mercoledì, febbraio 20, 2008

Proprietà TV e conflitto d’interessi


Mercoledì, 20 febbraio 2008
E’ bastato che Di Pietro annunciasse che nel suo programma elettorale in discussione con PD con il quale si presenta alleato c’è un capitolo dedicato alla revisione del sistema televisivo italiano, - peraltro necessario alla luce della sentenza della Corte comunitaria che ha definitivamente accolto gli innumerevoli ricorsi di Europa 7, - perché la gazzarra sulla mai risolta questione del conflitto di interessi riprendesse corpo e ridiventasse di grande attualità.
Le televisioni del Cavaliere, appresa la notizia che l’ex magistrato avrebbe in animo di lavorare ad un progetto di legge che sancisca l’obbligo di limitare ad una sola emittente la proprietà di qualunque soggetto pubblico e privato in materia di trasmissioni via etere, hanno spontaneamente inscenato una protesta per bocca dei rispettivi direttori nel corso dei vari notiziari susseguitisi durante la giornata.
Ovviamente nessuno ha detto che il provvedimento in questione prevederebbe la chiusura di un’emittente posseduta in esubero al limite stabilito, visto che sarebbe sempre possibile optare per la trasmissione satellitare, senza perciò ledere la libertà di trasmissione o, men che meno, compromettere il lavoro di quanti in tali emittenti prestano la propria opera. Tuttavia, dato che l’informazione non esita a volte a ricorrere alla disinformazione pur di raggiungere il proprio scopo, i vari Fede e Mimum non hanno esitato a lanciare il grido di allarme al proprio pubblico, dichiarando che l’attentato alla libertà d’informazione che si starebbe preparando, con intuibili ripercussioni su posti di lavoro messi a grave repentaglio, li costringerà ad assumere iniziative adeguate per sbarrare la strada al progetto Di Pietro, non ultimo un black-out sull’informazione politica.
Ma cosa c’è dietro l’iniziativa di questi signori che simulando di difendere il posto di lavoro si schierano in realtà dalla parte del loro attuale padrone? La risposta è assai semplice. C’è la questione del ghiotto mercato pubblicitario, che ha consentito in un ventennio l’accumulo di grandi fortune per Berlusconi e l’elargizione di grandi prebende agli uomini del piccolo schermo, spesso sponsor di produttori di mortadelle e materassi, che a loro riconoscono stratosferici premi in base agli indici d’ascolto delle rispettive trasmissioni infarcite di spot pubblicitari. E’ evidente che un’emigrazione forzosa sul satellite, sistema di trasmissione a più bassa diffusione rispetto alla tv tradizionale, renderebbe la raccolta pubblicitaria fortemente ridimensionata, con tutto ciò che ne consegue per le singole emittenti, padroni e dipendenti inclusi.
Nel pieno del clima elettorale la sortita di Di Pietro non è sembrata vera agli uomini del PdL, che hanno immediatamente approfittato dell’apparente gaffe per far rullare i tamburi della propaganda e rammentare al popolo beone che cambieranno le sigle, cambieranno gli uomini, ma l’animo persecutorio di una certa sinistra è rimasto del tutto intatto, tant’è vero che si rispolvera l’antico rancore per quel sant’uomo di Berlusconi, attaccando le sue proprietà.
Cosa c’entrerebbe Berlusconi nella questione sarebbe un mistero, se non fosse che l’Unto del Signore di Arcore, in barba ad ogni richiamo alla questione del conflitto d’interessi, continua ad essere il padrone delle emittenti in questione, che gestisce ed indirizza a proprio piacimento anche contro gli avversari politici avvalendosi di zerbini come Emilio Fede ed altri “indipendenti” giornalisti. D’altra parte, la stessa normativa in atto a suo tempo varata dal Parlamento italiano su proposta di quel Frattini, premiato con un posto di tutto prestigio a Bruxelles per i servigi resi, dire che è una burla costituisce una modalità per promuoverla a cosa di un qualche rilievo.
Ad ogni buon conto, quella testa fine di D’Alema, - che per primo non osò proporre una legge ad hoc durante la sua presidenza del governo, - ha subito intuito la pericolosità della boutade di Di Pietro e con altrettanta tempestività si è precipitato a smentire che nel programma del PD ci sia un progetto tendente “a privare qualcuno di ciò che possiede”, anche se "una legge per regolare il conflitto di interessi va fatta, ed è nel programma, sebbene le priorità siano altre, come il lavoro o il tema della sicurezza". All'obiezione che, pur con una maggioranza, il centrosinistra non ha fatto la legge, D'Alema spiega: "E' difficilissimo fare una legge seria in questa materia, perché su questo punto c'è la massima opposizione di Berlusconi, che si occupa di tutto, ma di questo tema in modo particolare... In questa legislatura avevamo una maggioranza ristrettissima, completamente erosa al Senato". Quanto alla legge fatta dal centrodestra è "una finzione", "basti pensare - sottolinea il vicepremier - che mentre proibisce a Confalonieri di diventare presidente del Consiglio, lo consente al proprietario delle tv".
Le dichiarazioni di D’Alema, per quanto tentino di stemperare la polemica indicando maliziosamente quali siano le vere priorità nel programma del Partito Democratico, non hanno fugato tuttavia i dubbi ed i timori degli interessati, che anzi reclamano a gran voce che lo stesso Veltroni faccia definitivamente luce sulla questione e spazzi ogni equivoco circa le reali intenzioni del PD in materia di emittenza televisiva.
Il match, com’è probabile, si concluderà con un nulla di fatto e con una prosecuzione strumentale delle opposte polemiche, poiché, al di là delle intenzioni dei singoli partiti, incombe sulla testa del governo che verrà la spada di Damocle della sentenza di Bruxelles, che non ammette inciuci o scorciatoie. E quale migliore occasione di quella per dare attuazione alle legittime aspettative di Europa 7 di rimettere mano alla problematica delle frequenze televisive e degli interessi conflittuali di qualche politico di spicco per risolvere, una volta per tutte, ciò che il mondo da tempo definisce “l’anomalia italiana”?

martedì, febbraio 19, 2008

Promesse elettorali – Tante bugie grazie ai media


Martedì, 19 febbraio 2008
L’evoluzione mediatica ha ormai trasformato anche il modo di far politica e dalle piazze, nelle quali i candidati solevano arringare la folla dei fedeli sostenitori e degli indecisi di passaggio, si è passati ai cinema ed ai teatri, dove per altro è possibile convogliare la claque organizzata e far sì che anche il nano proietti un’ombra di tutto rispetto.
C’è poi la televisione, veicolo principe di immagine e comunicazione, che porta sin dentro le case il messaggio del candidato, spesso agevolato dal suadente incalzare di un intervistatore professionista che, tra lo spot di un formaggino ed un assorbente igienico, si è auto assegnato il compito di rappresentare i dubbi dell’elettore medio ed interroga il papabile sui progetti che intende realizzare ad elezione avvenuta.
A nulla importa che la democrazia, quella vera, sia fatta di confronti diretti tra elettore e candidato. Oggi a questo concetto elementare, ma pericoloso e dispersivo, il modello culturale ha imposto quello più concentrato e tranquillizzante del faccia a faccia tra candidato ed intermediario dell’elettore, cosicché tante domande vengono spesso eluse e restano senza risposta o investono solo parzialmente l’orizzonte degli interessi di chi passivamente ascolta.
In questo mutato scenario di politica mediatica e mediata, hanno buon gioco i parolai, cioè coloro che riescono a confezionare concetti sintetici ed immediati, slogan non verificabili delle rispettive progettualità, con compostezza ed eleganza, magari con il buonismo di cui l’immaginario dell’ascoltatore medio ha tanto bisogno, visto che si confronta con una realtà fatta di quotidiani stress, prevaricazioni, sgarberie e altre disdicevolezze produttrici di surplus adrenalinico.
La gente scopre così un Berlusconi che non conosceva, così vicino ai problemi veri dell’uomo comune da stentare di credere ai propri orecchi: via l’ICI; una casa per tutti, magari con un mutuo cinquantennale, ma comunque di proprietà; un incremento dei salari – si badi al termine salari, ben diverso dal quello borghese di stipendi; - una detassazioni di aumenti e straordinari; la riduzione delle tasse; e così via dicendo.
Dall’altro lato fa eco Veltroni, il capo del PD, che ovviamente è dotato di un eloquio politico più antico e rodato e, dunque, riesce ad essere persino più persuasivo di quanto non siano in grado di fare gli avversari nel raccontare che la minestra in preparazione da parte della sua componente politica, quantunque possa sembrare non così diversa da quella in ebollizione in casa del Profeta di Arcore, avrà certamente un gusto più gradevole. In primo luogo perché Berlusconi al governo c’è già stato e dello slogan “tutto per tutti” son piene le fosse, mentre i PD, se sono stati al governo, v’erano presenti come DS, Margherita ed Ulivo. Quindi, sotto la nuova sigla, il brodo dovrà essere necessariamente più concentrato e saporito. In secondo luogo, perché il rinnovamento della politica e del modo di governare, - sostiene Veltroni, - passerà attraverso un dichiarato e non sperimentato meccanismo di “aggregazione selettiva delle istanze sociali”, che impone sacrifici sostenibili a tutti per un benessere diffuso, anche a favore delle categorie socialmente deboli – e si noti il termine categorie, certamente rassicurante rispetto al minaccioso e foriero di ombrose reminiscenze "classi".
In questa composta kermesse di buone intenzioni, - nella quale si avverte la mancanza del coro dell’Antonelliano di Bologna a far da sottofondo alla mistica dei propositi, - non vi è mai un riferimento concreto alle leve che si intendono azionare per realizzare gli obiettivi dichiarati. Per cui lo spettatore, quantunque con il nodo alla gola per questa commovente dimostrazione di una politica finalmente così vicina ai suoi bisogni, e comunque distratto da quattro saltellanti sofficini alla mozzarella, finisce per non porsi il quesito vero alla base di questa ennesima campagna di inganni e di sottili perfidie: ma i soldi per fare ciò che dicono dove li troveranno? E perché non ci dicono di cosa dovremo fare a meno per ottenere ciò che promettono?
Si provi per un momento a fare un piccolo elenco indicativo di alcuni dei gravi problemi che affliggono la nostra società.
Il Paese si muove in uno scenario internazionale di economia stagnante e tendente alla recessione, ma mancano le politiche di sostegno allo sviluppo. L’inflazione sembra aver rialzato la testa, tant’è vero che ai recenti ritocchi dei tassi d’interesse americani la Banca Centrale Europea non ha ritenuto di poter rispondere con un abbassamento di quelli comunitari. Le risorse energetiche italiane continuano a rappresentare la voce più rilevante delle nostre importazioni ed il loro costo è costantemente in salita, con il risultato che importiamo inflazione e non c'è ombra di un piano strategico per energia alternativa. Il made in Italy ha subito un notevole ridimensionamento per effetto dell’apprezzamento dell’euro sul dollaro e le altre divise estere, con una conseguente caduta verticale dell'occupazione in quei settori. La disoccupazione, specialmente se sommata all’occupazione precaria o a quella finta, rimane a livelli insopportabili, ma non c'è uno straccio di piano organico che favorisca il nuovo impiego. Il drenaggio di risorse subito durante il recente Governo Prodi per ridurre il deficit italiano ha ridotto in condizioni di miseria oltre un quarto della popolazione, ma non v'è barlume di una politica di riequilibrio e redistribuzione dei redditi. Il costo della politica nostrana è tra i più scandalosi ed elevati di tutte le società occidentali, né vi è sentore di una sua tendenza al contenimento o alla riduzione (non sarà certo la recente riduzione dei corazzieri del Quirinale a modificare il quadro dello sperpero di danaro pubblico!). Siamo il fanalino di coda comunitario in quanto a spese per il mantenimento e l’ammodernamento delle infrastrutture, ma si continua a litigare sulla TAV e le direttrici di collegamento nord-sud rimangono in condizioni vergognose.
E' già una fortuna che qualcuno non abbia pensato di ritirare fuori dal cassetto la questione del ponte sullo stretto, giusto per scaldare il serbatoi del voto meridionale, che il progetto è stato solo demenziale a parlarne, se si considera l'indecenza in cui versa il sistema ferroviario siciliano o la viabilità calabrese, alle quali sarebbe necessario destinare con urgenza le risorse che per quella faraonica costruzione erano previste.
E questi personaggi, omettendo di fare un’analisi dei problemi sopra detti e di indicarci cosa intendano fare per uscire da una situazione che non ha certo bisogno di commenti, ci vengono piuttosto a rappresentare una fiera stantia di chimere e buone intenzioni?
Vorremmo attirare l’attenzione del signor Berlusconi sul fatto che non è con la controriforma della pensioni che gli Italiani staranno meglio; mentre al signor Veltroni andrebbe detto che non è con la candidatura a capolista del signor Antonio della Thyssen che si rinnova il Paese e la politica. Gli Italiani, come al tempo di Tangentopoli si sentivano oppressi e nauseati da una giustizia-spettacolo che giornalmente incarcerava o inquisiva qualcuno (non è mai stato dato sapere cosa facesse la stessa giustizia prima che Tangentopoli partisse, dato che i fatti emersi a quel tempo facevano seguito a lustri di indifferenza e connivenza dei giudici medesimi) senza arrivare mai al dunque, allo stesso modo non sopportano più che quotidianamente appaia in tv il faccione sorridente dell’ennesimo venditore di fumo che promette mari e monti, - ai quali peraltro riescono ad andare sempre meno causa il dover far fronte al costo crescente della vita ed alla soddisfazione di bisogni primari. A costo di far retorica inconcludente, è bene ribadire che il Paese oggi ha bisogno di qualcuno che sia in grado di dire la verità sullo stato delle cose, che stili un programma serio e credibile di ciò che intende fare per risolverle con la dovuta gradualità e. soprattutto, che sia in grado di mantenere effettivamente gli impegni assunti. Nessuno avverte il bisogno di improvvisati acquarellisti che ti colorino di rosa l'orizzonte, che tutti sanno essere cupo e foriero di tempeste.
Ma a tutto ciò la politica sembra restare pervicacemente estranea, convinta che le promesse e le bugie siano l'effettiva chiave del successo. Tuttavia, a questi professionisti della demagogia e del populismo andrebbe ricordato che alla fine del banchetto c'è sempre un oste che richiede di pagare il conto e che la storia d'Italia è fatta anche di Pier Capponi in grado di far suonare presto o tardi le campane.













lunedì, febbraio 18, 2008

La perfidia sotto la veste del buonismo – La storia di Cappuccetto Rosso è sempre attuale.

Lunedì, 18 febbraio 2008
A proposito della campagna elettorale in corso, abbiamo parlato dei lupi e degli agnelli che contraddistinguono lo scenario politico del nostro Paese. Nel fare questa considerazione è molto probabile che scettici e denigratori di turno possano aver attribuito le considerazioni proferite al patologico clima di antipolitica o di qualunquismo diffuso che prevale nell’atteggiamento della maggioranza degli Italiani, infezione alla quale non saremmo rimasti indenni.
Per rimuovere ogni dubbio sulla sanezza delle nostre condizioni e cancellare ogni alibi ai millantatori interessati, ci soffermeremo su una vicenda che ha dell’incredibile nella storia nostrana e che coinvolge l’intero circo della politica e delle istituzioni, da destra a sinistra, presidenza della repubblica compresa, affinché, chi vuole, possa meditare nel recarsi alle urne sull’affidabilità di chi, dietro mentite spoglie, si presenta al giudizio dell’elettorato senza macchia e promette rinnovamento.
Europa 7 è un’emittente televisiva che nasce negli anni novanta per iniziativa di un anonimo imprenditore di Avezzano, Francesco Di Stefano, che spera di ottenere una concessione dallo Stato che ha deciso di mettere ordine a quel far west dell’etere, che ha connotato il sistema televisivo italiano sin dagli anni ottanta.
Nel 1999 il neo tycoon ottiene la tanto sospirata concessione nazionale, ma è da quel momento che iniziano i guai per la nuova rete televisiva, che mai nei fatti otterrà le frequenze necessarie per mandare in onda la propria programmazione. Vi è infatti in atto nel nostro Paese una consolidata anomalia, che vede le frequenze disponibili già impegnate da altre reti televisive non in virtù di concessioni regolari, ma per effetto di una gratuita occupazione dell’etere, che si trascina da anni ed alla quale nessun governo succedutosi nel tempo ha inteso porre rimedio per ripristinare la legalità. Anzi, Bettino Craxi, con il quale Berlusconi, proprietario di ben tre reti televisive aveva stabilito stretti e solidi legami, già a metà degli anni ottanta non aveva esitato un minuto a varare un provvedimento che azzerava una sentenza con la quale si stabiliva che non era consentito ai privati trasmettere su scala nazionale. Nel 1994 poi la sentenza 420 della Corte Costituzionale sanciva che un soggetto privato non potesse possedere più di due emittenti televisive e invitava il legislatore ad intervenire in materia, sebbene concedendo una moratoria allo stato di fatto sino all’agosto del ’96. Com’era prevedile, alla scadenza indicata dalla Corte non accadde nulla e fu solo l’anno successivo che Meccanico, incalzato anche dagli organismi Comunitari, varò un provvedimento che sì recepiva il suggerimento della Corte Costituzionale in merito al numero massimo delle emittenti possedute, ma rimandava all’accertamento di sufficienti disponibilità di frequenze satellitari ogni decisione circa il destino della terza rete (Rete 4) di proprietà di Berlusconi.
Nel 1999 il governo D’Alema decide di regolarizzare la situazione ed indice una gara, con tanto di commissione – alla cui presidenza viene insediato un avvocato di Berlusconi – alla quale spetterà il compito di sottoporre a rigido vaglio le domande dei pretendenti e che finalmente possa legittimare, con un regolare mandato dello Stato, lo situazione che si è venuta a creare nel corso del tempo. Nel luglio 1999 si svolge questa gara d'appalto, per partecipare alla quale si richiedono requisiti spaventosi e sembra chiaro che nessuno riuscirà a scombinare i giochi. Invece, colpo di scena, arriva un tipo, Francesco Di Stefano, con uno scatolone enorme pieno di documenti e presenta la richiesta di aggiudicazione di ben due frequenze nazionali. Nonostante i numerosi ostacoli frapposti dalla Commissione sulla strada dell’outsider, per i quali l’intrepido imprenditore d’Avezzano non solo non demorde ma ricorre vittoriosamente anche in sede giudiziale, alla fine si è costretti a rilasciare una concessione ad Europea 7.
Tale concessione è tuttavia solo virtuale, dato che Rete 4, che deve sloggiare e, se ritiene, trasferire l’emittenza su frequenza satellitare, non intende saperne. In più, l’atto di concessione stabilisce che il concessionario, a pena di decadenza della concessione acquisita, deve esercitare il proprio diritto entro i sei mesi successivi il rilascio dell’autorizzazione, pertanto Europea 7 è costretta a mettere in piedi un apparato di trasmissione onerosissimo, che nulla può produrre in mancanza di una frequenza su cui trasmettere.
A nulla vale l’ulteriore sentenza della Corte Costituzionale, la 466/02, che stabilisce il legittimo diritto di Europea 7 e il palese abuso di Rete 4. Il signor Berlusconi, che ha nella vicenda intereressi evidenti, è nel frattempo divenuto Presidente del Consiglio e oltre a far approvare dalla sua maggioranza alcuni leggi per evitare la galera, riesce a far confezionare ai suoi alleati servitori un’incredibile provvedimento, la cosiddetta legge Gasparri, grazie alla quale (art. 20 comma 5 e art. 23 comma 1) si realizza in pratica un condono, riconoscendo il diritto di trasmettere a "soggetti privi di titolo" che occupano frequenze in virtù di provvedimenti temporanei, come le sentenze sospensive dei TAR, a danno di chi, come Europa 7, ha legittima concessione: è evidente che con tale passo il Cavaliere ha realizzato un ulteriore e straordinario atto di stravolgimento del diritto, grazie al quale si legittima lo scippo ed “ex” reati assimilabili ed ha tutelato i propri inconfessabili interessi, in barba al tanto deprecato conflitto d’interessi condannato da più parti.
Ma il signor Di Stefano, non si arrende e continua la sua battaglia per aver riconosciuto il proprio diritto. Così il 31 gennaio scorso la Comunità Europea, presso la quale ha fatto l’ennesimo ricorso, non solo riconosce le sue ragioni e stabilisce l’obbligo per lo Stato italiano e per le altre parti in causa di versargli un risarcimento miliardario per le angherie ed i danni subiti, ma intima una revisione della legge Gasparri, per palese contrasto con le norme di diritto europeo in materia.
Sin qui il fatto, che se fosse solo un esempio dell’ordinaria follia del sistema italiano, potrebbe passare in sordina, così come per tanti anni è accaduto. La sua rilevanza, invece, è ben altra, tenuto conto che la vicenda si trascina ormai da un decennio, nel quadro di una situazione generale nella quale la problematica mediatica è stata al centro di corruzione, inadempienze, connivenze ed omissioni gravissime e degne delle pagine più infamanti della storia delle democrazie sudamericane.
Craxi, Mammì, Meccanico, D’Alema, Prodi ed ovviamente Berlusconi, giusto per citare il gotha della politica degli ultimi vent’anni e che nella vicenda ha avuto mani in pasta, nulla ha fatto per risolvere una delle questioni fondanti della democrazia di ogni paese, di cui la vicenda Europa 7 non è che la punta dell’iceberg. La stessa Presidenza della Repubblica, a cui compete firmare le leggi per la promulgazione, con Azeglio Ciampi nella vicenda ha dato di sé un’immagine alquanto equivoca, visto che alla promulgazione della Gasparri, anziché limitarsi al solo rinvio alle Camere del provvedimento palesemente illegittimo sotto il profilo costituzionale, avrebbe avuto il dovere di sollevare conflitto presso l’Alta Corte, senza così piegarsi al volere di un Parlamento chiaramente trasformato in galoppatoio del fantino Berlusconi.
Né può esser taciuto che lo Stato italiano sotto il Governo Prodi ha avuto l’arroganza di inviare a Bruxelles i propri legali contro Europa 7, pur sapendo di difendere l’indifendibile ed in decorrenza di una violazione del diritto sotto gli occhi di tutti.
A questo scempio di legalità ha fatto da muro del silenzio anche la stampa, che, a parte qualche raro ed episodico trafiletto, mai ha sollevato la doverosa attenzione sull’oltraggio alla legalità che si consumava con il caso Europa 7.
Ha a che ben dire adesso il signor Di Stefano, intervistato da L’Espresso, “non sto né con la destra né con la sinistra di questo Paese”, ché le gravissime responsabilità della vicenda coinvolgono senza appello tutte le forze politiche, quelle forze che oggi, nel rinnovato clima elettorale, tentano disperatamente di imbonire il popolo vestendo i panni di un buonismo e di un perbenismo francamente intollerabili e stomachevoli.



(nella foto, Francesco Di Stefano)

venerdì, febbraio 15, 2008

Una soap opera dal titolo campagna elettorale

Venerdì, 15 febbraio 2008
Da più parti non si fa che dire che siamo entrati in pieno clima elettorale e, dunque,il treno della politica è ormai lanciato a folle velocità verso il 13 aprile, quando il popolo esprimerà con il proprio voto la preferenza verso la composizione politica che meglio lo avrà convinto.
A dire il vero più che di campagna elettorale iniziata si dovrebbe parlare di campagna mai finita, preso atto che dalle ultime elezioni del 2006 non vi è mai stato un momento di tregua, tra guerre intestine all’interno della stessa maggioranza ed assalti al fortino della coalizione da parte di oppositori incapaci di rassegnarsi a lasciar governare i vincenti per il successivo quinquennio, cassandre da quattro soldi in preda a perenne delirio di prevedibile crisi di governo, squallidi affaristi di provincia pronti a tradire la propria coalizione pur di ottenere copertura ai propri inconfessabili affari, buffi figuri col sogno dell’indipendenza del nord e minaccianti di riprendere le armi – quali non è dato sapere – in nome di quest’indipendenza, e così via.
E che il clima elettorale fosse in servizio permanente effettivo si può dedurre dai tanti segnali, forti e deboli, che hanno contraddistinto la spaghetti politics del Bel Paese, segnata dalla morte dell’Ulivo, della Margherita e dei DS e dalla nascita del nuovo PD; dalle boutade di un Berlusconi, improvvisato descamisado, che annuncia la nascita del PdL dal predellino di un’auto in una notte dal sapore sudamericano; da un Fini che non esita a definire un ectoplasma la nuova compagine annunciata dal Cavaliere e che incredibilmente vi confluisce qualche giorno dopo; da un Casini, attorniato dai tanti inquisiti del suo partito, in bilico tra l’adesione al PdL e la conservazione della propria identità politica, mentre imbastisce tentativi d’intesa con qualche inquisito di altra fazione, presumibilmente nell’ora d’aria di quest’ultimo.
In questo scenario il clima elettorale di qualche paese africano o sudamericano ha la capacità di apparire quasi cosa seria, considerato che lì i duri, gli spergiuri, gli opportunisti ed i travestiti della politica sono tali, senza simulazione alcuna, mentre da noi i lupi e gli agnelli, come ad una sfilata di Krizia, corrono da un camerino all’altro per cambiarsi d’abito e cercare di apparire in pubblico così come quello li vorrebbe. E allora il Cavaliere dichiara di aver avuto incarico di perseverare nello scenario politico in virtù del mandato che gli avrebbe conferito la signora Rosa, passata a miglio vita qualche giorno prima. E cosa potrebbe rendere più credibile agli occhi degli Italiani mammoni e inebetiti una raccomandazione ispirata e benedetta da una mamma sul letto di morte al proprio figlio?
E’ la solita regola del tutto fa spettacolo, quella regola che vede il signor Veltroni, dal palco di Spello, - chissà perché non da quello più consono e qualificante di Assisi, - lanciare i suoi pacati anatemi verso il sistema fiscale ingordo del nostro Paese, che avvilisce i redditi; verso la consolidata ingiustizia salariale che regna da tempo; verso l’iniquità delle pensioni; verso la gravissima ed esemplare situazione di disoccupazione in cui versano i nostri giovani e così via sino – a precisa domanda di un intervistatore – al recupero dell’energia nucleare bocciata qualche anno fa con referendum popolare. Il tutto nel rispetto delle prerogative di ciascun gruppo sociale, al quale bisognerà far cortesemente capire quanto sia necessario fare qualche sacrificio a favore di qualche fratello meno fortunato.
Ecco, questa è la vestaglia di seta con tanto di foulard che indossa Veltroni nel presentare il progetto elettorale del PD, nella probabile speranza che l’elettore concupito da tanta sublime suadenza dimentichi che appena sei mesi fa l’elegante e compassato personaggio si aggirava nei palazzi del potere a suggerire quale era la linea dei DS nella sconcertante trattativa sulle pensioni. Che in politica sia necessaria una buona dose di spregiudicata faccia tosta è cosa scritta nei manuali, ma che questa faccia tosta pretenda di stravolgere la storia, specialmente la recente, è fatto che travalica ogni decenza: i DS, così come gli amici ed i compagni di cordata che hanno vinto le scorse elezioni, aveva assunto impegno verso gli elettori di cancellare lo scalone introdotto dalla legge Maroni sulle pensioni. A questo impegno i DS e l’accolita a loro consociata sono venuti meno, realizzando per altro una riforma peggiore di ciò che si è riformato, e adesso pretenderebbero per bocca di un nuovo imbonitore che la gente creda che gli impegni saranno questa volta veri e mantenuti? Per aver maturato una convinzione come questa non ci sono che due strade: o che il popolo è davvero irrimediabilmente fesso, o che la capacità di persuasione deve essere talmente potente da far dimenticare anche le ferite difficilmente rimarginabili.
Ad ogni buon conto non c’è da preoccuparsi, visto che il buon Berlusconi, - indispensabile come si è lui stesso definito, - non avendo probabilmente argomenti più suggestivi con i quali infiocchettare i suoi melensi sermoni elettorali, ha già preannunciato che le pensioni saranno oggetto dell’ennesima controriforma nell’ipotesi in cui andrà al governo. Poi, ovviamente per non restare indietro alle ampollose dichiarazioni dei concorrenti, anche lui promette detassazioni, adeguamento dei salari, ritocchi degli assegni di quiescenza, cancellazioni d’ICI ed altre amenità per le quali si pagherà con il gonfiamento del debito pubblico, visto che il Buonuomo giura che mai metterà le mani in tasca agli Italiani con nuove tasse e balzelli.
Sulla base di ciò che l’attuale situazione permette di ipotizzare, non è al momento possibile prevedere chi prevarrà il 13 aprile, poiché gli schieramenti in campo, lungi dal compattarsi come sarebbe stato auspicabile anche in virtù della legge elettorale in atto, sembrano aver imboccato la china della frammentazione, che per effetto degli sbarramenti percentuali minimi, lascia presagire tanti perdenti. Certo è che chiunque da questa tornata avrà ottenuto la maggioranza relativa, con annesso premio, si troverà in condizioni di governo probabilmente peggiori di quelle riscontrate da Prodi, il che non lascia spazio ad ottimismi sulla durata della legislatura prossima ventura, almeno sino a quando non sarà realizzata la doverose riforma elettorale e, - che più conta, - non saranno gettate le solide basi che ricreino il forte rapporto tra paese reale e paese legale, fino a quando la politica per prima non si darà regole di trasparenza e correttezza che rendano quel rapporto sano e vivo. Fino a quando gli insopportabili privilegi economici, giuridici e sociali degli eletti rispetto agli elettori non saranno definitivamente azzerati e sarà ripristinata la vera democrazia.

venerdì, febbraio 08, 2008

Elezioni 13 aprile – La porcata è servita

Venerdì, 8 febbraio 2008
Ormai è deciso, si voterà il 13 aprile prossimo per il rinnovo del Parlamento.
I nodi che avevano increspato i rapporti nella maggioranza di centro-sinistra sono alla fine venuti al pettine e, nonostante il disperato tentativo di Marini di formare un governo di transizione per consentire il varo di una nuova legge elettorale che sostituisse il cosiddetto porcellum, hanno vinto coloro che sono certi di poter trarre dal ritorno alle urne un vantaggio rilevante in termini di suffragi, potendo speculare a ragione sui gravissimi ed imperdonabili errori commessi dal governo precedente.
E che il ritorno alle urne sia stato il frutto del testardo desiderio della destra oggi all’opposizione è solo un fatto apparente, poiché dietro il fallimento di Marini c’è anche l’inconfessata ambizione del PD di misurarsi con l’elettorato, per dimostrare all’intera sinistra quanto sia legittimo il ruolo egemone che reclama dall’indomani della sua costituzione e, agli avversari dell’opposta sponda, quanto sia fondata la pretesa di primo partito nello scenario politico nazionale.
Pur sorvolando sull’ovvia considerazione che questa nuova tornata elettorale si realizza in palese disprezzo di ogni istanza del paese reale, - che tutto avrebbe voluto, tranne che l’ennesimo sperpero di denaro pubblico per un evento che, nei fatti, cambierà pressoché niente, se non l’ingresso di un altro inquilino a palazzo Chigi, - paese reale disgustato da una politica sempre più volgare e serva degli interessi personali dei suoi leader, il punto fondamentale rimane che ancora una volta la sorte dell’Italia dipenderà dalle scelte che imporranno le segreterie dei partiti, che stileranno le liste dei candidati a loro esclusivo piacimento ed al di fuori di qualsiasi controllo democratico degli elettori. Poco importa, infatti, che al cittadino sia lasciata l’apparente libertà di votare un partito anziché un altro: se il suo voto sarà destinato all’elezione di un Mastella o di Cuffaro, di un Di Gregorio o di un Dell’Utri ciò sarà dipeso solo dalla segreteria del partito in cui militano questi personaggi e non direttamente dall’elettore. Ridicola appare la considerazione di coloro che opportunisticamente sostengono che in caso fossero presenti nelle liste candidati non graditi basterà non votare quel singolo partito, dato che questa è la classica soluzione con la quale con l’acqua sporca si butta via il bambino ed a scemenze simili andrebbe rammentato che la democrazia vera si esercita senza scorciatoie e sciocche soluzioni di compromesso.
In ogni caso, a quanti il gesto di Mastella di ritirare l’appoggio alla coalizione e di sancire il funerale del governo in carica è sembrato solo l’arrogante ammissione che i fatti privati e personali hanno oramai supremazia sugli interessi della collettività, probabilmente ed inconfessatamente non è sembrato vero, considerato che il serpeggiare del un malumore e la rissosità nella compagine era di antica memoria. Si trattava solo di trovare il kamikaze disposto a compiere il gesto di staccare la spina, su cui poter far ricadere in campagna elettorale le accuse di irresponsabilità. Poi il gioco sarebbe stato fatto.
Adesso ci dovremo sciroppare ettolitri d’aria fritta con la quale ci saranno raccontate le colpe altrui e decantate le virtù proprie, come se ciascuno non fosse in grado di capire dove stanno i furbi ed i poco di buono (tanti) e le persone perbene (pochissime); comunque a giochi sostanzialmente fatti, dato che solo eventi ultraterreni potrebbero liberarci di Rutelli, D’Alema, Berlusconi, Bonino per far dei nomi a caso. Gli stessi personaggi, protetti dal sistema elettorale vigente, si può star certi, ce li ritroveremo nella prossima compagine parlamentare a sentenziare ancora una volta in nome e per conto del popolo italiano, come la gramigna in un terreno incolto.
Nel frattempo fervono i preparativi elettorali, che come una soap opera vedono i maggiorenti dei partiti imbastire alleanze, cercare di accasarsi in una improvvisata coalizione che permetta di aggirare gli sbarramenti; mezze calzette che cercano rifugio in partiti che garantiscano loro una posizione sicura in lista e così via. In questo quadro di stomachevole ostentazione di cronica debolezza di principi e di saldo attaccamento alla poltrona, si finge persino di dimenticare le oltraggiose ingiurie scambiatesi qualche settimana prima. E così Fini torna a sorridere a Berlusconi e Casini; Bossi dichiara che la leadership della CdL non si mette in discussione; Bertinotti prende le distanze da Veltroni; Di Pietro si allea con il PD, dopo aver fatto l’amore per qualche tempo con Tabacci per entrare nell’UDC; Tabacci lascia l’UDC con l’accusa di un Casini che viene meno agli impegni congressuali; Mastella, che dopo le vicende personali e della consorte, oltre che ad aver determinato la crisi di governo, e che probabilmente dopo la tornata elettorale avrà un peso meno significativo di un prefisso telefonico, dichiara sfrontatamente di non aver ancora scelto se stare al centro, a sinistra o a destra (alla faccia della chiarezza politica, ndr); Berlusconi invita Mastella a palazzo Grazioli e gli propone di venire ad ingrossare le schiere dell’armata composita con la quale spera di vincere le lezioni.
Ma in tutto ciò quel che sconcerta è la vocazione suicida della sinistra italiana, che sebbene consapevole dell’impossibilità di tornare al governo a causa delle gravissime delusioni generate all’elettorato durante la legislatura in corso, continua ad argomentare su se e come sia possibile realizzare un’alleanza al suo interno che le permetta di guadagnare i numeri per sfidare la fortuna palesemente avversa. Mentre il neonato PD, consapevole di dover passare la mano, si pasce della convinzione che dal correre da soli sicuramente otterrà un consenso che gli permetterà di conquistare un ruolo guida nella sinistra.
Il quadro che viene fuori è decisamente sconfortante, quantunque alla fine un nuovo parlamento sarà eletto ed un governo sarà comunque fatto. Rimane tuttavia irrisolto il vero quesito di questo inesorabile declino di civiltà che oramai stiamo vivendo dall’era di Tangentopoli: fino a quando il popolo tollererà questo scempio di democrazia che lo riduce ad inerme spettatore delle gesta di quattro teatranti che decidono del suo destino?