Alitalia: fine del sindacato?
Giovedì, 10 aprile 2008
Continua la lenta agonia Alitalia. Senza una soluzione in vista e, - che più preoccupa, - con lo spettro del fallimento alle porte. A nulla sono valse le lunghe trattative tra Air France e Sindacati per pervenire ad una soluzione che ammorbidisse il peso degli esuberi evidenziati nel piano industriale del potenziale acquirente. Il Sindacato, anche se sarebbe più opportuno utilizzare il plurale dato che di ben nove sigle si parla, ha fatto una controproposta, che Spinetta, AD di Air France KLM e capo delegazione della parte offerente, ha considerato irricevibile, abbandonando il tavolo del confronto.
Fin qui, nulla di strano rispetto alla normale dinamica di qualunque trattativa sindacale. E’ grave che nel caso in questione non di una normale trattativa si tratti, ma di un tentativo di salvataggio della nostra Compagnia di bandiera al cui naufragio non potrà che seguire il fallimento ed il commissariamento. Questa situazione è ben chiara ai dipendenti della Compagnia, che stizziti da un atteggiamento dei vertici sindacali, nei fatti, autoreferenziale stanno meditando di tornare al tavolo della trattativa senza più avvalersi della rappresentanza delle rispettive sigle sindacali, che così maldestramente, - a loro dire, - hanno condotto sin qui il confronto.
L’ipotesi, qualora attuata, sarebbe dirompente, poiché sancirebbe il de profundis per un sindacato che ormai da lungo tempo è agonizzante ed incapace di rappresentare le istanze della base e che, nella realtà dei fatti, ha completamente e scientemente dismesso la veste di tutore degli interessi dei lavoratori per trasformarsi a tutti gli effetti nell’ennesimo interlocutore politico nello scenario del Paese. Si badi, con questo non si intende disconoscere il diritto per il sindacato di promuovere un proprio ruolo capace di condizionare le scelte della politica. Ma da qui ad assumere prevalentemente ruoli di supporto alla causa di questo o quel partito politico v’è una differenza immediatamente percepibile, che finisce per confinare le istanze dei lavoratori in una posizione subalterna agli umori dei partiti ed al loro quotidiano scontro. Istruttiva è a questo proposito la recente e sofferta trattativa sul welfare e pensioni con il governo in carica, conclusasi con un’intesa fortemente penalizzante per moltissimi lavoratori in procinto di andare in pensione e con montagne di penosi bla-bla sui provvedimenti necessari a ripristinare regole non precarie d’accesso al mercato del lavoro per i giovani. Il tutto in omaggio allo scontro politico in atto tra PD e PRC-PDCI da una parte ed i soliti falchi di AN-CdL dall’altra, che all’interno delle singole sigle sindacali hanno i loro referenti.
Ovviamente nei santuari del potere sindacale, dove la dialettica per la supremazia delle idee si è trasformata in sordida guerra di poltrona, il malessere serpeggiante nella base non è stato ben compreso, anzi in qualche caso , - come nella CISL e nella UIL, - è stato volutamente ignorato, sull’onda di un decisionismo verticistico che da tempo ha cancellato ogni meccanismo democratico di controllo sull’operato delle Segreterie. Con il risultato che sempre più i lavoratori si sentono allo sbando e migrano da una sigla all’altra nella speranza di vedersi meglio tutelati; e sempre più i leader sindacali si prestano al pubblico mediatico spacciando il proprio pensiero e le proprie ambizioni per volontà degli iscritti.
Negli anni ottanta si assistette alla ormai mitica marcia dei quarantamila della FIAT, che intendeva non solo protestare verso l’incapacità del sindacato di capire le esigenze di categorie di lavoratori non rappresentati dal sindacato ancorato ai vecchi schemi di un pan-operaismo vecchio stampo, che comunque nei momenti di necessità chiamava alla lotta anche chi non tutelava. Quella protesta rappresentò una pietra miliare nel processo di disgregazione della rappresentatività, alla quale non fu data alcuna risposta e che iniziò un’epoca di proliferazione di corporativismi ed autonomie d’alternativa allo storico monopolio di CGIL, CISL e UIL.
Sebbene da quegli eventi siano passati quasi trent’anni, il sindacato non ha subito alcun processo d’ammodernamento, ma per certi versi ha serrato i ranghi concentrandosi sempre più in una politica autoreferenziale di tutela, nella quale il confronto con gli iscritti o è episodico o comunque è pilotato dalle ambizioni di delegati e quadri sindacali con a cuore la compiacenza ai propri vertici che ai bisogni degli iscritti.
L’epilogo della questione Alitalia, che coinvolge migliaia di famiglie di lavoratori, rischia dunque con l’eventuale estromissione del sindacato ufficiale dal tavolo del confronto di costituire lo strappo finale, il colpo di piccone risolutivo all’ultimo simbolico muro di Berlino della nostra epoca.
Fu Aristotele a concludere che tutto è politico nell’espletamento delle attività umane, ma è dubbio che con questa enunciazione il grande filosofo intendesse appiccicare un’etichetta partitica anche all’esercizio di salvaguardia dei diritti delle parti per definizione deboli nel rapporto di lavoro. D’altra parte fino a quando il futuro di milioni di giovani in cerca d’occupazione stabile dovrà vedersi condizionato dalle strategie elettorali di Berlusconi e Fini o subordinato agli umori di Veltroni e Franceschini, a cui si conformano a turno le segreterie sindacali e non diverrà invece oggetto primario delle lotta di CGIL, CISL, UIL e quant’altri faccia parte di questo mesto scenario di reggi bordone, non v’è ragione per la quale i lavoratori sprechino i loro già pochi soldi in inutili tessere di affiliazione.
Fin qui, nulla di strano rispetto alla normale dinamica di qualunque trattativa sindacale. E’ grave che nel caso in questione non di una normale trattativa si tratti, ma di un tentativo di salvataggio della nostra Compagnia di bandiera al cui naufragio non potrà che seguire il fallimento ed il commissariamento. Questa situazione è ben chiara ai dipendenti della Compagnia, che stizziti da un atteggiamento dei vertici sindacali, nei fatti, autoreferenziale stanno meditando di tornare al tavolo della trattativa senza più avvalersi della rappresentanza delle rispettive sigle sindacali, che così maldestramente, - a loro dire, - hanno condotto sin qui il confronto.
L’ipotesi, qualora attuata, sarebbe dirompente, poiché sancirebbe il de profundis per un sindacato che ormai da lungo tempo è agonizzante ed incapace di rappresentare le istanze della base e che, nella realtà dei fatti, ha completamente e scientemente dismesso la veste di tutore degli interessi dei lavoratori per trasformarsi a tutti gli effetti nell’ennesimo interlocutore politico nello scenario del Paese. Si badi, con questo non si intende disconoscere il diritto per il sindacato di promuovere un proprio ruolo capace di condizionare le scelte della politica. Ma da qui ad assumere prevalentemente ruoli di supporto alla causa di questo o quel partito politico v’è una differenza immediatamente percepibile, che finisce per confinare le istanze dei lavoratori in una posizione subalterna agli umori dei partiti ed al loro quotidiano scontro. Istruttiva è a questo proposito la recente e sofferta trattativa sul welfare e pensioni con il governo in carica, conclusasi con un’intesa fortemente penalizzante per moltissimi lavoratori in procinto di andare in pensione e con montagne di penosi bla-bla sui provvedimenti necessari a ripristinare regole non precarie d’accesso al mercato del lavoro per i giovani. Il tutto in omaggio allo scontro politico in atto tra PD e PRC-PDCI da una parte ed i soliti falchi di AN-CdL dall’altra, che all’interno delle singole sigle sindacali hanno i loro referenti.
Ovviamente nei santuari del potere sindacale, dove la dialettica per la supremazia delle idee si è trasformata in sordida guerra di poltrona, il malessere serpeggiante nella base non è stato ben compreso, anzi in qualche caso , - come nella CISL e nella UIL, - è stato volutamente ignorato, sull’onda di un decisionismo verticistico che da tempo ha cancellato ogni meccanismo democratico di controllo sull’operato delle Segreterie. Con il risultato che sempre più i lavoratori si sentono allo sbando e migrano da una sigla all’altra nella speranza di vedersi meglio tutelati; e sempre più i leader sindacali si prestano al pubblico mediatico spacciando il proprio pensiero e le proprie ambizioni per volontà degli iscritti.
Negli anni ottanta si assistette alla ormai mitica marcia dei quarantamila della FIAT, che intendeva non solo protestare verso l’incapacità del sindacato di capire le esigenze di categorie di lavoratori non rappresentati dal sindacato ancorato ai vecchi schemi di un pan-operaismo vecchio stampo, che comunque nei momenti di necessità chiamava alla lotta anche chi non tutelava. Quella protesta rappresentò una pietra miliare nel processo di disgregazione della rappresentatività, alla quale non fu data alcuna risposta e che iniziò un’epoca di proliferazione di corporativismi ed autonomie d’alternativa allo storico monopolio di CGIL, CISL e UIL.
Sebbene da quegli eventi siano passati quasi trent’anni, il sindacato non ha subito alcun processo d’ammodernamento, ma per certi versi ha serrato i ranghi concentrandosi sempre più in una politica autoreferenziale di tutela, nella quale il confronto con gli iscritti o è episodico o comunque è pilotato dalle ambizioni di delegati e quadri sindacali con a cuore la compiacenza ai propri vertici che ai bisogni degli iscritti.
L’epilogo della questione Alitalia, che coinvolge migliaia di famiglie di lavoratori, rischia dunque con l’eventuale estromissione del sindacato ufficiale dal tavolo del confronto di costituire lo strappo finale, il colpo di piccone risolutivo all’ultimo simbolico muro di Berlino della nostra epoca.
Fu Aristotele a concludere che tutto è politico nell’espletamento delle attività umane, ma è dubbio che con questa enunciazione il grande filosofo intendesse appiccicare un’etichetta partitica anche all’esercizio di salvaguardia dei diritti delle parti per definizione deboli nel rapporto di lavoro. D’altra parte fino a quando il futuro di milioni di giovani in cerca d’occupazione stabile dovrà vedersi condizionato dalle strategie elettorali di Berlusconi e Fini o subordinato agli umori di Veltroni e Franceschini, a cui si conformano a turno le segreterie sindacali e non diverrà invece oggetto primario delle lotta di CGIL, CISL, UIL e quant’altri faccia parte di questo mesto scenario di reggi bordone, non v’è ragione per la quale i lavoratori sprechino i loro già pochi soldi in inutili tessere di affiliazione.
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