mercoledì, aprile 30, 2008

Non resta che piangere


Martedì, 28 aprile 2008
L’ennesima stagione elettorale si è conclusa, sebbene manchi ancora la convocazione del corpo elettorale per alcune provinciali e comunali, che si terranno nelle prossime settimane. Ma comunque vadano questi scampoli di suffragio popolare, i risultati non serviranno di certo a mutare il quadro che si è delineato con le politiche del 13 e 14 aprile ed i risultai definitivi del ballottaggio per il Comune di Roma, che ha visto l’indiscutibile trionfo del centro-destra e la rotta della sinistra e del centrosinistra.
Già, perché dopo la batosta delle nazionali, che ha sancito la scomparsa dalla geografia parlamentare della sinistra radicale, il ballottaggio per le comunali di Roma ha costretto il centro-sinistra di Veltroni e Franceschini ad incassare la sconfitta di Rutelli, - il Cicciobello Marziano candidato del PD, vice- presidente del Governo Prodi e per due mandati Sindaco della Capitale, - ed il ridimensionamento definitivo delle residue ambizioni di ciò che resta dell’area progressista della politica italiana, che dopo quasi tre lustri ha dovuto cedere il testimone a quel centro-destra che a suo tempo non aveva brillato per buon governo.
E’ noto che la memoria umana è elemento sottile e labile, ma la sconfitta alle comunali di Roma va ben oltre la semplice regola dell’alternanza sempre possibile e, per certi versi, augurabile in politica, poiché cancella con un colpo di spugna il senso delle tante cose positive avvenute per la Città Eterna negli ultimi quindici anni. In ogni caso analizzare le origini di questa ennesima puntata di una Caporetto annunciata è solo apparentemente cosa ardua, dato che oggi sono disponibili dati di lettura che chiariscono sufficientemente i meccanismi che hanno portato la gente ha confermare la propria sfiducia ad una classe dirigente decotta e non più in grado di esprimere progettualità innovativa e credibile. Con queste premesse, va subito sgombrato il campo dalle facili interpretazioni, che attribuirebbero alla cosiddetta onda lunga la schiacciante affermazione della destra, - ché in questo caso non di onda lunga si tratterebbe, ma di vera e propria onda di tsunami in grado di penetrare con violenta profondità nella coscienza degli elettori, - ma di caduta verticale delle credibilità di un’intera classe politica, che ha non solo tradito le aspettative, ma ha dimostrato il più profondo disprezzo per le attese e le speranze di un popolo ormai allo stremo.
Una classe dirigente che si presenta al Paese assumendo l’impegno di risolvere i problemi della disoccupazione giovanile e del lavoro precario, del reinserimento degli ultracinquantenni nel tessuto economico da cui sono sistematicamente espulsi senza prospettive di rientrarvi e senza fonti alternative di reddito, della rimozione dei blocchi che inibiscono o ritardano l’accesso al trattamento pensionistico e prolungano l’agonia di intere famiglie che non sanno come sopravvivere, dell’escalation dei prezzi e del carovita, della tenaglia dei costi dei servizi essenziali e della loro qualità, del peso della tassazione e dei suoi incrementi indotti dai meccanismi inflattivi, dello squallido quadro di privilegi in cui si crogiola la politica in barba alla legittima stizza di milioni di Italiani che non arrivano a fine mese, che ottiene il mandato popolare per fare, nei fatti, tutto il contrario di ciò che ha promesso o che si permette di affermare per bocca dei suoi notabili di maggior spicco che le risorse per onorare gli impegni elettorali non ci sono e, comunque, qualora fossero state disponibili, sarebbero state da destinare a ben altre iniziative, in altre realtà non sarebbe stata solo bocciata dal corpo elettorale, ma con ogni probabilità sarebbe stata assoggettata a ben altre forme di giustizia popolare.
La sconfitta elettorale, dunque, non è per questi personaggi che il mal minore rispetto a ciò che avrebbero effettivamente meritato. E il voto alla Lega dei tanti delusi della sinistra storica non è un voto di semplice protesta, ma una dichiarazione di fiducia e di speranza nei confronti di chi, nel bene e nel male, è stato in grado di garantire provvedimenti a favore dei propri elettori, mantenendo così le promesse e gli impegni assunti.
D’altra parte, - come se l’elenco dei tradimenti e dei misfatti elencati prima non fosse sufficiente, - il popolo italiano era oltremodo stanco di assistere ad assurde querelle di stampo nostalgicamente luddista e completamente prive di attualità storica sull’alta velocità o sulla spazzatura di Napoli, quasi che lo sviluppo, la modernità e l’irreversibile scelta europeista del nostro Paese potesse divenire argomento di dibattito salottiero tra demenziali sostenitori di antistoriche e fatue formule di sviluppo sostenibile: lo sviluppo e la modernità devono essere gestiti e non apoditticamente rigettati in nome di impossibili movimenti a ritroso dell’orologio. Evidentemente i dibattiti, altrettanto allucinanti in senso contrario sulla costruzione del Ponte di Messina, mentre i treni siciliani impiegano quattro ore per percorrere i 190 km da Catania a Palermo, che tanto hanno pesato nel giudizio degli elettori nel punire il precedente governo Berlusconi, non furono d’insegnamento alcuno.
E adesso a questi valenti politici, impenitenti sostenitori di un’Italia che non c’è più, incapaci di cogliere le trasformazioni del Paese e cinicamente sprezzanti del grido di dolore di quelle classi oggi povere, che hanno pagato di tasca propria la proterva ottusagine di un Prodi e congrega, afflitti dalla sindrome del pareggio dei conti in omaggio ai diktat di Bruxelles, non resta che leccarsi le ferite: ma era così peregrina l’idea di rientrare nei parametri di Maastricht nel corso del quinquennio di governo anziché a marce forzate in appena due anni, così rendendo meno onerosi i sacrifici necessari? Credeva Prodi che in questa maniera gli sarebbe stato tributato il duplice tripudio dell’Europa e degli Italiani? Come dimostrano i fatti, aveva fatto malissimo i conti lui e larga parte dei suoi mentori ed il risultato che hanno intascato è stata la vergognosa disfatta della coalizione, accompagnata dalla stentata tenuta del plotone dell’intellighenzia del PD e dei suoi venditori di buonismo.
Ma per il signor Prodi, che con serena strafottenza si gode la pensione in quel di Bologna, e per i tanti suoi consiglieri fraudolenti che altrettanto serenamente sono tornati a godersi appannaggi principeschi a Montecitorio o a Palazzo Madama il senso della vergogna e l’autocritica sono sentimenti del tutto sconosciuti.
Nel frattempo giunge notizia del lento esordio al potere dei nuovi vincitori, che hanno oggi iniziato la stagione del centro-destra eleggendo alla Presidenza del Senato il signor Schifani di Palermo, che ci auguriamo nella nuova ed importante carica voglia offrire di sé al Paese un immagine più obiettiva e distaccata di quanto non abbia fatto in servizio permanente nelle file della CdL. Per il resto, aspettiamo di vedere quali miracoli sarà in grado di realizzare questa nuova coalizione, che della sua passata presenza alla guida dell’Italia non aveva lasciato rimpianti.

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