Il futuro del PD e il fantasma di Banca Etruria
Continuano i lavori
della Commissione parlamentare sulle banche – La Boschi sempre più stretta
nella rete dei sospetti – La minoranza PD teme le conseguenze di una ricandidatura
di Maria Elena – Le destre nella guerra interna per la leadership – Il M5S non
riesce ad avvantaggiarsi dalla situazione confusa.
Venerdì, 22 dicembre 2017
C’è ancora qualche irriducibile illuso o un altrettanto indefesso
ciarlatano che continua a propagandare la vittoria del PD e di Matteo Renzi
alla prossime elezioni politiche. Il poveretto, scarso d’intelletto o in
malafede che sia, s’è talmente immedesimato nel ruolo del promoter al punto da
non rendersi conto che i suoi giudizi trionfali sulle dichiarazioni di Matteo e
dei suoi servetti più che a parole somigliano al fastidioso stridore di unghie
su uno specchio, sul quale notoriamente è arduo arrampicarsi. Inconsapevole,
forse, si spinge poi scimmiottando il mitico pallone gonfiato di Rignano ad
ogni sorta d’invettiva nei confronti degli avversari, che apostrofa idioti o cerebrolesi
ad ogni dichiarazione che rilasciano, nel chiaro intento di sminuirne il valore
e il significato nella speranza di recuperare il terreno ormai perso.
Peccato che lo stesso Matteo – per una volta sopraffatto dal senso d’onestà
intellettuale – abbia mestamente ammesso che il suo partito negli ultimi sei
mesi s’è giocato alla roulette russa ben sette punti percentuali di gradimento
e che le speranze di per lui di tornare a Palazzo Chigi s’equivalgono a quelle
di passare per la cruna d’un ago per un cammello. Ovviamente, secondo il grande
statista, le colpe di questo naufragio non sono da imputare agli errori
marchiani conditi da spavalderia e arroganza da lui personalmente perpetrati
durante il suo governo: anche l’onestà intellettuale ha i suoi limiti. La débâcle
sarebbe piuttosto da ascrivere al fatto che il PD è al governo, e il potere
logora chi lo esercita, e al fragore, assecondato dalla stampa, sulle vicende
che vedono coinvolta quel raro esempio di rettitudine di Maria Elena Boschi, infangata
da storielline di banche e banchieri, di cui, è pronto a giurare, non s’è mai
occupata.
Poco importa che parecchi dei convocati dalla Commissione parlamentare
sulle banche, da Vincenzo Consoli ex amministratore delegato di Veneto Banca o
il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, a Ignazio Visco abbiano in buona
misura confermato l’inopportuno interessamento della Boschi al destino di Banca
Etruria, che com’è noto garantiva la pagnotta al babbo ed al fratello della
Boschi. Vero è che nessuno di questi ha confermato d’aver subito pressioni
dalla Boschi, ma un ministro che chiede lumi sul destino della banca che sorge
dietro l’angolo di casa sua e nella quale, solo per caso, lavorano suoi parenti
qualche sospetto deve pur ammettere si sia ingenerato. Il presidente della
Commissione, Pier Ferdinando Casini, mai dimentico delle sue origini
catto-democristiane s’è subito premurato di dichiarare che allo stato delle
audizioni si sente di escludere qualunque elemento di colpevolezza di Maria
Elena Boschi. Il che evidenzia la cavalleria e la signorilità che lo
contraddistingue. Peccato che queste invidiabili qualità stridano con quanto
aveva affermato qualche giorno prima a proposito del ruolo della Commissione,
che ha potere inquirente alla stregua di un qualunque tribunale della
repubblica. Pertanto le sue encomiabili parole fanno sorgere spontanea la
domanda su quali strali o provvedimenti del CSM scatterebbero ai danni di un
qualunque presidente di tribunale se, in corso di processo, si lasciasse
candidamente andare nel rilasciare frasi pienamente assolutorie nei confronti
dell’imputato, influenzando, se non addirittura anticipando, la sentenza dei
giurati. Se poi l’ex amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni,
ha da una parte scagionato la Boschi ma dall’altra ha tirato fuori una mail di
Marco Carrai, - amico stretto di Matteo Renzi e insieme con Maria Elena membro
del giglio magico dei cui consigli si avvale il segretario del PD,- che gli sollecitava in nome e per conto di un
non meglio identificato cliente una rapida soluzione dell’affaire Etruria, le anticipazioni di Casini si rivelano assai
avventate e prive di fondamento logico.
Ma l’Italia va così, le leggi si adattano come i vestiti in sartoria
al fisico di chi li porta e, dunque, un parlamentare, sebbene nelle vesti di magistrato
per un giorno, può dire quel che gli pare senza pagare pegno.
Da questa ambigua vicenda, che quella faccia di bronzo di Renato Brunetta,
membro della Commissione e parlamentare di FI, non ha esitato a bollare di
conflitto d’interessi, – lui se ne intende, avendo fatto lo slalomista tra i
mille di Silvio Berlusconi, – il PD ne esce comunque con le ossa rotte, al
punto che le minoranze del partito, il ministro Guardasigilli Andrea Orlando in
testa, hanno lasciato intendere che una difesa ad oltranza della compagna Maria
Elena ed una sua ricandidatura suonerebbero il de profundis per il partito. «Ognuno di noi deve valutare il contributo che può dare alla campagna elettorale», ha detto Orlando e
dunque il partito deve considerare «chi è in
grado di portare più voti. Sulla candidatura della Boschi si deve ragionare,
come su quella di tutti noi». Ovviamente Orlando è stato oggetto di insulti
e contumelie e additato a turno come quinta colonna dei grillini o portavoce di
D’Alema, a palese conferma che nessuno è profeta in patria. A sciogliere ogni
dubbio in ogni caso ci ha pensato il prode segretario Renzi, che smorzando ogni
polemica ha dichiarato: «La Boschi sarà
giudicata dagli elettori», come non si sapesse che con la legge elettorale
in essere basterà collocare la belloccia come capolista in un collegio blindato
per chiudere i giochi e sberleffare coloro che ne avevano previsto il siluramento
degli elettori.
Nel frattempo, mentre il PD, il suo segretario e la sua corte, vengono
sempre più avvinti nel gorgo della disfatta, non c’è sul versante dell’opposizione
chi significativamente riesce ad avvantaggiarsene. Mentre Fi, Lega e le altre
compagini politiche beneficiano di incrementi poco rilevanti in sé, ma
significativi come coalizione, il M5S non riesce a convogliare a proprio
vantaggio l’emorragia piddina e ciò probabilmente è da imputare all’insufficiente
appeal
di Gegè Di Maio, che ultimamente alle panzane sul reddito di cittadinanza ha
sommato la fregnaccia del taglio delle pensioni, attraverso il quale recuperare
ben dodici milioni di euro da utilizzare per la cancellazione della legge
Fornero.
Insomma tra risse di ogni sorta in casa PD, tra scontri di leadership
nella destra e rudimentali specchietti per le allodole in campo grillino, il
panorama politico appare sempre più confuso e all’inseguimento di colpi ad
effetto che possano far rinascere come i funghi un rapporto di credibilità con i
cittadini. Cittadini sempre più coscienti dell’insulsaggine di una classe
politica non solo incapace di gestire i loro problemi, ma sostanzialmente
avulsa da una realtà in cui il lavoro, l’equità, la giustizia sociale
continuano a restare istanze prioritarie su cui di fatto difficilmente c’è la
volontà di incidere e di invertire la rotta.
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