Istituzioni: l’invasione dei coatti
Martedì, 22 luglio 2008
Bravo ministro Bossi, quel dito alzato al suono dell’inno di Mameli non solo non le fa onore, ma disonora quel Popolo Padano che conduce da oltre un ventennio, in visibilio davanti al suo eloquente gesto.
Ancora una volta il bolso condottiero delle fantomatiche legioni del nord non perde occasione per sputare nel piatto in cui mangia a quattro ganasce da anni e adesso se la prende con l’inno nazionale, che confessa di avere avuto fin da ragazzo in grande antipatia. Sì, perché il signor Bossi - che tanto signore poi non deve essere, alla luce dei trucidi spettacoli e delle volgarità verbali cui spesso si abbandona, - da anni siede in Parlamento e si rimpinza le tasche della straricca indennità che gli compete per la carica, pagata dai cafoni che guida e dai terroni che dileggia.
Certo, dovrà trattarsi o d’innato amore per l’avanspettacolo o di qualche sfasatura sinaptica, dato che non si capisce bene con quale coerenza dica o faccia certe cose, considerato che il fato gli ha dato una moglie meridionale e che vive agiatamente con lo stipendio da parlamentare dell’odiata Repubblica italiana. Ciononostante, continua a seminare odio contro l’unità nazionale, contro le istituzioni ed a minacciare ridicole secessioni con tanto di richiamo alle armi di quattro cialtroni armati di forche e di badili, - lui giura che hanno gli schioppi, - che dovrebbero costituire nella sua alterata visione della realtà la Repubblica Padana, magari con tanto di garitte e sbarre di confine nei pressi di Piacenza.
Il comune cittadino, - che rischierebbe serie conseguenze penali se solo dicesse una minima parte di quanto predica questo sbruffone brianzolo, - rimane basito davanti a questo scempio delle istituzioni perpetrato con sistematicità dai rappresentanti di quelle medesime istituzioni. Così come si chiede la ragione per la quale la magistratura, quella magistratura indignata per gli attacchi concentrici cui è soggetta giornalmente, rimanga impassibile a guardare e ad ascoltare le farneticazioni oltraggiose di questo personaggio senza assumere uno straccio d’iniziativa nei suoi confronti.
Tra l’altro, l’indegno rappresentante delle istituzioni Bossi non è solo in questa squallida farsa, ma è spalleggiato da un nugolo di bravi sempre pronti a minimizzarne o difenderne le allucinanti sparate, adducendo aspetti caratteriali tanto incorreggibili quanto innocui del loro leader, che in realtà con le boutade provocatorie avrebbe solo l’obiettivo di tenere alta l’attenzione sui problemi irrisolti del Paese, problemi di cui il federalismo ed altre panzane accessorie rappresenterebbero gli unici antibiotici efficaci.
Personalmente non pensiamo che l’attenzione al federalismo, ancorché giusto o sbagliato, possa essere mantenuta con il disprezzo e la contumelia verso una parte consistente del Paese, anche perché, se è vero che in democrazia vale il principio di maggioranza, Bossi ed il suo carrozzone di velenosi nani e ballerine razzisti non rappresenta certo la maggioranza degli Italiani, - che se non si fossero troppo abituati ai guitti, ai predicatori ed agli affaristi presenti nel nostro degradato scenario politico, forse avrebbero già affibbiato a questo rozzo rimestatore un sonoro calcione nel fondo schiena non appena si fosse presentato a Fiumicino e lo avrebbero così rispedito alle sorgenti del Po a rinfrescarsi le idee e ad affilare la roncola per prepararsi all’improbabile marcia su Roma, piuttosto che permettergli di gonfiarsi lo stomaco in un qualche ristorante della capitale con un buon piatto di spaghetti all’amatriciana pagato con i soldi dei contribuenti della Penisola.
Ma ormai è noto che i cattivi vezzi sono molto più contagiosi delle virtù e Bossi, in questo trionfo di volgarità e malanimo, non è l’unico elemento. Gli tiene buona compagnia il Presidente del Consiglio, passato alla storia per gli insulti ad un parlamentare europeo; per le corna ostentate in una foto di gruppo con altri capi di governo; per gli inguaribili rigurgiti di gallismo nei confronti di colleghe o di impiegate degli uffici che ospitano le riunioni politiche dei rappresentanti delle istituzioni internazionali; per le velenose dichiarazioni nei confronti di avversari ed oppositori e per tante altre chicche, che sarebbe lungo e noiso elencare.
Che dire poi di quel Gasparri, Presidente del gruppo parlamentare del PdL che appena qualche giorno fa ha etichettato cloaca il Consiglio Superiore della Magistratura di cui è presidente il signor Giorgio Napolitano, rappresentante di tutti gli Italiani? C’è da ritenere che Gasparri debba avere una certa dimestichezza con le cloache, se non ha avuto alcun dubbio nel definire così il CSM, dato che all’occhio del profano questa istituzione, sicuramente migliorabile, non pare così sudicia ed emanare i tipici miasmi cui il provetto deputato sottintende pur senza citarli.
La chiave di lettura di queste incontinenze gestuali e verbali è probabile stia altrove e sia da attribuire al degrado cui l’Italia è ormai soggetta da lungo tempo, degrado che ha consentito di reclutare tra i rappresentanti della Repubblica una schiera di coatti che, ignari del significato delle parole, hanno confuso l’immunità con il termine impunità, quasi non avessero mai smesso i panni degli smargiassi di quartiere, terrore di bambini e vecchiette, e adesso nella cristalleria si muovono come pachidermi, incapaci di controllare istinti e conseguenze dei loro movimenti scoordinati. Dimostrano costoro di essere solo un manipolo di bulli borgatari, che ritengono di potersi permettere l’insulto e lo svillaneggiamento di tutti e di tutto, sol perché nei territori in cui hanno vissuto la giustizia è spesso assente o al più distratta; salvo reagire di brutto quando capita che bersaglio dell’insulto siano loro o si sentano dare del buffone da qualche insofferente temerario.
Ed è davanti a questo spettacolo che bisognerebbe gridare “alle armi, alle armi!”, ma non per avallare le attese di quattro irredentisti fuori di testa oltre che dai tempi, ma per liberare il Paese dal cancro del degrado dei valori e della caduta d’identità di cui una casta di parassiti ed opportunisti lo ha fatto ammalare.
(nella foto: il Ministro Bossi ostenta il dito in segno di irriverenza verso l'inno nazionale)
Bravo ministro Bossi, quel dito alzato al suono dell’inno di Mameli non solo non le fa onore, ma disonora quel Popolo Padano che conduce da oltre un ventennio, in visibilio davanti al suo eloquente gesto.
Ancora una volta il bolso condottiero delle fantomatiche legioni del nord non perde occasione per sputare nel piatto in cui mangia a quattro ganasce da anni e adesso se la prende con l’inno nazionale, che confessa di avere avuto fin da ragazzo in grande antipatia. Sì, perché il signor Bossi - che tanto signore poi non deve essere, alla luce dei trucidi spettacoli e delle volgarità verbali cui spesso si abbandona, - da anni siede in Parlamento e si rimpinza le tasche della straricca indennità che gli compete per la carica, pagata dai cafoni che guida e dai terroni che dileggia.
Certo, dovrà trattarsi o d’innato amore per l’avanspettacolo o di qualche sfasatura sinaptica, dato che non si capisce bene con quale coerenza dica o faccia certe cose, considerato che il fato gli ha dato una moglie meridionale e che vive agiatamente con lo stipendio da parlamentare dell’odiata Repubblica italiana. Ciononostante, continua a seminare odio contro l’unità nazionale, contro le istituzioni ed a minacciare ridicole secessioni con tanto di richiamo alle armi di quattro cialtroni armati di forche e di badili, - lui giura che hanno gli schioppi, - che dovrebbero costituire nella sua alterata visione della realtà la Repubblica Padana, magari con tanto di garitte e sbarre di confine nei pressi di Piacenza.
Il comune cittadino, - che rischierebbe serie conseguenze penali se solo dicesse una minima parte di quanto predica questo sbruffone brianzolo, - rimane basito davanti a questo scempio delle istituzioni perpetrato con sistematicità dai rappresentanti di quelle medesime istituzioni. Così come si chiede la ragione per la quale la magistratura, quella magistratura indignata per gli attacchi concentrici cui è soggetta giornalmente, rimanga impassibile a guardare e ad ascoltare le farneticazioni oltraggiose di questo personaggio senza assumere uno straccio d’iniziativa nei suoi confronti.
Tra l’altro, l’indegno rappresentante delle istituzioni Bossi non è solo in questa squallida farsa, ma è spalleggiato da un nugolo di bravi sempre pronti a minimizzarne o difenderne le allucinanti sparate, adducendo aspetti caratteriali tanto incorreggibili quanto innocui del loro leader, che in realtà con le boutade provocatorie avrebbe solo l’obiettivo di tenere alta l’attenzione sui problemi irrisolti del Paese, problemi di cui il federalismo ed altre panzane accessorie rappresenterebbero gli unici antibiotici efficaci.
Personalmente non pensiamo che l’attenzione al federalismo, ancorché giusto o sbagliato, possa essere mantenuta con il disprezzo e la contumelia verso una parte consistente del Paese, anche perché, se è vero che in democrazia vale il principio di maggioranza, Bossi ed il suo carrozzone di velenosi nani e ballerine razzisti non rappresenta certo la maggioranza degli Italiani, - che se non si fossero troppo abituati ai guitti, ai predicatori ed agli affaristi presenti nel nostro degradato scenario politico, forse avrebbero già affibbiato a questo rozzo rimestatore un sonoro calcione nel fondo schiena non appena si fosse presentato a Fiumicino e lo avrebbero così rispedito alle sorgenti del Po a rinfrescarsi le idee e ad affilare la roncola per prepararsi all’improbabile marcia su Roma, piuttosto che permettergli di gonfiarsi lo stomaco in un qualche ristorante della capitale con un buon piatto di spaghetti all’amatriciana pagato con i soldi dei contribuenti della Penisola.
Ma ormai è noto che i cattivi vezzi sono molto più contagiosi delle virtù e Bossi, in questo trionfo di volgarità e malanimo, non è l’unico elemento. Gli tiene buona compagnia il Presidente del Consiglio, passato alla storia per gli insulti ad un parlamentare europeo; per le corna ostentate in una foto di gruppo con altri capi di governo; per gli inguaribili rigurgiti di gallismo nei confronti di colleghe o di impiegate degli uffici che ospitano le riunioni politiche dei rappresentanti delle istituzioni internazionali; per le velenose dichiarazioni nei confronti di avversari ed oppositori e per tante altre chicche, che sarebbe lungo e noiso elencare.
Che dire poi di quel Gasparri, Presidente del gruppo parlamentare del PdL che appena qualche giorno fa ha etichettato cloaca il Consiglio Superiore della Magistratura di cui è presidente il signor Giorgio Napolitano, rappresentante di tutti gli Italiani? C’è da ritenere che Gasparri debba avere una certa dimestichezza con le cloache, se non ha avuto alcun dubbio nel definire così il CSM, dato che all’occhio del profano questa istituzione, sicuramente migliorabile, non pare così sudicia ed emanare i tipici miasmi cui il provetto deputato sottintende pur senza citarli.
La chiave di lettura di queste incontinenze gestuali e verbali è probabile stia altrove e sia da attribuire al degrado cui l’Italia è ormai soggetta da lungo tempo, degrado che ha consentito di reclutare tra i rappresentanti della Repubblica una schiera di coatti che, ignari del significato delle parole, hanno confuso l’immunità con il termine impunità, quasi non avessero mai smesso i panni degli smargiassi di quartiere, terrore di bambini e vecchiette, e adesso nella cristalleria si muovono come pachidermi, incapaci di controllare istinti e conseguenze dei loro movimenti scoordinati. Dimostrano costoro di essere solo un manipolo di bulli borgatari, che ritengono di potersi permettere l’insulto e lo svillaneggiamento di tutti e di tutto, sol perché nei territori in cui hanno vissuto la giustizia è spesso assente o al più distratta; salvo reagire di brutto quando capita che bersaglio dell’insulto siano loro o si sentano dare del buffone da qualche insofferente temerario.
Ed è davanti a questo spettacolo che bisognerebbe gridare “alle armi, alle armi!”, ma non per avallare le attese di quattro irredentisti fuori di testa oltre che dai tempi, ma per liberare il Paese dal cancro del degrado dei valori e della caduta d’identità di cui una casta di parassiti ed opportunisti lo ha fatto ammalare.
(nella foto: il Ministro Bossi ostenta il dito in segno di irriverenza verso l'inno nazionale)
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