I dolori del giovane Walter
Martedì, 1 luglio 2008
Chissà se il buon Veltroni avrà mai un amico di nome Guglielmo a cui scrivere le sue lettere accorate e sgomente sul tragico destino riservatogli dalla sorte. Il poveruomo tutto ha fatto negli ultimi sei mesi per conquistare il cuore di quella che dichiara la sua innamorata, questa povera Italia che forse non merita così tanto affetto, con promesse, blandimenti, giuramenti di moderazione, sopportazione delle offese da parte di altri pretendenti, disponibilità a dialogare con gli avversari e via dicendo, per ritrovarsi alla fine con il classico pugno di mosche in mano, confezionatogli peraltro da colui al quale aveva garantito piena volontà di dialogo, senza pregiudizio alcuno.
V’è da credere che Veltroni non ricorrerà alle estreme conseguenze così come il personaggio di Goethe, anche se l’Italia alla fine l’ha impalmata il valente Silvio, che almeno per un quinquennio la userà e ne abuserà, facendo così onore alla sua fama di sciupa femmine.
Alla luce dell’epilogo c’è da chiedersi se il giovane Walter sia comunque stato un insipiente sprovveduto, - cosa di per sé gravissima in politica, - o un furbetto, che aveva indossato improbabili panni da missionario, con tanto d’ulivo e crocefisso in mano, nel tentativo goffo di conquistare la credibilità dell’elettorato, che sapeva persa a causa delle impopolarissime iniziative assunte dal governo Prodi, di cui il suo partito era stato una solida stampella.
Crediamo di non sbagliare nel propendere per la seconda ipotesi. E non per dissimulato rispetto verso il personaggio – al quale politicamente preferiamo qualche gragario di secondo piano, ma con una storia ideologica più coerente e diamantina, - quanto per il fatto che la trama ordita dal giovane Walter era stata confezionata con grande intelligenza e, solo per errori forse imprevedibili, non ha centrato l’obiettivo. La strategia, infatti, era vincente: liberarsi di soci scomodi come Bertinotti, Pecoraro Scanio, Giordano, Diliberto e qualche nostalgico di Bettino Craxi, che tanto avevano contribuito a confondere la già confusa opinione pubblica, e presentarsi come il leader del partito alfiere del new deal della sinistra italiana, moderato, tollerante, deideologizzato, aperto a laici e cattolici, attento alle istanze di neo-poveri e neo-emarginati, operaista ed allo stesso tempo intento a strizzare l’occhio al capitalismo, anche quello duro e becero verso il quale, – a suo accreditato giudizio, - “occorre accantonare i pregiudizi, visto che tra le categorie lavoratrici non v’è più l’antagonismo retaggio di un passato buio e poco lungimirante, ma comunanza di obiettivi”.
Peccato che al momento della stesura del conto l’oste, contrariamente ad ogni attesa, ha presentato una fattura, che definire indigesta equivarrebbe a qualificare tossica una polpetta alla stricnina. Certo, Giordano e compagni sono spariti dalla scena politica, come cancellati con un colpo di gomma da un elenco scritto a matita, ma questa purga non è stata conseguenza della terapia Veltroni, quanto piuttosto il risultato di un sordido rancore accumolatosi nel corpo elettorale nei quasi due anni di squallore prodiano nei confronti proprio di coloro che, per i più, avrebbero dovuto essere garanti e promotori di maggiore equità, giustizia sociale, redistribuzione del reddito; chirurghi contro la cancrena della disoccupazione giovanile; leali verso gli elettori nell’impegno a rivedere i meccanismi di accesso alle pensioni; incisivi nella lotta alla precarietà dell’occupazione ed al lavoro nero; che invece si erano esercitati in ridicoli quanto inconcludenti e minacciosi proclami l’un contro l’altro e disperdevano risorse in guerre luddiste senza senso contro l’alta velocità o contro i lavori d’ampliamento della base militare NATO di Vicenza. Nel frattempo, mentre questi incoscienti ballavano il minuetto, la prostituzione e la delinquenzialità spicciola, - rispettivamente figlie molto spesso del bisogno e non di ninfomania patologica o propensione cromosomica alla criminalità, - dilagavano nel Paese insieme con la disperazione di migliaia di famiglie impossibilitate a doppiare la fine del mese ed il numero di morti sul lavoro ci rendeva sempre più simili alle realtà del terzo mondo.
Era ovvio che in questo inqualificabile clima di disprezzo assoluto per i problemi della gente, Lega, AN ed il nascituro PdL avessero facile terreno di propaganda e cantassero il de profundis alla coalizione Prodi.
E’ fuori discussione come la vendetta, quella cieca e scevra dal calcolo di convenienza, spesso sconfini nell’autolesionismo. Così gli Italiani, quelli che avevano riposto in Prodi la speranza di un ritorno alla normalità dopo l’uscita dal tunnel di un berlusconismo dedito esclusivamente a gestire i fattacci suoi, e del suo premier innanzitutto, hanno pensato bene a conti fatti come fosse meglio riaffidare il Paese all’Unto del Signore, che, nonostante i nepotismi sfrontati ed arroganti, si rappresentava come il male minore rispetto alla stupidità manifesta di una sinistra traditrice e imbecille.
Adesso di cosa si stupisca il giovane Walter è davvero incomprensibile. Accusa Berlusconi di aver rotto la corda del dialogo con l’ennesima iniziativa di far promulgare una legge che lo ponga al riparo dalle conseguenze dei suoi sporchi affari. Si aspettava forse Veltroni che il signor Berlusconi si rassegnasse all’idea che i suoi debiti in scadenza con la giustizia potessero evolvere in un’eventuale condanna alla carcerazione senza che, in itinere, non escogitasse l’ennesimo stratagemma? Pensava forse che il lupo avesse oltre a cambiare il pelo perso anche il vizio? Così la tregua con Berlusconi, davanti al tentativo di farsi una legge a proprio uso e consumo furbescamente spacciata per emergenza d’ordine pubblico, è miseramente durata lo spazio d’un mattino e Veltroni e congrega si son ritrovati smarriti a dover ridefinire una strategia d’interdizione a questo ennesimo Governo nepotista di nepotisti, che lo sdogani al diffidente giudizio della pubblica opinione, che, ormai rassegnata e del tutto incapace di sperare, annaspa nei ricordi di quanto si stava meglio quando si stava peggio, con Pomicino, Gava, De Lorenzo, - sì, persino lui, ché almeno non c’erano i ticket sulla sanità a saccheggiare le già debilitate finanze familiari.
Anche se l’attuale classe dirigente del PD sembra refrattaria alle mazzate, c’è da augurarsi che le durissime lezioni subite, - a quella delle politiche si è aggiunta la sconfitta senza appello delle amministrative, - accelerino una svolta nella strategia del partito, rendendolo più opposizione, magari più duro e intransigente, pronto a spiegare ai cittadini la ragione del suo dissenso ed energicamente impegnato con tutte le risorse a riacquisire il consenso ed il supporto della gente, piuttosto che perseverare in questa grottesca farsa di buonismo ed arrendevolezza, che fa apparire Di Pietro, unica voce di dissenso nella palude del conformismo di sinistra, un crociato velleitario assediato dai Saraceni e dalle stesse truppe che dovrebbero dagli man forte.
V’è da credere che Veltroni non ricorrerà alle estreme conseguenze così come il personaggio di Goethe, anche se l’Italia alla fine l’ha impalmata il valente Silvio, che almeno per un quinquennio la userà e ne abuserà, facendo così onore alla sua fama di sciupa femmine.
Alla luce dell’epilogo c’è da chiedersi se il giovane Walter sia comunque stato un insipiente sprovveduto, - cosa di per sé gravissima in politica, - o un furbetto, che aveva indossato improbabili panni da missionario, con tanto d’ulivo e crocefisso in mano, nel tentativo goffo di conquistare la credibilità dell’elettorato, che sapeva persa a causa delle impopolarissime iniziative assunte dal governo Prodi, di cui il suo partito era stato una solida stampella.
Crediamo di non sbagliare nel propendere per la seconda ipotesi. E non per dissimulato rispetto verso il personaggio – al quale politicamente preferiamo qualche gragario di secondo piano, ma con una storia ideologica più coerente e diamantina, - quanto per il fatto che la trama ordita dal giovane Walter era stata confezionata con grande intelligenza e, solo per errori forse imprevedibili, non ha centrato l’obiettivo. La strategia, infatti, era vincente: liberarsi di soci scomodi come Bertinotti, Pecoraro Scanio, Giordano, Diliberto e qualche nostalgico di Bettino Craxi, che tanto avevano contribuito a confondere la già confusa opinione pubblica, e presentarsi come il leader del partito alfiere del new deal della sinistra italiana, moderato, tollerante, deideologizzato, aperto a laici e cattolici, attento alle istanze di neo-poveri e neo-emarginati, operaista ed allo stesso tempo intento a strizzare l’occhio al capitalismo, anche quello duro e becero verso il quale, – a suo accreditato giudizio, - “occorre accantonare i pregiudizi, visto che tra le categorie lavoratrici non v’è più l’antagonismo retaggio di un passato buio e poco lungimirante, ma comunanza di obiettivi”.
Peccato che al momento della stesura del conto l’oste, contrariamente ad ogni attesa, ha presentato una fattura, che definire indigesta equivarrebbe a qualificare tossica una polpetta alla stricnina. Certo, Giordano e compagni sono spariti dalla scena politica, come cancellati con un colpo di gomma da un elenco scritto a matita, ma questa purga non è stata conseguenza della terapia Veltroni, quanto piuttosto il risultato di un sordido rancore accumolatosi nel corpo elettorale nei quasi due anni di squallore prodiano nei confronti proprio di coloro che, per i più, avrebbero dovuto essere garanti e promotori di maggiore equità, giustizia sociale, redistribuzione del reddito; chirurghi contro la cancrena della disoccupazione giovanile; leali verso gli elettori nell’impegno a rivedere i meccanismi di accesso alle pensioni; incisivi nella lotta alla precarietà dell’occupazione ed al lavoro nero; che invece si erano esercitati in ridicoli quanto inconcludenti e minacciosi proclami l’un contro l’altro e disperdevano risorse in guerre luddiste senza senso contro l’alta velocità o contro i lavori d’ampliamento della base militare NATO di Vicenza. Nel frattempo, mentre questi incoscienti ballavano il minuetto, la prostituzione e la delinquenzialità spicciola, - rispettivamente figlie molto spesso del bisogno e non di ninfomania patologica o propensione cromosomica alla criminalità, - dilagavano nel Paese insieme con la disperazione di migliaia di famiglie impossibilitate a doppiare la fine del mese ed il numero di morti sul lavoro ci rendeva sempre più simili alle realtà del terzo mondo.
Era ovvio che in questo inqualificabile clima di disprezzo assoluto per i problemi della gente, Lega, AN ed il nascituro PdL avessero facile terreno di propaganda e cantassero il de profundis alla coalizione Prodi.
E’ fuori discussione come la vendetta, quella cieca e scevra dal calcolo di convenienza, spesso sconfini nell’autolesionismo. Così gli Italiani, quelli che avevano riposto in Prodi la speranza di un ritorno alla normalità dopo l’uscita dal tunnel di un berlusconismo dedito esclusivamente a gestire i fattacci suoi, e del suo premier innanzitutto, hanno pensato bene a conti fatti come fosse meglio riaffidare il Paese all’Unto del Signore, che, nonostante i nepotismi sfrontati ed arroganti, si rappresentava come il male minore rispetto alla stupidità manifesta di una sinistra traditrice e imbecille.
Adesso di cosa si stupisca il giovane Walter è davvero incomprensibile. Accusa Berlusconi di aver rotto la corda del dialogo con l’ennesima iniziativa di far promulgare una legge che lo ponga al riparo dalle conseguenze dei suoi sporchi affari. Si aspettava forse Veltroni che il signor Berlusconi si rassegnasse all’idea che i suoi debiti in scadenza con la giustizia potessero evolvere in un’eventuale condanna alla carcerazione senza che, in itinere, non escogitasse l’ennesimo stratagemma? Pensava forse che il lupo avesse oltre a cambiare il pelo perso anche il vizio? Così la tregua con Berlusconi, davanti al tentativo di farsi una legge a proprio uso e consumo furbescamente spacciata per emergenza d’ordine pubblico, è miseramente durata lo spazio d’un mattino e Veltroni e congrega si son ritrovati smarriti a dover ridefinire una strategia d’interdizione a questo ennesimo Governo nepotista di nepotisti, che lo sdogani al diffidente giudizio della pubblica opinione, che, ormai rassegnata e del tutto incapace di sperare, annaspa nei ricordi di quanto si stava meglio quando si stava peggio, con Pomicino, Gava, De Lorenzo, - sì, persino lui, ché almeno non c’erano i ticket sulla sanità a saccheggiare le già debilitate finanze familiari.
Anche se l’attuale classe dirigente del PD sembra refrattaria alle mazzate, c’è da augurarsi che le durissime lezioni subite, - a quella delle politiche si è aggiunta la sconfitta senza appello delle amministrative, - accelerino una svolta nella strategia del partito, rendendolo più opposizione, magari più duro e intransigente, pronto a spiegare ai cittadini la ragione del suo dissenso ed energicamente impegnato con tutte le risorse a riacquisire il consenso ed il supporto della gente, piuttosto che perseverare in questa grottesca farsa di buonismo ed arrendevolezza, che fa apparire Di Pietro, unica voce di dissenso nella palude del conformismo di sinistra, un crociato velleitario assediato dai Saraceni e dalle stesse truppe che dovrebbero dagli man forte.
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