena e non di scema.

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