venerdì, marzo 28, 2008

Due autori, due commedie, un unico finale


Venerdì, 28 marzo 2008
Dice bene colui che sostiene che tra il programma di Veltroni e quello di Berlusconi non vi sono grandi differenze: entrambi parlano di riduzione di tasse, di incremento di salari e pensioni, di mercato del lavoro e giovani e così di seguito.
Naturalmente le differenze si riscontrano nel momento in cui i due autoproclamati presidenti dell’esecutivo prossimo venturo - e la sottolineatura è d’obbligo, visto che non certo il popolo ha dato loro mandato a quella carica potenziale in virtù di una consultazione pre-elettorale, ma questo incarico competerebbe loro solo in base ad una decisione delle rispettive segreterie di partito, - dichiarano come, in caso di rispettiva vittoria elettorale, intendono attuare le promesse che vanno seminando in giro per l’Italia in questi giorni. Ovviamente, mentre il buon Veltroni mantiene un profilo basso, talvolta al limite del ridicolo irritante, Berlusconi, che nel ridicolo è abituato a sguazzare, forte della convinzione che gli elettori pur di sognare sono disposti a bere qualunque panzana, gioca al rialzo e non risparmia coup de théatre da lasciare allibiti. Allora, se Veltroni promette ritocchi alle pensioni – udite, udite! – di ben 250/400 euro annui, bontà sua, l’Incantatore di Arcore promette di portare a mille euro l’assegno minimo di pensione, con il risultato che nella prima ipotesi i pensionati sentono la schiuma della rabbia montare loro in bocca, visto che i 25/35 euro di quel promesso incremento sono già stati loro erosi dai soli rincari delle ultime settimane nelle bollette delle utenze domestiche; mentre le vecchiette, che dovrebbero farsi adescare dalla promessa dei mille euro, sono le prime a chiedersi frastornate dove l’Incantatore prenderà i soldi, chi dovrà pagare questi sostanziosi aumenti e, che più conta, quale sarà l’aumento in serbo per i salari se tali saranno gli incrementi per le pensioni.
In ogni caso, se le promesse saranno mantenute ad entrambi i filantropi sopra menzionati andrà riconosciuto il merito di aver realizzato, primo nella storia, una sorta di esproprio proletario istituzionale, dato che entrambi con le rispettive manovre a danno di pensionandi e pensionabili ridistribuirebbero parte del maltolto, come in un sordido risiko in cui le armate sono costituite da pezzenti allo sbando in lotta giorno dopo giorno per la sopravvivenza. Nessuno dei due prodi neopaladini del popolo dei pensionati s'è fatto sfiorare dall’idea che tutti sarebbero più contenti dal sentirsi promettere una riduzione del 50% delle pingui prebende percepite dalla vorace schiera dei sedicenti rappresentanti del popolo, e non perché la gente invidiosa ami vedere con le pezze al culo notabili e potenti, ma per l’universale senso di giustizia che impone equanimità di sacrifici, specialmente quando si è in presenza delle grandi difficoltà che ci vengono denunciate ogni giorno da giornali e televisioni.
Come abbiamo avuto già modo di sottolineare, la coerenza purtroppo non fa parte del’etica della politica, almeno di questa politica e sempre ammesso che questa politica stracciona abbia il dovere di averne una. Ed è in forza di questa non coerenza che nel pieno della bagarre elettorale che la questione Alitalia per gli schieramenti in competizione è divenuta terreno su cui scatenare cortigiani blandimenti. Così Air France, scelta già dal passato governo Berlusconi come partner di Alitalia per operazione di privatizzazione della compagni di bandiera e riconfermata dall’attuale governo Prodi, si è ritrovata orfana di consensi nel momento in cui ha messo sul tavolo le proprie carte ed ha fatto sapere che la razionalizzazione del trasporto aereo ed il salvataggio dell’Alitalia non consente il mantenimento in vita dell’hub di Malpensa, né un organico come quello attualmente in forza alla compagnia di stato.
Ovviamente il buon Veltroni, al quale non poteva non essere noto che una riduzione del personale di Alitalia e lo spostamento dell’hub da Malpensa a Fiumicino erano le condizione senza le quali Air France non avrebbe mai fatto una proposta per acquisire i rottami della nostra compagnia di bandiera, alle proteste di popolo davanti a tale ipotesi ha dovuto manifestare una certa presa di distanza ed ha invitato i pretendenti d’oltralpe a riformulare una proposta. L’Incantatore d’Arcore, che non è secondo a nessuno, ha pensato bene per non compromettere i rapporti con i suoi alleati della Lega, che della questione Malpensa hanno fatto il loro forte Apache elettorale e per riuscire come al solito a cavar vantaggio da qualunque questione si presenti propizia, anche la più improvvida ed indifendibile, ha tuonato contro Prodi e la sua aggregazione di liquidatori del patrimonio dello Stato, - lui che ha svenduto a quattro soldi all’amico Bush padre gran parte del patrimonio immobiliare storico della capitale, - proponendosi come improbabile paladino di una cordata di imprenditori pronti a rilanciare all’inaccettabile offerta di Air France. Naturalmente nessuno s’è fatto avanti. Anzi, qualche nome trapelato casualmente tra i presunti neopretendenti di Alitalia si è precipitosamente affrettato a smentire il proprio interesse, onde evitare con il proprio silenzio di farsi coinvolgere nei maldestri giochi dell’Incantatore, che comunque ha indicato persino i propri figli – ciò se stesso! – tra coloro che potrebbero partecipare alla fantomatica nuova offerta di acquisizione e di salvataggio Alitalia.
Sulla scorta di questa esperienza e se mai le conferme di inaffidabilità dei nostri politicanti non fossero già tante, sarà oltremodo istruttivo vedere cosa accadrà per mano di questi credibili amministratori quando dovranno mettere mano al portafoglio e lavorare per ridare dignità agli stipendi degli italiani, valutati unanimemente, OCSE compresa, tra i più infimi d’Europa, forse in grado di competere solo con quelli Romeni o Moldavi. E’ fuori discussione che, quantunque al governo del Paese negli ultimi due anni, Bertinotti, Giordano, Diliberto, oltre che Veltroni e Franceschini giurerebbero di non avere alcuna responsabilità in questo immiserimento delle classi lavoratrici, quelle vere, anzi direbbero con ogni probabilità che le cause dovrebbero essere ricercate nelle politiche poco accorte del governo precedente. Per contro, gli stessi Veltroni e Franceschini contrabbandano come moderna e lungimirante l’ammucchiata contro natura tra questa nuova corte dei miracoli e personaggi come Tronchetti Provera, Moratti, Cordero di Montezemolo, Geronzi, Benetton e quanti altri possono annoverarsi nel gotha dei ricchi nostrani che dall’euro hanno goduto solo vantaggi, che nel suo progetto politico dovrebbero albergare nella stessa casa.Non c’è che dire. Comunque finirà questa campagna elettorale e chiunque sarà risultato vincitore si preparano per gli Italiani tempi ancor più duri, perché chi si illudesse che il fondo del barile è già stato raschiato scoprirà che, come nelle scatole cinesi, oltre quel fondo c’è ancora un fondo, essendo il fondo ultimo costituito dalla sopportazione e dalla tolleranza del popolo, che non potrà prestarsi in eterno a subire le arroganze di coloro che lo hanno reso succube ed ogni giorno ne mettono alla prova la resistenza.

venerdì, marzo 14, 2008

Berlusconi – Lezioni di stile


Venerdì, 14 marzo 2008
Si narra che ad una giovane donzella, semi-disoccupata perché precaria, che aveva chiesto al cavaliere Berlusconi come potesse risolvere la sua condizione e poter campare con maggiore dignità, il geniale uomo d’affari, nonché valente politico, abbia lapidariamente risposto: “Sposa mio figlio, che è ricco!”
Ovviamente è pensabile immaginare che la giovane donzella, al di là della delusione e della stizza per una risposta così insulsa, non abbia mandato a quel paese il geniale uomo d’affari e valente politico solo per evitarne le ire di ritorsione, dato che allo stesso modo come il personaggio è avvezzo a dir stupidaggini a nastro – credendosi spiritoso, – allo stesso modo è lesto nel vendicarsi di quanti, a sua insindacabile sensazione, gli manchino di rispetto, - quasi che tra i tanti monopoli che vanta sia da riconoscergli anche quello della inclinazione alla facezia.
E che questa facezia faccia parte del suo DNA non v’è dubbio alcuno, dato che tra barzellette raccontate nel corso di incontri internazionali, battute allusive all’altro sesso e corna esibite in foto istituzionali di gruppo, il Nostro sembra ossessionato dall’incubo di dover risultare simpatico ad ogni costo e per far ciò non esita a dar fondo alle sue risorse da showman, pur se talvolta, nel maldestro tentativo di guadagnarsi apprezzamento, deve far ricorso a qualche dozzinalità da bassofondo, come un noto e pubblicizzato rhum venezuelano.
La verità è che Berlusconi ha una percezione del mondo che definire egocentrica è minimalista, dato che si pone più a proprio agio al centro dell’universo, del quale si sente l’ombelico e da cui ama dispensare riconoscimenti e favori, o a turno insolenze ed insulti, a chicchessia, al di sopra del giudizio di Dio (suo padre, ma che in bravura ha certamente superato come avviene per ogni buon discepolo di talento) e degli uomini, dei quali ha una concezione utilitaristica e funzionale al proprio successo.
V’è poi nei suoi modi di uomo ricco a dismisura quel sottile disprezzo per le afflizioni altrui, mascherato da un sarcasmo di bassa lega, che finiscono per ottenere l’opposto del risultato che si prefigge. Certamente un personaggio della sua ostentata intelligenza non avrebbe alcun bisogno di farsi rammentare che la gente nutre grande ammirazione e rispetto per i potenti generosi, mentre serba sordido rancore verso coloro che non perdono occasione per far pesare loro le disagiate condizioni in cui si dibattono. Probabilmente questa banale considerazione è troppo distante dalla comprensione del Berlusconi, che sembra vivere più il gusto dell’azione e del suo contorno che non il piacere del risultato che da quella si consegue, come in un’interminabile pratica di petting a cui non seguirà mai l’atto finale, ritenuto del tutto superfluo nell’esasperazione del narcisismo.Non sappiamo quanto tempo ancora durerà questo flirt ormai in corso da parecchi anni tra il Berlusconi politico ed il suo elettorato. E’ certo che per quanto possa essere opacizzata la visuale dei suoi elettori prima o poi a qualcuno verrà in mente come siano in vendita colliri efficaci e a basso costo.

lunedì, marzo 10, 2008

La politica dei coatti

Lunedì, 10 marzo, 2008
L’inaugurazione della campagna elettorale del nuovo Popolo delle Libertà è stata un’occasione per Silvio Berlusconi per chiarire al Paese ed agli elettori quanto come personaggio politico abbia valore meno che modesto e per dirimere ogni dubbio, - se mai ve ne fosse ancora alcuno, - sull’altrettanto scarso valore delle sue qualità umane.
E’ vero che da sempre le campagne elettorali si giocano senza esclusioni di colpi agli avversari, ma anche il simbolismo in certe occasioni ha i suoi limiti. E stracciare il programma degli avversari al solo scopo di strappare l’applauso dei presenti, - applauso che da quel pubblico addomesticato al Berlusconi sarebbe tributato anche se questo maestro di buona educazione si mettesse a ruttare sonoramente dal palco, - supera il confine del buon gusto, per imboccare la via senza ritorno della volgare propaganda da marciapiede.
Il dissenso deve non solo essere sempre consentito, ma va considerato con rispetto e tolleranza, non fosse perché dietro chi lo esprime vi è un popolo, gente che con le idee dell’avversario non è d’accordo e che non costituisce una percentuale insignificante del corpo elettorale, ma un nucleo pressoché pari all’elettorato di Berlusconi. E questo nucleo non si è mai permesso di usare nei suoi confronti gli argomenti triviali a cui il misero personaggio fa sistematicamente ricorso.
La verità sta nel fatto che il Cavaliere, - i cui modi finiscono per rendere usurpazione quel titolo, - è talmente a corto di argomenti dopo aver governato per cinque lunghi anni l’Italia ed averla ridotta sul lastrico che per fare presa sulla gente non trova di meglio che ricorrere a questi insulsi mezzucci da cronaca da balera, - di cui deve essere assai pratico e di cui non ha mai perso l’intima vocazione. E allora giù con la carta stracciata, i continui richiami alle raccomandazioni della povera mamma, gli insulti agli oppositori, le accuse di persecuzione politica ai suoi danni e via dicendo, che certamente sono molto più in grado di alienargli la simpatia che una qualche seria dichiarazione sulla necessità di rigore e sacrifici imposti dalla fragile situazione economica dell’Italia. D’altra parte, da vero maestro del messaggio pubblicitario sa bene che i suoi ascoltatori preferiscono farsi imbonire con il miraggio di qualche sogno che non con il brusco richiamo alla realtà: chi comprerebbe un dentifricio in grado solo di pulire i denti quando dovesse esserne disponibile un altro in grado di renderli smaglianti, di rinforzare le gengive e di profumare l’alito? Così il messaggio deve essere sistematicamente intriso di ottimistiche promesse, tanto qualora le stesse non si dovessero realizzare sarà dipeso non dalla loro insulsaggine ma da fattori imputabili alle recondite forze oscure che sistematicamente tramano contro il successo delle buone intenzioni.
Che il Berlusconi Silvio ci abbia abituato a questa percezione sbruffona della vita ed all’offesa dell’avversario sono cose ormai note. Meno noto era che questo stile avesse contagiato anche il suo valletto Fini, da sempre considerato un politico di razza e, dunque, meno propenso a concedere spazio alle cialtroneria. Invece il segretario di Alleanza Nazionale, - che non aveva indugiato a criticare con veemenza le boutade del suo alleato all’indomani della notte brava con la quale aveva annunciato la nascita del PdL, si badi, per lo stile, - non solo si è associato a qual partito dopo aver giurato che mai lo avrebbe fatto, ma è arrivato al punto di giustificare le gesta di Berlusconi, assolvendole dall’intrinseca maleducazione per promuoverle a semplici ed ingenue facezie scenografiche: come dire che non bastavano le tristi figure di Bondi, Cicchito e Bonaiuti a fare da ambasciatori del Berlusconi-pensiero, adesso esordisce anche l’incartapecorito valletto Fini in questo ruolo inedito di ermeneuta del trash del leader dell'ex Casa delle Libertà.
Avevamo già presagito che questa sarebbe stata una campagna elettorale piena di sorprese, ma come si evince sin dagli esordi la realtà sta superando l’immaginazione, mettendo a nudo uno scenario dove ogni speranza è ormai ridotta al lumicino ed il futuro riserva il trionfo dei coatti.

domenica, marzo 09, 2008

Veltroni facci sognare: piccolo manuale della vendita porta a porta


Sabato, 8 marzo 2008
Per quanto la politica abbia prerogativa di imperscrutabilità, viene il sospetto che dietro le decisioni criptiche ci sia spesso una qualche volontà di saldare conti pendenti, che la dissimulata demenzialità delle decisioni vorrebbero nascondere.
A questa probabile regola non dichiarata non si sottrae neanche il predicatore Veltroni, che inauditamente prima esclude dalle liste Beppe Lumia e, poi in extremis dopo che Di Pietro si era offerto di recuperarlo, fa un’inattesa retromarcia e lo candida niente meno che capolista al senato per il collegio dell’isola: come dire, dalle stalle alle stelle. Ma se di per se stessa la notizia potrebbe apparire solo un bizzarro atto riparatore di una svista imperdonabile, sono le motivazioni di questo “recupero” che lasciano di stucco. «La battaglia contro le mafie, contro la criminalità organizzata, per la difesa della legalità, è al centro non solo del programma – ha dichiarato serafico Veltroni, prendendo atto delle critiche per l'iniziale esclusione del capogruppo Ds in commissione Antimafia oggetto di numerose minacce da parte delle cosche organizzate - e della concreta azione del Partito democratico, ma della sua stessa identità». Poi ha aggiunto che tale impegno di lotta «vale per tutto il Paese, per tutta l'Italia, e vale in particolare per quelle regioni e aree del Mezzogiorno dove le vite dei cittadini e lo sviluppo di interi pezzi di territorio vanno liberati dal condizionamento delle organizzazioni mafiose. La lotta alla mafia è una concreta e difficile pratica, non è sufficiente legarla ad una persona. È un impegno collettivo e di tutto il Partito democratico. La stessa scelta coraggiosa che Anna Finocchiaro ha fatto ne è la più evidente delle dimostrazioni». Veltroni si è detto «convinto che contro la mafia sia indispensabile schierare e spendere tutte le migliori energie della società e delle istituzioni. Ho chiesto perciò al professor Ignazio Marino, candidato anche nel Lazio, di rinunciare alla sua doppia candidatura per far posto, come capolista al Senato in Sicilia, a Beppe Lumia. Il professor Marino, per la sua sensibilità e il suo amore per la Sicilia, ha accettato la mia proposta».
A parte prendere atto per la commovente rinuncia del professor Marino alla doppia candidatura, rinuncia che alla luce delle dichiarazioni di Veltroni deve essere avvenuta a conclusione di un lacerante travaglio interiore, è stupefacente come di un uomo che ha rischiato in molte occasioni di rimetterci la vita nel personale impegno contro le cosche e il malaffare si evidenzi quasi una sorta di personalismo in questa guerra, al punto da motivarne l’esclusione dalle liste di partito. E’ evidente che il signor Veltroni quando rilascia queste dichiarazioni ha l’arrogante convinzione di avere a che fare con dei fessi disposti a bere tutte le stupidaggini che propina loro pur di giustificare il suo incedere da gambero. Mentre sarebbe stato più elegante e convincente che avesse motivato l’esclusione di Lumia con ragioni più vere e attendibili, allo stesso tempo lascia perplessi l’atteggiamento dell’interessato, che non ha speso una parola per commentare l’infelice show down del segretario del partito cui aderisce.
Come rileva l’Unità, l’imbarazzante magra di Veltroni non si è conclusa con il caso Lumia, poiché anche con la questione sicurezza sul lavoro e morti bianche – giunte ormai a livello di paesi del terzo mondo, - ha collezionato l’ennesima topica, lasciando intendere dalle dichiarazioni rilasciate nel corso di un incontro con gli artigiani che la causa degli infortuni non è da ascrivere ai soli datori di lavoro, ma anche all’impreparazione con la quale i lavoratori, specialmente quelli precari, affrontano il ciclo di produzione in cui sono impiegati. Premesso che non si può non essere d’accordo con la necessità di una formazione adeguata dei lavoratori alla prevenzione degli infortuni, forse il populista Veltroni finge di dimenticare che spetta agli imprenditori imporre con ogni mezzo l’utilizzo dei sistemi di prevenzione e la sorveglianza stretta sull’uso dei mezzi antinfortunistici. Non è concepibile che si ribaltino i termini della grave questione attribuendo ai lavoratori scarsa preparazione e superficialità, omettendo di stigmatizzare comportamenti padronali sostanzialmente omissivi e propensi a risparmiare sui costi dell’antinfortunistica o all’esasperazione dei ritmi di lavoro in nome del dio profitto.
Ma più opportunamente si ha l’impressione che questa sfilza di “inciampi” più che espressione della stanchezza del Segretario del PD, siano artati tentativi di guadagnare ogni giorno un piccolo margine di accreditamento in chi, in questa nuova formazione politica, vede ancora i figliocci in monclair dei vecchi gerarchi del PC e non la sinistra illuminata e riformatrice che dichiara di essere. Ad avvalorare il sospetto concorre la risposta alle critiche che sono arrivate dalla Sinistra Arcobaleno per la candidatura di Massimo Calearo, "falco" della Confindustria e presidente di Federmeccanica, nelle liste del PD, che Veltroni liquida con disinvoltura con linguaggio da fare invidia al rinnegato Kautsky: l'idea della lotta di classe «fotografa una fase storica dell'Italia che non c'è più», in quanto esisterebbe una comunanza di destino fra gli imprenditori e i lavoratori, quantunque, - sottolineiamo noi, - i primi continuino ad arricchirsi sull’impoverimento e lo sfruttamento dei secondi. Ed in perfetta sintonia sull’argomento è intervenuto il vice di Veltroni, Dario Franceschini, che in una intervista a Panorama insiste sul processo di unificazione sociale alla base del progetto del Pd: «Mettere nella stessa lista -dice - imprenditori e sindacalisti, atei e cattolici, ricchi e poveri, significa lavorare perché cadano anche in Italia i muri tra industriali e operai, tra professionisti e impiegati, tra laici e cattolici, tra nord e sud». E conclude: «Intendiamo creare una grande forza nazionale che porti dentro di sé tutto il Paese, capace di parlare non solo al popolo di centrosinistra, ma a tutti gli italiani». Amen, sarebbe il caso di aggiungere, sebbene sia stata forse solo una dimenticanza del prode Franceschini.
Certo qualcuno si è convinto, o finge di esser convinto per puro opportunismo egemonico, che si possano realizzare condizioni di maggiore vivibilità sociale con blazer e farfallino, - che l’idea se l’agguantasse il Berlusconi diverrebbe “una giacca per tutti”. – sottacendo come tali condizioni si possano realizzare solo attraverso una più equa redistribuzione dei redditi, una maggiore condizione di legalità, una più ampia tutela delle categorie deboli con rinnovati meccanismi di stato sociale, un sistema più trasparente di accesso al lavoro, serio e continuativo, con misure note anche ai manuali delle Giovani Marmotte; mente non si va lontano con le chiacchiere da salotto perbenista e, peggio ancora, con gli imbonitori ed i venditori d’enciclopedie.

La coerenza della politica nell’Italia dei partiti golpisti


Venerdì, 7 marzo 2008
Quando si parla di coerenza è buona regola non far mai riferimento alla politica, che, se non a caso fu definita dai tempi della Balena Bianca l’arte del possibile, sappiamo non rispondere ai criteri normalmente percepiti dalla logica comune. Questa pratica, che insigni studiosi hanno promosso al rango di vera e propria scienza, in verità di scientifico ha assai poco, qualora non debba intendersi per tale l’insieme dei meccanismi con i quali i suoi adepti scientemente manipolano sistematicamente ad uso e consumo personale l’altrui ed il proprio pensiero, senza peritarsi del disorientamento sistematico che generano in coloro che si danno pena seguirne le vicende e di ascoltarne le roboanti dichiarazioni.
Questa peculiarità, che trascende persino il concetto stesso di umana natura senza per questo rappresentare una patologia conclamata, è paradossalmente il comune denominatore delle forze, anche contrapposte, che costellano il panorama politico del nostro Paese, dato che è presente sia nel modus operandi della destra che della sinistra e del centro degli schieramenti e fa sì che, in quest’arco apparentemente variegato di istanze e finalità, spesso gli uni si confondano agli altri, lasciando basito ed incerto il non addetto ai lavori.
Ne deriva che il Berlusconi predichi la necessità di tagliare le tasse con la stessa veemenza alla quale ricorre Bertinotti, o che Veltroni reclami attenzione alla sicurezza della vivibilità dei cittadini con la stessa forza con la quale la reclamano Fini o Bossi, in un processo senza soluzione di continuità tale da far impazzire persino le bussole più sofisticate.
Mai, poi, come di questi tempi s’è visto un ricorso così sfacciato alla pratica della smentita di quanto affermato qualche momento prima, accampando pretestuosi fraintendimenti di chi ha ascoltato o più macchinose estrapolazioni di singole affermazioni da contesti fraseologici più complessi, che traviserebbero il senso vero di ciò che si è detto. Ed è tale il livello di aberrazione da arrivare al punto di prender le distanze persino da ciò che risulta inconfutabile da registrazioni, quasi che anche le macchine partecipino ammiccanti alla congiura contro lo spergiuro di turno.
Infine, come in ogni epilogo che si rispetti, v’è l’apoteosi della retromarcia, consistente nel fare ciò che si era giurato, bibbia in mano, di non fare mai a qualunque costo e per qualunque ragione al mondo. Questa apoteosi si celebra ormai quotidianamente. Così Fini, dopo non aver risparmiato ferocissime critiche all’ex alleato Berlusconi, reo di aver fondato un nuovo partito dal predellino di un’auto, senza averlo consultato prima e che giura che mai potrà ricostituirsi un’alleanza politica con il Nano-che-ride, eccolo nuovamente a reggere il moccolo al Cavaliere; eccolo nell’arco di qualche ora tornare all’ovile come un cane bastonato e addirittura preannunciare niente meno che lo scioglimento di AN e la sua confluenza in quel PdL del bistrattato ex ed allo stesso tempo ritrovato alleato; con Mastella ormai ridotto al ruolo di misero questuante al quale tutti hanno chiuso la porta in faccia nonostante la grandiosa azione di killeraggio con la quale aveva fatto cadere il governo Prodi, lusingato dalle promesse della destra di un’accoglienza nello loro liste; all’ottuagenario Ciriaco De Mita, che, risoluto nel non voler gettar la spugna, messo alla porta dai suoi ex amici DS e Margherita non esita a confluire nelle liste dell’orfano Casini, con il quale non ha in comune se non lo sviscerato amore per la poltrona su cui sta seduto da anni immemorabili; a Di Pietro, ex eroe del defunto e dimenticato Mani Pulite, che dopo aver flirtato con Tabacci e l’UDC, finisce per farsi impalmare dal PD che sta su opposta sponda; a Bertinotti e compagni vari, che hanno sparso liquami sul ruolo egemone e interdittorio di DS, Ulivo e Margherita nella precedente coalizione e che caldeggia un apparentamento elettorale con gli stessi in nome della necessità di non consegnare il Paese all’Unto del Signore di Arcore; a Lombardo, leader del movimento autonomista siciliano, che pur di aggrapparsi al bracciolo di quella poltrona di Governatore della Sicilia che spera di far sua che non esita ad allearsi con Berlusconi e la Lega, - sì proprio quella Lega Lombarda di Bossi, Maroni, Calderoli e Borghezio che dicono peste e corna dei terroni.
E si potrebbe continuare all’infinito nel citare chicche similari e ricorrenti di ordinaria follia con la quale questo indomito drappello di fannulloni e grassatori del popolo idiota giornalmente gioca la propria partita a poker solo per salvaguardare i propri ed esclusivi interessi di potere.
D’altra parte poter vantare di aver avuto un Ministro autore di una legge da lui stesso definita una porcata non è cosa di comune vanto. Chissà quanti altri stati al mondo ci invidiano la presenza nello scenario politico e parlamentare di macchiette come Calderoli, quantunque forse non è loro chiaro come sia forte ed irrealizzabile con i metodi della democrazia liberarsi di questi guitti della giostra politica, della cui scomparsa probabilmente non si accorgerebbe alcuno.
Il dramma vero è che in questa Italietta smidollata e ignava si è realizzato nei fatti un golpe da parte dei capi partito ed annesse segreterie, che sono i veri santuari in cui si decide chi andrà ad occupare gli scranni in parlamento, al di fuori di qualsivoglia minimo controllo del cittadino elettore e pagante i loro principeschi stipendi. E’ assurdo che il voto dato ad un partito consenta l’elezione di un incapace nella migliore delle ipotesi e di un farabutto dimostrato in tanti altri casi, solo perché una legge elettorale immorale e golpista ha privato il popolo del legittimo potere di scelta. Né da questa distruzione della legalità si può tirar fuori il nostro Presidente Napolitano, - che non fa mistero del suo sdegno per la legge in questione, - dato che anziché mandare alla Consulta la legge incriminata per una doverosa verifica di legittimità costituzionale ha preferito apporre la propria firma per la promulgazione. E questo chiude il quadro sulla coerenza della politica, un quadro nel quale di certo i De Gasperi, i Pertini, i Berlinguer – per citare alcuni nomi di uomini giusti ancora nella nostra memoria, - non si sarebbero certo fatti ritrarre, non per modestia ma per la vergogna.