martedì, settembre 16, 2008

Alitalia, la fiction continua


Martedì, 16 settembre 2008
Più passano le ore e più la vicenda Alitalia assume connotazioni di vera e propria tragedia nazionale, intrisa peraltro di foschi messaggi sullo stile con il quale questa coalizione di governo e l'imprenditoria nazionale intenderà regolare i conti con i il mondo del lavoro.
Sull’Alitalia sono stati sprecati fiumi d’inchiostro per descriverne le criticità, il ruolo della politica, i comportamenti corporativi del sindacato e le dichiarazioni di Berlusconi, mentore di un progetto industriale di salvataggio dai contorni indefiniti e, comunque, dalle poche notizie trapelate, insufficiente se non già morto sul nascere.
Ovviamente, la stampa nazionale, sperabilmente affetta da scoopismo rosa più che interessata all’analisi critica dei contenuti, poco ha detto circa la reale inconsistenza del progetto Fenice elaborato da Corrado Passera di Intesa-S. Paolo, preferendo fare da grancassa alle dichiarazioni ora di Berlusconi, ora di Sacconi, ora di qualche vedette sindacale, ma lasciando intatto il velo di mistero che ammanta il progetto sposato dalla CAI, cordata di imprenditori in corsa per rilevare le ceneri di Alitalia, o la pochezza delle prospettive industriali sulla quale in piano di salvataggio sembra costruito.
Un piano che, di fondo, sembra fare un favore al solo Carlo Toto, proprietario della comatosa AirOne, che, in proporzione alle dimensioni aziendali, registra un debito complessivo tale da fare impallidire gli analisti al capezzale Alitalia. Un piano che prevede una valutazione di 300 milioni di euro per la vecchia Alitalia ed un analogo valore per la AirOne, che non tiene dunque in alcun conto il valore storico del marchio, il prestigio internazionale, la dimensione della flotta e la proprietà degli slot della Compagnia di bandiera – il cosiddetto avviamento – e pone sullo stesso piano ciò che potrebbe assimilarsi al raffronto tra un padroncino ed una grande impresa di trasporto. Se ciò non bastasse, non può non tenersi conto del fatto che Alitalia possiede circa 150 aeromobili, che con i noleggi portano il parco a 240 aerei, mentre la Compagnia di Toto vanta una flotta di 60 aeromobili, certamente più moderni dei Super 80 Alitalia, ma interamente a noleggio e le cui rate sono state garanite dalle banche (sarebbe interessante sapere se Intesa- S. Paolo ha in qualche misura coinvolgimento in questa operazione di leasing, ndr). Come riferisce il quotidiano on-line l’Inviato SpecialeAirone è nei guai. Gli aerei sono mezzi vuoti ed è in perdita. Fino a giugno del 2008 il rapporto tra i posti disponibili e quelli occupati da viaggiatori è stato il più basso d’Europa tra le quasi trenta compagnie dell’Aea. Nel 2007 ha perso 32 milioni ed il fatturato è stato di 785 milioni. Alla fine del 2007 aveva novecento milioni di debito, salito a oltre un miliardo nei primi sei mesi del 2008. L’eplosione del passivo è determinata in gran parte dall’acquisizione degli Airbus 320, collocati in Irlanda e affittati a Airone.” Ed è davanti a quest’evidenza che il quotidiano in questione si pone il serio interrogativo se l’operazione CAI-Alitalia non sia piuttosto diretta al salvataggio di AirOne che a quello della Compagnia nazionale.
Certo è che il mitico piano industriale del CAI, che prevede l’assorbimento di circa 11.500 dipendenti degli attuali 17.500, con un esubero di 3.250 persone a valle del reimpiego di 2.750 unità in attività di manutenzione, call center ed amministrazione, indica in 65 rotte, tra nazionali ed europee, il business del nuovo vettore, che opererebbe con un capitale di un miliardo e raggiungerebbe il pareggio nell’arco di 2 anni.
Dato che non occorre essere esperti di trasporto aereo per capire che la redditività si gioca sulla concorrenzialità delle tratte intercontinentali e non certo nel breve e medio raggio, ingolfato dalla presenza di decine di compagnie low cost, e che nel piano CAI nulla si dice circa le partnership da mettere in campo per gestire quelle rotte, è intuitivo come il progetto sembri nascere zoppo se non già abortito sin dal suo concepimento.
Allo stesso modo non è facile comprendere perché con queste premesse sia a suo tempo fallita la trattativa con Air France, che prevedeva un assorbimento dei debiti Alitalia, pari a 1,4 miliardi ad aprile 2008 (chissà a quanto ammontino adesso), il versamento di un miliardo a titolo di capitale di funzionamento, oltre all’inserimento a pieno titolo del marchio nel consorzio Sky Team di Air France- KLM. Gli esuberi erano stati definiti in circa 2.500 unità, dunque largamente al di sotto di quelli indicati nel piano Fenice-CAI, e gli aeromobili sarebbe stati mantenuti in proprietà, sebbene soggetti al rinnovo con mezzi più moderni.
Davanti a queste evidenze il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ancora ieri, approfittando della gratuita tribuna propagandistica messagli a disposizione dal fedele Bruno Vespa, non ha mancato di tuonare contro i sindacati, che, a suo più che qualificato ed interessato avviso, sarebbero gli unici responsabili dell’eventuale fallimento delle trattative e dell’Alitalia qualora non si giungesse ad un accordo sulle basi sin qui illustrate….. - e, bontà sua, ci ha risparmiato l’ennesima denuncia di congiura comunista dietro l’evolversi fallimentare dei negoziati in corso! Anche in questo caso, tuttavia, non è chiaro se nell’affermazione di Berlusconi vi sia semplice malafede o palese ignoranza del ruolo rappresentativo degli interlocutori sindacali che siedono al tavolo, visto che il nucleo più consistente dei lavoratori Alitalia non si riconosce nella Triplice confederale e l’UGL della Polverini e di Panella, probabilmente sdoganata al ruolo di componente significativa solo in omaggio agli amici di AN, ha un’incidenza percentuale pari ad un prefisso telefonico.
Da questi fatti emerge come lo scontro in atto sull’Alitalia sia di natura politica, uno scontro che deve veder trionfare o l’inguaribile ottimismo di Berlusconi, con la realizzazione delle sue improbabili promesse al popolo che lo ha rispedito inopinatamente a Palazzo Chigi, o il ruolo egemonico del sindacato istituzionale, quello di comodo, che, pur di restare sulla breccia e non perdere il proprio privilegio di sedere ai tavoli di confronto più importanti per le sorti dell’economia del Paese, è pronto a svendere l’esistenza di lavoratori e famiglie annesse, con un cinismo esemplare mascherato da senso di responsabilità e della misura. Come sostiene l’Inviato SpecialeAd un osservatore distaccato, lontano dalla necessità di supportare una tesi piuttosto che un’altra (come dovrebbe essere per tutti i giornalisti, obbligati ad essere indipendenti) sembra di osservare della gente in bilico su un piano inclinato, dei dilettanti, che giorno dopo giorno rubano un minuto al disastro, pensando di poter trovare in quel tempo trafugato una soluzione possibile. Va avanti così da giorni ed intanto il paziente si aggrava. Solo che qui non si tratta di un malato di morbillo, ma di ventimila persone, di un indotto non quantificabile, di mogli, mariti, figli. Non è ammissibile che rappresentanti del governo, imprenditori non esperti nel settore (tranne Toto, che però possiede una compagnia in coma) e sindacalisti, - sottolinea il quotidiano, - disegnino le linee di sviluppo industriale per un’azienda del trasporto aereo a partire da esigenze di carattere politico, di categoria, di parte. Una cosa è certa, - conclude il quotidiano, - la demagogia dell’italianità sta mostrando il ritardo culturale di una classe dirigente. E la cattiva informazione fornita ai cittadini da una stampa che si ostina a non vedere i volti, gli occhi, il disorientamento di questo popolo di Alitalia, perché troppo occupata a tagliare ed incollare pezzi di comunicati stampa ufficiali, dimenticando la vita delle persone. Un’italianità che non ha difeso in passato la chimica, l’industria dell’elettronica, la telefonia. La ‘Patria’ è stata utile, nel caso di Alitalia, per trovare un ulteriore argomento per vincere delle elezioni. In questo non c’è un principio ‘alto’ di identità nazionale, ma il disprezzo peggiore per chi quell’identità rende possibile: i cittadini e tra loro i lavoratori di Alitalia.
Chissà, - è il caso di aggiungere in attesa della prossima puntata della horror fiction Alitalia, - quanto questa triste vicenda non stia disegnando il nuovo modello di relazioni industriali dell’epoca Marcegaglia.

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