Alitalia e Malpensa. Una vicenda con sciacalli, imbroglioni e opportunisti.
Martedì, 1 aprile 2008
Da qualche mese non si fa che parlare di Alitalia e di Malpensa come di due entità il cui destino sembra strettamente interconnesso, nel senso che il tracollo della prima non può che produrre venefici effetti sulla seconda. In verità il destino della compagnia di bandiera e dell’hub milanese sono strettamente legati, visto che l’aeroporto in questione è stato costruito al suon di miliardi delle vecchie lire proprio per soddisfare le ambizioni di rilancio di Alitalia, che di Malpensa già negli anni 90 pensava di fare lo scalo di riferimento dei suoi traffici nazionali ed internazionali.
Il progetto aeroportuale, portato a compimento nell’anno 2000, pur con qualche limitazione sia di piste di decollo che di terminal, ma comunque tra interminabili polemiche con le amministrazioni dei paesi gravitanti nell’area, che lamentavano livelli insopportabili di inquinamento, sembrava dover rispondere moderne alle esigenze del traffico aereo, previste in rapida riorganizzazione in tutta Europa per effetto delle liberalizzazioni dei cieli e l’abbattimento delle politiche protezionistiche del traffico aereo nazionale nell’Europa comunitaria.
Contrariamente alle previsioni, il completamento di Malpensa, sebbene parziale, è coinciso con l’inesorabile declino della competitività di Alitalia, incapace di reggere la concorrenza non solo degli altri vettori internazionali e delle compagnie low cost, ma anche l’impatto di una politica sempre più invasiva dell’economia, che ha rafforzato la capacità interdittiva e condizionante di scelte imprenditoriali che nulla avrebbero dovuto spartire con la politica medesima. Chi non ricorda le durissime polemiche sul ridimensionamento di Linate, nei fatti mai avvenuto, che ha compromesso in modo decisivo il decollo di Malpensa? Come non tenere conto degli esiziali tentennamenti del management di Alitalia nello sciogliere il dilemma se trasferire il personale sullo scalo di Malpensa da quello di Fiumicino per abbattere il costo del riposizionamento giornaliero degli equipaggi? Come non considerare l’assurda ed omissiva politica dei trasporti della Regione Lombardia nella progettazione di infrastrutture di collegamento rapide tra Milano ed il nuovo aeroporto sperduto nelle irraggiungibili nebbie del Varesotto? Chi ha dimenticato le battaglie sindacali, di quei sindacati che oggi piangono sul latte versato, in difesa degli assurdi privilegi dei dipendenti Alitalia e degli aeroporti o per costringere la stabilizzazione di schiere e schiere di lavoratori stagionali?
I quesiti da porsi per spiegare la fase prefallimentare in cui Alitalia si trova sono tanti e coinvolgono tutte le forze politiche senza eccezione alcuna, in un balletto di responsabilità che definire da voltastomaco non rende a sufficienza l’idea dei misfatti che sono stati compiuti per giungere alla conclusione cui si è davanti. Adesso, sempre nella certezza della fragilità della memoria della gente comune, gli stessi politici e gli stessi partiti, sindacati compresi, scendono in campo per addossare agli oppositori quanto è frutto delle proprie dissennate pressioni e si ergono a paladini di improbabili soluzioni per la salvezza del moribondo.
Qualche richiamo non sarà inutile per rinfrescare la memoria, dato che Lega con il signor Bossi e gregari può vantare più di un corteo e qualche blocco stradale in difesa degli interessi dei "poveri" abitanti del circondario aeroportuale, frastornati dall’insopportabile rumore degli aerei in atterraggio e decollo e per questo spesso risarciti a fior di milioni per vedere alleviate le proprie sofferenze. Certo, fa un po’ specie che adesso gli stessi personaggi siano scesi in campo per difendere ciò che sino ad ieri hanno attaccato con spudorata veemenza.
C’è poi chi Air France l’aveva caldeggiata da Presidente del Consiglio, indicandola come la compagnia dal cui accordo con Alitalia non avrebbero potuto che derivare opportunità. Adesso lo stesso personaggio punta il dito sulla crudeltà del piano Spinetta e, prima spara la balla spaziale dell’inesistente cordata di imprenditori nazionali pronti a fare un’offerta alternativa ad Air France, poi promette che da prossimo Premier di questa Repubblica delle banane metterà in campo ogni misura per sbarrare il passo ai cattivi imprenditori francolandesi.
C’è chi nel consiglio d’amministrazione d’Alitalia vi è pure stato, sia da presidente che da consigliere. Lo stesso, cambiato il cappello, grazie alle lottizzazioni politiche cui partecipa a quattro ganasce anche quella Lega che si dichiara al di sopra di questi metodi da prima repubblica, oggi presidente di quella SEA proprietaria di Malpensa, non dice mica cosa non ha fatto quando stava in Alitalia per risolvere i problemi della compagnia di bandiera e dell’hub varesino, ma assurge a paladino degli interessi di Malpensa e dei suoi amici leghisti di Varese ed accusa Alitalia di tradimento – ha promosso contro la compagnia una causa da 1200 milioni di euro perché sarebbe venuta meno agli impegni assunti a suo tempo sul trasferimento dell’hub da Fiumicino a Malpensa.
Se non bastasse, scende in campo anche il signor Formigoni, brillante ex governatore della Regione Lombardia, che dichiara di non poter accettare il piano Air France per le gravi ricadute che lo stesso avrebbe sull’occupazione di Malpensa e sul traffico aereo in Lombardia. Naturalmente la sua faccia tosta vuole che non confessi che i guai dell’hub sono da imputare anche alla gravissima insufficienza di mezzi di collegamento tra la città e quell’aeroporto, che raggiungere per via stradale rende consigliabile la stesura di un testamento a futura memoria, dato il traffico apocalittico che intasa perennemente il raccordo Torino-Venezia su cui obbligatoriamente si deve transitare; mentre il collegamento ferroviario è monopolio delle Ferrovie Nord Milano, protettorato di AN, che ha imposto tariffe da TGV per la percorrenza di appena 40 kilometri. Né è pensabile ricorrere al taxi e non solo per le già menzionate problematiche di traffico, quanto per la rapina legalizzata cui il disgraziato passeggero è sottoposto, costretto a pagare cifre a cavallo dei 100 euro, con il benestare dell’amministrazione comunale e regionale cui compete fissare le tariffe.
Se tutto ciò non bastasse o dovesse venir tacciato di sinistrismo, etichetta che tanto sta a cuore a tutti i personaggi che abbiamo citato, vorremmo richiamare l’attenzione sul fatto che l’azienda Alitalia è stata gestita da sempre, - se mai di gestione è possibile parlare e non sia più il caso di usare definizioni più pertinenti, - da personaggi nominati dalla DC, quando questa esisteva, e dai suoi derivati quando questo partito è scomparso. Pretendere di accollare la responsabilità della disfatta Alitalia al governo Prodi, - che di responsabilità ne avrà tante ma non certo questa, anche se il signor Prodi in tema di privatizzazioni ha dimostrato in altre occasioni passate che pur di disfarsi di pesi considerati inutili non esita a concludere operazioni al limite dell’autolesionismo per gli interessi del Paese, - peraltro in un rigurgito di becero e disgustoso nazionalismo di maniera, è oltremodo dequalificante per chi lo fa sapendo di mentire, se non una squallida manovretta di mera propaganda elettorale.
In questo scenario vi sono infine i sindacati, i sedicenti rappresentanti degli interessi dei lavoratori, che in mille occasioni hanno forzato la mano a governi e consigli d’amministrazione di aeroporti e compagnie aeree, Alitalia in testa, pur di conseguire i loro discutibili traguardi in tessere sindacali e benefici personali per qualche loro esponente.
In questo quadro di disastro nazionale, il cui epilogo è coinciso con la campagna elettorale, tutti hanno approfittato nell’alzare la voce in difesa dell’indifendibile e comunque tardivamente per sperare di raddrizzare le sorti di Alitalia. Ma anche se ciò fosse stato ancora possibile, l’eventualità non autorizzava alcuna delle pie congregazioni a speculare in modo così meschino su una vicenda nella quale gli stessi hanno giocato negativamente in modo in equivoco.
E’ noto che le campagne elettorali sono infarcite di mille espedienti propagandistici per accaparrarsi i consensi, ma non è eticamente lecito consentire a sciacalli, opportunisti e qualche imbroglione farsi campagna di proselitismo sulle disgrazie altrui, specialmente quando a queste disgrazie hanno in qualche misura dato un significativo contributo.
Il progetto aeroportuale, portato a compimento nell’anno 2000, pur con qualche limitazione sia di piste di decollo che di terminal, ma comunque tra interminabili polemiche con le amministrazioni dei paesi gravitanti nell’area, che lamentavano livelli insopportabili di inquinamento, sembrava dover rispondere moderne alle esigenze del traffico aereo, previste in rapida riorganizzazione in tutta Europa per effetto delle liberalizzazioni dei cieli e l’abbattimento delle politiche protezionistiche del traffico aereo nazionale nell’Europa comunitaria.
Contrariamente alle previsioni, il completamento di Malpensa, sebbene parziale, è coinciso con l’inesorabile declino della competitività di Alitalia, incapace di reggere la concorrenza non solo degli altri vettori internazionali e delle compagnie low cost, ma anche l’impatto di una politica sempre più invasiva dell’economia, che ha rafforzato la capacità interdittiva e condizionante di scelte imprenditoriali che nulla avrebbero dovuto spartire con la politica medesima. Chi non ricorda le durissime polemiche sul ridimensionamento di Linate, nei fatti mai avvenuto, che ha compromesso in modo decisivo il decollo di Malpensa? Come non tenere conto degli esiziali tentennamenti del management di Alitalia nello sciogliere il dilemma se trasferire il personale sullo scalo di Malpensa da quello di Fiumicino per abbattere il costo del riposizionamento giornaliero degli equipaggi? Come non considerare l’assurda ed omissiva politica dei trasporti della Regione Lombardia nella progettazione di infrastrutture di collegamento rapide tra Milano ed il nuovo aeroporto sperduto nelle irraggiungibili nebbie del Varesotto? Chi ha dimenticato le battaglie sindacali, di quei sindacati che oggi piangono sul latte versato, in difesa degli assurdi privilegi dei dipendenti Alitalia e degli aeroporti o per costringere la stabilizzazione di schiere e schiere di lavoratori stagionali?
I quesiti da porsi per spiegare la fase prefallimentare in cui Alitalia si trova sono tanti e coinvolgono tutte le forze politiche senza eccezione alcuna, in un balletto di responsabilità che definire da voltastomaco non rende a sufficienza l’idea dei misfatti che sono stati compiuti per giungere alla conclusione cui si è davanti. Adesso, sempre nella certezza della fragilità della memoria della gente comune, gli stessi politici e gli stessi partiti, sindacati compresi, scendono in campo per addossare agli oppositori quanto è frutto delle proprie dissennate pressioni e si ergono a paladini di improbabili soluzioni per la salvezza del moribondo.
Qualche richiamo non sarà inutile per rinfrescare la memoria, dato che Lega con il signor Bossi e gregari può vantare più di un corteo e qualche blocco stradale in difesa degli interessi dei "poveri" abitanti del circondario aeroportuale, frastornati dall’insopportabile rumore degli aerei in atterraggio e decollo e per questo spesso risarciti a fior di milioni per vedere alleviate le proprie sofferenze. Certo, fa un po’ specie che adesso gli stessi personaggi siano scesi in campo per difendere ciò che sino ad ieri hanno attaccato con spudorata veemenza.
C’è poi chi Air France l’aveva caldeggiata da Presidente del Consiglio, indicandola come la compagnia dal cui accordo con Alitalia non avrebbero potuto che derivare opportunità. Adesso lo stesso personaggio punta il dito sulla crudeltà del piano Spinetta e, prima spara la balla spaziale dell’inesistente cordata di imprenditori nazionali pronti a fare un’offerta alternativa ad Air France, poi promette che da prossimo Premier di questa Repubblica delle banane metterà in campo ogni misura per sbarrare il passo ai cattivi imprenditori francolandesi.
C’è chi nel consiglio d’amministrazione d’Alitalia vi è pure stato, sia da presidente che da consigliere. Lo stesso, cambiato il cappello, grazie alle lottizzazioni politiche cui partecipa a quattro ganasce anche quella Lega che si dichiara al di sopra di questi metodi da prima repubblica, oggi presidente di quella SEA proprietaria di Malpensa, non dice mica cosa non ha fatto quando stava in Alitalia per risolvere i problemi della compagnia di bandiera e dell’hub varesino, ma assurge a paladino degli interessi di Malpensa e dei suoi amici leghisti di Varese ed accusa Alitalia di tradimento – ha promosso contro la compagnia una causa da 1200 milioni di euro perché sarebbe venuta meno agli impegni assunti a suo tempo sul trasferimento dell’hub da Fiumicino a Malpensa.
Se non bastasse, scende in campo anche il signor Formigoni, brillante ex governatore della Regione Lombardia, che dichiara di non poter accettare il piano Air France per le gravi ricadute che lo stesso avrebbe sull’occupazione di Malpensa e sul traffico aereo in Lombardia. Naturalmente la sua faccia tosta vuole che non confessi che i guai dell’hub sono da imputare anche alla gravissima insufficienza di mezzi di collegamento tra la città e quell’aeroporto, che raggiungere per via stradale rende consigliabile la stesura di un testamento a futura memoria, dato il traffico apocalittico che intasa perennemente il raccordo Torino-Venezia su cui obbligatoriamente si deve transitare; mentre il collegamento ferroviario è monopolio delle Ferrovie Nord Milano, protettorato di AN, che ha imposto tariffe da TGV per la percorrenza di appena 40 kilometri. Né è pensabile ricorrere al taxi e non solo per le già menzionate problematiche di traffico, quanto per la rapina legalizzata cui il disgraziato passeggero è sottoposto, costretto a pagare cifre a cavallo dei 100 euro, con il benestare dell’amministrazione comunale e regionale cui compete fissare le tariffe.
Se tutto ciò non bastasse o dovesse venir tacciato di sinistrismo, etichetta che tanto sta a cuore a tutti i personaggi che abbiamo citato, vorremmo richiamare l’attenzione sul fatto che l’azienda Alitalia è stata gestita da sempre, - se mai di gestione è possibile parlare e non sia più il caso di usare definizioni più pertinenti, - da personaggi nominati dalla DC, quando questa esisteva, e dai suoi derivati quando questo partito è scomparso. Pretendere di accollare la responsabilità della disfatta Alitalia al governo Prodi, - che di responsabilità ne avrà tante ma non certo questa, anche se il signor Prodi in tema di privatizzazioni ha dimostrato in altre occasioni passate che pur di disfarsi di pesi considerati inutili non esita a concludere operazioni al limite dell’autolesionismo per gli interessi del Paese, - peraltro in un rigurgito di becero e disgustoso nazionalismo di maniera, è oltremodo dequalificante per chi lo fa sapendo di mentire, se non una squallida manovretta di mera propaganda elettorale.
In questo scenario vi sono infine i sindacati, i sedicenti rappresentanti degli interessi dei lavoratori, che in mille occasioni hanno forzato la mano a governi e consigli d’amministrazione di aeroporti e compagnie aeree, Alitalia in testa, pur di conseguire i loro discutibili traguardi in tessere sindacali e benefici personali per qualche loro esponente.
In questo quadro di disastro nazionale, il cui epilogo è coinciso con la campagna elettorale, tutti hanno approfittato nell’alzare la voce in difesa dell’indifendibile e comunque tardivamente per sperare di raddrizzare le sorti di Alitalia. Ma anche se ciò fosse stato ancora possibile, l’eventualità non autorizzava alcuna delle pie congregazioni a speculare in modo così meschino su una vicenda nella quale gli stessi hanno giocato negativamente in modo in equivoco.
E’ noto che le campagne elettorali sono infarcite di mille espedienti propagandistici per accaparrarsi i consensi, ma non è eticamente lecito consentire a sciacalli, opportunisti e qualche imbroglione farsi campagna di proselitismo sulle disgrazie altrui, specialmente quando a queste disgrazie hanno in qualche misura dato un significativo contributo.
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